Conferenza tenuta via Zoom il 30 aprile 2022 per la comunità della Scuola lacaniana di psicoanalisi di Rimini Marco Focchi “L’altro: dalle parole alla sessualità”, il titolo che Miller ha dato alla sessione centrale del seminario …ou pire, descrive l’andamento d’insieme del discorso sviluppato da Lacan in queste quattro lezioni. Nelle prime due Lacan si intrattiene infatti inizialmente in una sorta di dialogo a distanza con Jakobson, che avrebbe dovuto fare una conferenza per il pubblico del seminario che invece non ha fatto, e si lancia poi in una pirotecnica articolazione linguistico-topologica nel momento in cui scopre il nodo borromeo. Nelle due successive lezioni Lacan entra invece nei labirinti della sessualità, dell’assenza del rapporto sessuale, della partner svanita, del godimento implicato nei fantasmi. Il senso
…ou pire, nel suo sviluppo, segue l’andamento tipico degli ultimi seminari di Lacan, con slittamenti continui di temi, con aperture che non si chiudono, con domande che non cercano risposta, con rimandi e rifrazioni interne che rendono impossibile ricostruire un quadro d’insieme chiaramente leggibile. Se ne possono però prendere alcuni filoni, afferrando determinati nodi logici, e nella prima delle quattro lezioni un tema la traversa e la percorre che può essere messo sotto il titolo: “Da dove viene il senso?”. È un titolo interrogativo e non siamo sicuri che abbia una risposta. Non ha in realtà neppure un vero e proprio sviluppo, anche se il percorso in cui si snoda fissa un’idea. Innanzi tutto vediamo che interrogarsi sul senso è abbastanza particolare per Lacan, o quanto meno quello del senso non è il problema che gli si pone in modo specifico. Anche nell’interpretazione dei sogni, per esempio quando commenta il sogno di Irma, non si lascia sviare da tutti i pensieri preconsci che Freud recupera attraverso le associazioni, e va dritto alle lettere senza senso che compongono la formula della trimetillamina. Solo quando facciamo apparire queste lettere – dice – tocchiamo gli elementi inconsci che il sogno porta in luce. Senso e referente Consideriamo innanzi tutto da dove arriva il problema del senso, perché il primo a porselo nella logica moderna è Frege. È lui a riformulare per la prima volta una differenza tra il senso e il referente. L’esempio che propone è quello della luna guardata al cannocchiale: il referente è l’oggetto luna, quello che sta nel cielo, il satellite che gira intorno alla terra. Il senso è invece l’immagine che vediamo nel cannocchiale. Questo implica che il referente abbia un carattere più oggettivo, che rimandi cioè alla cosa reale, mentre il senso risulta essere più soggettivo, perché è quel che percepiamo. Da qui ci sono degli sviluppi nella logica in quello che poi si è differenziato in termini di denotazione e di connotazione, e che ha le sue radici nella teoria medievale della suppositio. Lacan non prende però questa via. Assume la distinzione tra senso e referente e la tratta come un’antinomia: quando sorge un senso, per debole che sia – e il rimando qui è a Kant nelle sue critiche – il referente svanisce completamente. La funzione referenziale si mantiene solo nella misura in cui non c’è nessun senso, neppure un senso comune. Come possiamo illustrare questa antinomia costruita da Lacan? Credo che per avvicinarci gradualmente alla questione possiamo prendere da un lato la poesia, dall’altro la scienza. Quando per esempio Montale scrive: “Vedi, in questi silenzi in cui le cose s’abbandonano e sembrano vicine / a tradire il loro ultimo segreto / talora ci si aspetta / di scoprire uno sbaglio di Natura, / il punto morto del mondo, l’anello che non tiene / il filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità (“I limoni”, dalla raccolta Ossi di seppia). Scelgo questo esempio di Montale perché non raggiunge il punto d’astrazione referenziale che troviamo per esempio in un Milo De Angelis, e sembra pur sempre ci parli di qualcosa: i silenzi delle case, un segreto da tradire, uno sbaglio di Natura. Ma è chiaro che non sta nei referenti la forza di questa poesia, di questi versi, che evocano il punto morto del mondo, un filo da sbrogliare che sentiamo subito