Conferenza tenuta e Tel Aviv il 6 gennaio 2018, presso la sede della NLS Marco Focchi È sempre interessante, quando si parla dei seminari di Lacan, allargare un po’ l’angolo visuale rispetto al focus di cui trattiamo. Quello di Lacan, come sappiamo, non è un lavoro trattatistico, è un lavoro in progressione, i cui concetti sono sempre mobili. Nel caso del seminario Le transfert, 1960-1961, mi sembra utile considerare non solo il lavoro dell’anno precedente e di quello successivo, ma anche i due seminari che precedono e che seguono. Da questo punto di vista il seminario sul transfert si trova in una posizione particolare. È immediatamente successivo al momento in cui Lacan si rende conto di non poter più limitare il lavoro psicoanalitico ai soli meccanismi del significante e introduce, da quando cominci a trattare l’etica, nel 1959-1960, il tema de La cosa. Dobbiamo però notare che La cosa, questo héteron rispetto al significante, non ha ancora qui una definizione precisa, definizione che comincerà a formularsi solo a partire dal seminario sull’angoscia del 1962-1963. Per altro verso Lacan, quando affronta il transfert, ha appena sviluppato i temi del desiderio e della sua interpretazione, nel 1958-1959. Di questo, nel seminario sul transfert si sente pienamente l’influenza. Il seminario sul transfert si conclude poi con un’ampia articolazione sull’ideale dell’Io e sull’Io ideale, incentrato sul tratto unario, argomento che troverà pieno sviluppo nel seminario sull’identificazione, del 1961-1962.
Il denso intreccio di temi, e la posizione soglia in cui si trova il seminario sul transfert, si evidenziano soprattutto con la formulazione di un particolare concetto introdotto da Lacan, quello della metafora dell’amore. È un concetto ricalcato sui meccanismi linguistici fino a quel momento studiati, che sono meccanismi di sostituzione tra significanti, ma contiene un elemento eterogeneo che non riguarda né il senso, né il significato, né il significante, e che è l’agalma, la cosa preziosa che l’amore rivela, la cosa preziosa che prende il posto del significato dell’Altro. Lacan sta quindi cercando di collocare, di definire le implicazioni derivanti da quanto ha introdotto come La cosa, e un aspetto è questo: l’agalma, la cosa preziosa; un altro aspetto invece emergerà più tardi, spogliato dello splendore dell’agalma, come oggetto dell’angoscia. Lacan esplora questi temi sullo sfondo della questione fondamentale che si pone rispetto al transfert, e che traversa tutto il seminario: quale deve essere la posizione dell’analista nel transfert? La questione non ha una vera risposta nel corso del seminario, ha piuttosto diversi sviluppi. Oggi, alla luce delle fasi successive dell’insegnamento di Lacan, diremmo: la posizione dell’analista è quella di oggetto a, ma non è questa la formula che emerge nel seminario, ed è piuttosto interessante vedere le articolazioni che si producono nella ricerca, piuttosto che focalizzarsi sulla risposta che verrà poi. Possiamo dire che delineando la nozione di agalma, Lacan getta le premesse che gli serviranno in seguito a definire la posizione dello psicoanalista in relazione all’oggetto a, ma non è qui che trae le conclusioni. Sulla definizione dell’amore attraverso l’agalma, credo sia interessante tornare oggi, dopo più di cinquant’anni dal momento in cui Lacan ha tenuto questo seminario, perché è chiaro che con la sua lettura del Simposio, ha aperto un orizzonte nuovo e ha dato uno sviluppo inedito al modo di pensare l’amore – tema di per sé difficile da ridurre in concetti. Lacan fa un grande sforzo per formulare concetti che sfuggano all’inerzia immaginaria che spesso si trova nelle elaborazioni, anche le più interessanti, nel pensiero psicoanalitico. L’immaginario ha però una forza inerziale propria, e torna a divorare quel che tentiamo di sottrargli. Non credo sia possibile eliminare il versante immaginario nel nostro pensiero, e il lavoro del concetto consiste nel tenerlo costantemente sotto controllo. Tutto, anche le parti più formali dell’insegnamento di Lacan, è esposto alla deriva immaginaria, anche la topologia, anche il nodo. In fondo è la differenza che c’è tra il pensiero scientifico e quello analitico. Anche nella scienza l’immaginario ha una parte nella creazione di nuovi concetti, ma il calcolo – che è la potenza attraverso cui la scienza si applica alla realtà – non ne è disturbata, non ne subisce l’interferenza. Nel pensiero psicoanalitico, dove c’è sempre un resto libidico che investe l’immaginario, rischiano invece di avere un effetto di chiusura o di distorsione. Credo che anche l’amore pensato a partire dall’agalma si possa prestare a qualche distorsione di questo tipo. Date le immagini proposte da Platone nel Simposio – dove Socrate, esteriormente brutto, contiene tuttavia nascosto dentro di sé qualcosa di prezioso e sottratto alla vista – ci si abitua a pensare l’oggetto di desiderio in un rapporto di interno/esterno. L’agalma è in effetti la cosa preziosa contenuta nell’essere amato che noi desideriamo e che ci porta verso di lui, e dove vogliamo in lui qualcosa più di lui. Credo però che se restiamo su questo solo versante ne traiamo una visione claustrale del desiderio, come ciò che si rivolge all’oggetto chiuso in uno scrigno che si tratta di rivelare. Si rischia inoltre di scivolare verso una sostanzializzazione dell’oggetto di desiderio che, invece, come ben ha precisato Jacques-Alain Miller, è un vuoto di cui solo la topologia ci dà il contorno. Per uscire da una simile concezione claustrale del desiderio, dobbiamo considerare che il desiderio nei confronti dell’oggetto amato, si rivolge a quell’oggetto e al mondo che esso apre, in cui è immerso. Possiamo vederlo articolando l’elaborazione che Lacan fa nel seminario sul transfert con un esempio letterario diverso, quello dell’Albertine proustiana, che compare nella piccola brigata delle fanciulle in fiore. Si tratta all’inizio di creature percepite in modo indistinto, come petali di un mazzo di fiori. Il protagonista è in vacanza a Balbec, e comincia a notare un gruppo le cui identità individuali sono, indifferenziate, indistinguibili. Vengono descritte con metafore e similitudini che appartengono appartengono al mondo vegetale – le guance rosa evocano il geranio – ma anche animale – uno stormo di gabbiani, un polipaio. Sono dunque assimilate alla natura, ma anche all’arte. Evocano la musica, la danza: sono ballerine di valzer, ma ricordano anche la pittura: sono come certi quadri del Rinascimento. Queste giovani donne vengono assimilate a tutto tranne che a esseri umani, e sono un mistero indiviso e mobile, confuso come una musica. Il piccolo gruppo, in cui persino il numero è indefinito e incerto – sono cinque o sei – e di cui soltanto alcune delle sue componenti avranno un nome, è di una bellezza fluida, collettiva, mobile. Soltanto un po’ alla volta il protagonista, che si imbatte nella piccola brigata sul lungomare di Balbec, imparerà a conoscere e a distinguere Albertine, Andrée, Gisèle, Rosemonde. Ma Albertine individuata e separata dal gruppo ne porta con sé le evocazioni e il mistero, che la accompagnano com uno sfondo. Credo che questo esempio ci aiuti a vedere la complessità molteplice del mondo che il desiderio e l’amore aprono. Si tratta di una dimensione diversa da quella della vita quotidiana, con i suoi ritmi scanditi dai bisogni, dagli scambi, dai commerci tra le persone, e che porta la vita su un piano superiore, più ricco, più denso. Solo l’amore vi da accesso, e vi individua un oggetto in mezzo a un’articolazione molteplice. Voglio farvi anche un altro esempio, che probabilmente non ha gli stessi titoli di nobiltà letteraria di Proust, ma che è forse anche più chiaro per quel che voglio dirvi. Si tratta di Martin Eden, il romanzo di Jack London, che inizia con l’incontro di Martin, un marinaio, con Ruth, una giovane di classe borghese. Agli inizi del secolo scorso, quando si svolge la storia, questa differenza di classe era una differenza di mondi. Martin per caso salva il fratello di Ruth da una rissa e, come ringraziamento, viene invitato a cena. Nella prima scena del romanzo assistiamo all’entrata, goffa, di Martin nel soggiorno dei Morse, e la sorpresa che si apre davanti ai suoi occhi di un mondo di libri, di quadri, di regole sconosciute, di eleganza, di raffinata eloquenza e di poesia. Vediamo Martin aspirato da questo mondo, intimidito e attratto, e solo dopo un lungo momento di attesa durante il quale Martin si lascia incantare da ciò che vede intorno a sé, entra Ruth, di cui Martin si innamora all’istante. Ma al tempo stesso