non sarà mai sbrogliato. È questa potenza evocativa che fa sorgere in noi l’irrisolto, quel che ciascuno di noi si porta dentro spingendoci avanti, o facendoci affondare nella nevrosi. Il referente qui è annullato da un senso che sorge andando a toccare le giunture di fondo della nostra anima. Prendiamo ora la scienza. Nella meccanica quantistica esistono fenomeni, come l’esperimento della doppia fenditura, che mostra il comportamento duale come onda e come particelle di un flusso di fotoni, o l’entaglement, che mostra la correlazione tra due sistemi a distanze potenzialmente infinite. Sono esperimenti ai cui risultati non riusciamo a dare un senso a partire dalle nostre intuizioni naturali, ma che hanno sicuramente un referente oggettivo verificato dagli esperimenti. Per riprendere tuttavia il riferimento di Lacan a Kant: cosa vuol dire che quando sorge il senso il referente svanisce? È qui chiamata in causa la Critica della ragion pura dove, nella sezione sulla Dialettica trascendentale, Kant studia le antinomie della ragione. Abbiamo alcune idee della ragione, come quella di cosmo, di anima e di Dio, che riguardano la prima la totalità dei fenomeni, la seconda la totalità dell’esperienza in rapporto al soggetto, la terza il fondamento di tutti i concetti possibili. Analizzati con argomenti che vengono dall’esperienza queste idee portano, con ragionamenti opposti che paiono entrambi veri, a conclusioni antinomiche insolubili, perché la conoscenza non può spingersi oltre i limiti dell’esperienza sensibile. Queste tre idee, cosmo, anima, Dio, sono infatti prive di un reale contenuto empirico, cioè non hanno un concreto referente. Ciò non toglie che mantengano un senso regolativo per la ragione, perché se non portano a conoscere alcun oggetto concreto, guidano tuttavia la ricerca intellettuale verso l’unità ideale che rappresentano. L’interpretazione Lacan si appoggia dunque a questa parte della trattazione kantiana per farne un paradigma dell’antinomia tra senso e referente, e l’interessante è poi vedere come questo funzionamento antinomico regga l’operazione dell’interpretazione che, dice Lacan, è del senso e va contro il referente. A questo scopo dobbiamo considerare il carattere – da Lacan definito oracolare, evocativo – dell’interpretazione, dobbiamo cioè tener conto del fatto che l’interpretazione trova la propria forza proprio in quanto è qualcosa di diverso da una spiegazione. I vicoli ciechi imboccati nella clinica dalla psicologia dell’io, d’altra parte, derivano proprio dall’aver preso l’interpretazione come spiegazione, avendo spinto lo statuto della psicoanalisi in direzione dell’epistemologia delle scienze naturali. Dobbiamo dunque chiederci cosa sia a produrre il senso. La risposta di Lacan su questo è costante: si tratta di una sostituzione. La metafora produce un senso in quanto sostituisce un significante a un altro significante. La traduzione produce un senso sostituendo un termine a un altro, la trasposizione di un significante da un discorso a un altro produce anch’essa un senso. Finché restiamo in questa operazione di sostituzione giriamo però in un rimando che può andare all’infinito. Dice infatti Lacan che ci sono due versanti dell’inconscio: uno è il senso, l’altro è il segno. Il senso si riduce però al non-senso del rapporto sessuale, e il rimando all’infinito trova qui un punto d’arresto. Per altro verso, infatti, Lacan precisa che siamo sicuri di aver toccato l’inconscio quando un lapsus non ha più nessuna portata di senso, vale a dire quando un lapsus è puramente un inciampo, un intoppo, un impedimento allo scorrere infinito, quando evidenzia uno svuotamento, un punto di blocco del corpo che è, in ultima istanza, una scrittura sul corpo. L’inconscio Questo mette anche in evidenza la differenza tra l’inconscio freudiano e quello di Lacan. L’inconscio freudiano è quello che spiega e colma le lacune della coscienza. Ha come proprio contraltare la coscienza, e si propone come una sua negazione. L’inconscio di Lacan è quello che evidenzia i punti di impossibilità del corpo, è quello non risulta dalla negazione della coscienza e che ha come palinsesto il corpo. È chiaro che questo porta con sé conseguenze fondamentali sul piano clinico, non è affatto una mera questione teorica. Se prendiamo infatti l’inconscio in senso freudiano, cioè come correlato alla coscienza, l’operazione analitica consiste essenzialmente nel rendere conscio l’inconscio, nel riportare le irragionevoli spinte pulsionali sotto la ragionevole luce dell’io. Ci sono poi tutte le correzioni e le variazioni che intervengono man mano che la riflessione freudiana procede: la reazione terapeutica negativa, le resistenze, il necessario lavoro di rielaborazione. Il punto di fondo rimane però quello: superati gli ostacoli, le resistenze, gli impedimenti, l’obiettivo terapeutico è raggiunto quando abbiamo reso conscio l’inconscio restituendo al controllo razionale dell’io le sue prerogative. Come si mettono allora le cose con Lacan, che non fa dell’inconscio il negativo della coscienza ma la scrittura sul palinsesto del corpo? Diventa chiaro qui il motivo per cui con Lacan non siamo più all’insegnamento del senso, ma piuttosto dei segni di godimento che ci mettono sulla traccia dell’oggetto causa desiderio. Il fatto è che con questo il senso non è eliminato, semplicemente non gioca più nel campo della coscienza. Non è un senso che va in cerca di un diverso referente, per cui se il paziente dimentica l’ombrello subito ci spostiamo sull’idea che questo abbia a che fare con il pene, e che se una donna ha dimenticato la borsetta questo riguardi la sua guaina più intima. Non si tratta della sostituzione di un referente comune con un referente sessuale. Per questo l’interpretazione è del senso e va contro la Bedeutung. Si tratta piuttosto di andare in direzione del punto in cui la Bedeutung è mancante, è mancanza, è la mancanza d’oggetto, e parliamo qui evidentemente di quel che per Lacan è l’oggetto a. Il modo in cui dal senso si va verso questo buco, verso questa mancanza d’oggetto, è chiaramente asserito in …ou pire dove Lacan dice: “Si tratta di sapere non già come sorge il senso, ma come sia da un nodo di senso che sorge l’oggetto. L’oggetto vero e proprio, giacché l’ho nominato come meglio ho potuto, l’oggetto a minuscola” [p. 82]. La domanda d’amore Questo nodo di senso introduce per la prima volta il nodo borromeo, sul quale Lacan articola, o meglio dispone i termini in cui presenta qui la domanda d’amore. La domanda è sempre una domanda d’amore, e per questo non ha risposta: si formula infatti con l’apparenza di chiedere qualcos’altro, come domanda di guarigione per esempio, o come domanda di ottenere qualche specifico risultato nella vita. Bisogna soprattutto non chiudere subito la domanda con una risposta, qualunque sia. A volte, nei controlli, si riscontra da parte dell’analista l’ansia di rispondere qualcosa, qualunque sia, con il senso di impotenza che deriva dal fatto di non sapere cosa. Non c’è in realtà niente da rispondere, bisogna solo consentire che la domanda si articoli e si manifesti per quel che è, come domanda d’amore. La dialettica della domanda e del desiderio consiste nel fatto che per l’appunto non si domanda mai quel che si desidera, e una risposta precipitata cortocircuita la domanda, mettendo fuori gioco la possibilità di cogliere il desiderio. Il tema della domanda d’amore è quindi eminentemente clinico, e Lacan ne dà in …ou pire una formula che è diventata famosa, quasi un ritornello: “Ti domando di rifiutare quel che ti offro perché non è questo”. Sullo sfondo della dialettica della domanda e del desiderio si può intuire cosa significa: possiamo evidentemente ricondurre questa formula alla discrepanza tra domanda e desiderio. C’è però in essa una complessità maggiore. Se la domanda dice: “Ti domando di rifiutare” è molto diverso che se dicesse, per esempio: “Ti domando di avere successo con le donne”, o: “Ti domando di essere il primo nel mio lavoro”, o anche semplicemente: “Ti domando di essere felice”. Queste sono infatti tutte domande che ricadono su un oggetto: il successo, la guarigione, la felicità. La formula è classica: io, soggetto, domando, predicato verbale, a te, complemento di termine, qualcosa, complemento oggetto. Se invece dico “ti domando di rifiutare”, la domanda non ricade su un oggetto ma su un’azione, sull’azione di rifiutare, e anche il rifiuto ricade su un’azione, sul fatto che ti offro qualcosa. È a partire da questi tre verbi che Lacan costruisce il nodo borromeo, cominciando a trattarli come operatori di una funzione logica. In una funzione logica ci sono diversi tipi di operatori. Ci sono operatori unari: f(x), e operatori binari: f(xy) che sono i verbi transitivi, per esempio: “Ti domando un favore.” Evidentemente tutti e tre i verbi delle formule di Lacan sono operatori binari, cioè verbi transitivi. Ora, Lacan lega queste tre funzioni binarie, questi tre verbi, queste tre espressioni di domanda in un nodo borromeo. È la prima apparizione del nodo borromeo nei seminari di Lacan. Siamo abituati a considerare il nodo borromeo nell’uso che si è stabilito successivamente in Lacan come nodo tra simbolico, immaginario e reale. Vediamo che nella sua prima apparizione il nodo formalizza quel che potremmo chiamare il carattere insoddisfacibile della domanda d’amore. Perché quel che si può saziare è la pulsione. La domanda pulsionale La domanda pulsionale ha dei punti di arresto e di ripartenza. Per esempio la pulsione orale sicuramente porta a dei punti di sazietà da cui ripartire. Può accadere però che la domanda pulsionale si infinitizzi, come nella bulimia. Questo succede quando sulla domanda pulsionale s’innesta la domanda d’amore. Il soggetto bulimico, per esempio, possiamo dire che si sfonda di cibo perché il cibo diventa il vettore di un’offerta satura, quella di una madre che offre il seno in modo negligente, non come gesto d’amore ma per non sentire più il bambino frastornarle le orecchie di pianto. Si tratta allora un’offerta in cui non c’è il sottotesto: “Mi manchi”, “Ti voglio”, che poi è “Ti voglio bene”. C’è piuttosto: “Mi dai fastidio”. Se il soggetto non sente di essere ciò che manca all’Altro, si satura in modo insaziabile di un cibo che è mancanza, e che manca continuamente. Oppure, come avviene nell’anoressia, si annulla. È quel che Lacan esprime dicendo che l’anoressico mangia il niente. Ogni domanda pulsionale quindi è una domanda transitiva, è la domanda di un oggetto. Evidentemente però la domanda pulsionale non è mai pura, è sempre traversata da una domanda d’amore. Per isolarne però il carattere, per evidenziarne la logica, per mostrare cos’è la domanda d’amore in quanto tale, Lacan mette questa formula: “Ti domando di rifiutare quel che ti offro perché non è questo” nel nodo borromeo. Se ciascuna delle tre azioni implicate nella formula, domandare, rifiutare, offrire, fosse infatti sciolta dall’altra, farebbe ricadere la propria transitività in un oggetto, l’oggetto della domanda, l’oggetto del rifiuto, l’oggetto dell’offerta. Legate nel nodo borromeo invece, rimandando l’una all’altra, presentificano la mancanza. Ti domando, ma questa domanda resta sempre inevasa, perché ti domando di rifiutare, e anche il rifiuto resta senza oggetto, perché quel che ti offro non è questo. Ma “non è questo” cos’è? Non è questo quello che desideri. Per cui anche l’offerta resta senza soggetto. In fondo questa formula è fatta per esprimere la più radicale divergenza tra domanda e desiderio. Si tratta di qualcosa che nell’esperienza clinica conosciamo benissimo: un paziente viene domandando qualcosa che considera come la sigla, il traguardo della propria guarigione, e non appena nello sviluppo dell’analisi ci si comincia ad avvicinare a questo presunto obiettivo, ci si trova di fronte all’innalzarsi di tutte le barriere possibili, e sentiamo svuotarsi d’interesse quel che era stato chiesto all’inizio. Perché, appunto, non è questo. È il motivo per cui non bisogna mai troppo affrettarsi a rispondere alla domanda, a corrispondervi, perché si ottiene solo l’effetto di un cortocircuito che mette fuori gioco l’inconscio. Qui appare anche la grande differenza tra le psicoterapie, in particolare le psicoterapie brevi, che funzionano a obiettivi predefiniti, e la psicoanalisi. Una psicoterapia, rispondendo alla logica aziendale di darmi degli obiettivi, mette fuori gioco la domanda d’amore. La psicoterapia breve di solito si prefigge infatti anche di limitare lo sviluppo della traslazione, perché è la via attraverso cui entra in gioco la domanda d’amore. La sintesi di questi passaggi di …ou pire si chiude poi con quello che Jacques-Alain Miller ha intitolato “La partner svanita”, che si sviluppa intorno all’idea dell’assenza di rapporto sessuale. Il passaggio dal capitolo precedente a questo è interessante, perché si va da un discorso sull’amore a un discorso sulla sessualità. Non possiamo ancora vederne le implicazioni, ma Lacan le svilupperà l’anno seguente, pur preparandole già qui: si tratta dell’idea che l’amore supplisce all’assenza di rapporto sessuale. La complessa relazione tra i sessi Il capitolo comincia con un aneddoto: quello in cui Lacan rifiuta l’offerta di Simone de Beauvoir di collaborare per quanto riguarda la parte psicoanalitica al libro Il secondo sesso che sta per pubblicare. Sembra un episodio buttato lì, ma in effetti vediamo che costituisce una sorta di cerniera tra il discorso appena concluso e quello che sta per aprirsi. In effetti, in un certo senso, Lacan rifiuta quel che Simone de Beauvoir gli offre, perché non è questo. Non è questo cosa? Non è questo di cui si tratta quando si parla di relazione fra i sessi, non è il problema di un secondo sesso. È quel che infatti Lacan afferma con decisione in apertura di questo capitolo: contrariamente a quanto suppone Simone de Beauvoir con il suo libro, dice, non c’è un secondo sesso, non c’è a partire dal momento in cui entra in funzione il linguaggio. Dal momento in cui l’essere è essere parlante, tutto il rapporto con il sesso viene a giocarsi in base a una sola funzione, quella fallica. Vediamo come la definisce qui Lacan. “Si tratta – dice – di qualcosa per cui non è in base il rapporto sessuale che si caratterizza almeno in uno dei due elementi. Quale dei due elementi? Quello in cui l’organo entra in gioco solo come utensile.” Qui vediamo dunque distinguersi la funzione fallica e l’organo utensile che si pongono su due piani distinti del discorso sessuale. La funziona fallica – dice Lacan – è unica, si tratta sempre di Φ e di x, e proprio perché è unica si producono delle difficoltà. Φ afferma che è vero che quanto si riferisce all’atto sessuale riguarda la funzione fallica. Ma poiché questo vale per ciascun x, sia questo uomo o donna, occorre allora discriminare in cosa i partner si diversifichino, e le formule della sessuazione rispondono proprio a questo quesito: definire le diverse posizioni che nel maschile e nel femminile gli esseri assumono rispetto alla funzione fallica. Quando Lacan affronta il problema nel 1958, nel suo scritto La signification du phallus, percorre una via più tradizionale, ripartendo il maschile e il femminile tra l’avere il fallo e l’identificarsi con il fallo. Risolve, tra l’altro, anche il problema della più comune degradazione della vita amorosa nell’uomo, dicendo che l’uomo trova di che soddisfare la sua domanda d’amore nella relazione con la donna in quanto significante fallico. Non lasciamoci sfuggire che qui Lacan parla di significante e non di funzione, e naturalmente i pesi cambiano quando l’accento si sposta dai termini alla relazione. L’uomo costituisce dunque la donna come colei che dà nell’amore ciò che non ha, facendone la partner della relazione d’amore, mentre sposta il desiderio facendolo divergere verso un’altra donna investita di valore fallico, che può significare questo fallo a titolo di vergine o di prostituta. In … ou pire, dove non si parla più di fallo come significante ma come funzione, la presentazione delle due diverse posizioni sessuali si complessifica, e mette in gioco da una parte l’universale maschile, dove la funzione vale per tutti, cioè: ogni uomo è connotato dalla funzione fallica, soggetto alla castrazione, mentre dal lato femminile c’è un non-tutto, ovvero una singolarizzazione. Che non esista un secondo sesso, vale a dire che la partner sia svanita, come indica il titolo di Jacques Alain Miller – altro modo di dire che La donna non esiste – è determinato dall’evasione del femminile dalla gabbia dell’universale che nel pensiero occidentale ha consentito la formulazione del discorso scientifico. Il glamour Questo aspetto è fortemente sottolineato in …ou pire: ci sarebbe rapporto se potessimo confrontare due universali, se potessimo stabilire una corrispondenza biunivoca tra l’insieme maschile e l’insieme femminile. In questo caso dovremmo poter stabilire, nel modo più indeterminato, che qualunque elemento del primo insieme può essere messo in corrispondenza biunivoca con qualunque elemento del secondo insieme. È l’indifferenziato, che Lacan riferisce – non so quanto giustificatamente se guardiamo gli studi etologici sul comportamento d’accoppiamento, al modello animale. In questo caso, dice Lacan, ci troveremmo nella situazione di un discorso che non sarebbe di parvenza. Questo significa che l’abbinamento avverrebbe tra elementi reali. In questo senso vale il riferimento al mondo animale, un mondo cioè dove non esiste il linguaggio, quindi non sarebbe parvenza, almeno nella misura in cui questo vale nel mondo umano, dove l’abbinamento non è di chiunque con qualunque altra ma, sottolinea Lacan, dove a ciascuno va la sua ciascuna. Bisogna in altri termini passare per la filiera della mascherata femminile e della parata maschile per incontrare le risonanze fantasmatiche che consentono la reciproca attenzione. Bisogna anche dire che questo necessario passaggio per le parvenze è quel che rende fragili le unioni. C’è infatti una fase iniziale dell’innamoramento, un momento magico di sopravvalutazione sessuale, come la chiamava Freud, e che potremmo definire come il balenio del glamour, nel senso originario che questo termine ha nell’antico scozzese: un incantesimo che fa apparire più alti e più belli. Dopo la felice congiuntura dell’inizio i partner si rivelano man mano per quel che sono – se dir così può aver senso, giacché quel che veramente si è dipende molto dalla relazione in cui ci si trova. Si contrae allora un po’ alla volta l’aura che aveva creato la magia, e può allora entrare in gioco la delusione, che riduce l’altro da essere speciale a uno qualunque, come è ben illustrato in uno dei film più interessanti di Louis Malle, Il danno (1992). Il segno d’amore La riduzione al qualunque è la riduzione alla mera esistenza, al puro e semplice esser lì, alla banalità di esserci, senz’altra aggiunta, senza nulla che faccia segno. Lacan infatti dice che nell’amore non è il senso a contare, ma il segno, e che questo costituisce tutto il dramma dell’amore. Cos’è infatti il segno d’amore, se non il segno della mancanza, il fatto che posso riconoscere in te il segno che ti manco, e che quindi ho un posto per te. Il punto è: come riconoscere questo segno? È qualcosa che nella clinica appare in modo lampante. Un giorno una paziente sogna di trovarsi in un naufragio con il suo innamorato. Lo abbraccia prima di essere travolta dalle onde e gli dice: dobbiamo darci un segno, per riconoscerci quando ci troveremo nella nostra prossima vita. È un sogno di bellezza platonica, che si fonda in ultima istanza sulla teoria della reminiscenza. Quante cose pensate da Platone sono diventate, senza che ce ne rendiamo conto, pratica comune delle nostre vite! Dove allora l’amore segna la via del senso? Si parla di una storia d’amore, e una storia ha un inizio, uno svolgimento, ci sono degli ostacoli da superare, e c’è una conclusione. Solo così una storia ha senso compiuto. E la conclusione può essere: vissero felici e contenti, come quando Biancaneve incontra il Principe Azzurro, o i due amanti si raggiungono nell’eternità della morte, come Giulietta e Romeo, Tristano e Isotta. La storia d’amore ha un senso, ma su un altro piano rispetto alla storia c’è la narrazione d’amore. Questa è un fluire, un continuo sciorinare di parole, senza conclusione. La narrazione d’amore è la produzione di segni che stanno al posto del nulla del rapporto sessuale, e che per questo non sono inscritti in nessuna relazione logica. Infatti, l’esercizio con cui Lacan conclude questa epica lezione è proprio quello di mettere alla prova l’inesistenza del rapporto sessuale con le tavole logiche della relazione. Ma di questo ho già parlato in un’altra conferenza, che si può trovare nel sito con il titolo: Cosa significa essere un uomo? Cosa significa essere una donna?
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