Ruth, in quello che gli viene presentato come una sorta di selvaggio, sente una forza sconosciuta, una salute superiore, una natura possente verso la quale si sente calamitata. Martin scopre l’esistenza di un mondo di cui aveva letto solo nei libri, Ruth scopre un vigore sconosciuto nell’ambiente borghese in cui vive. Qui l’agalma, possiamo dire, è intorno, è una specie di aura, è ciò in cui l’essere amato è immerso, è l’orizzonte sconosciuto su cui si aprono gli occhi del soggetto. È una molteplicità di dettagli che presentano nuovi scenari, che fanno sbocciare quel che Dante chiamava La vita nuova. Il nuovo amore è la vita nuova che dischiude, ricca di tesori, davanti ai nostri occhi. Come dicevo la questione fondamentale che guida lo sviluppo del seminario riguarda la posizione che lo psicoanalista deve tenere nel transfert, ed è una questione strettamente correlata con quelli che sono gli obiettivi dell’analisi. Lacan si era posto la domanda su quali fossero gli obiettivi dell’analisi l’anno precedente, nel Seminario sull’etica, e nelle ultime lezioni sottolinea come in fondo, quel che si chiede all’analisi non è né più né meno che la felicità, e lo psicoanalista si trova in posizione di accogliere una domanda di felicità, con tutto quel che questo comporta. La risposta che dà nel seminario sul transfert è che in fondo si tratta, per il paziente, attraverso l’esperienza di analisi, di imparare ad amare, e che tutto quel che lo psicoanalista deve fare è condurre il soggetto verso il suo desiderio. Il che vuol dire, in altri termini, verso il riconoscimento di una mancanza che nessun oggetto è in grado di colmare. Si tratta in fondo del tema freudiano della castrazione, come si pone già in Analisi terminabile e interminabile. La roccia basilare della castrazione è il punto d’arresto per Freud delle analisi, sia nel maschile, sia nel femminile. Lacan fa partire la sua analisi del problema della castrazione da un quadro di Jacopo Zucchi, Eros e Psiche, dove Psiche è ritratta nel gesto in cui alza la lampada per illuminare Eros, mentre con l’altra mano brandisce una scimitarra. Eros, nudo mentre si risveglia per la luce, è nascosto solo da un mazzo di fiori che copre il punto cruciale del suo corpo. Lacan parla qui di paradosso della castrazione, e qual è il paradosso? Il paradosso è che per accedere al titolo di utilizzo del fallo, bisogna accettare di averlo perduto, ovvero, come si esprime Lacan “L’organo è preso, portato, affrontato, solo trasformato in significante, e per essere trasformato in significante deve essere tagliato.” La favola di Eros e Psiche racconta gli straordinari incontri d’amore nei momenti in cui Psiche è visitata da Eros, che chiede come sola condizione di non essere visto. Ma le sorelle malevole inducono in lei il sospetto che ci possa essere qualcosa di losco sotto questa richiesta, che possa trattarsi di un mostro deforme, e la incitano a trasgredire il divieto. Psiche si lascia suggestionare e nell’incontro successivo, quando, dopo l’amore, Eros è sopito, prende una lampada per fare luce. Poiché alzando la lampada Psiche fa cadere una goccia di olio bollente sulla pelle di Eros, questi si sveglia improvvisamente e, sentendosi tradito, fugge. C’è anche qui, sul piano scopico, lo stesso aspetto del paradosso che Lacan definisce per la castrazione. C’è qualcosa di cui si può godere solo se resta al di fuori dello sguardo. O, più estesamente: l’ordine del visibile può tenere solo se c’è un lato su cui dominano le tenebre. Diversamente è lo scandalo, la catastrofe, la distruzione., come è splendidamente descritto nei romanzi di Giorgio Bassani, in particolare ne Gli occhiali d’oro. Così è per Psiche: dal momento in cui porta al visibile quel che doveva restare nelle tenebre, comincia il corteo di disgrazie che dovrà traversare prima di poter chiudere il cerchio e ritrovare l’amore. È a questo proposito che Lacan comincia a parlare di desiderio dello psicoanalista. Non sappiamo ancora bene cosa sia in questi passaggi iniziali. Quel che è interessante e che Lacan dice è: in primo luogo che l’analista vede al di là di quel che il soggetto sa – ovvero vede l’inconscio – ma non può comunicarglielo, e tutto quel che può fare è fargli segno. In secondo luogo che la definizione di segno è rappresentare qualcosa per qualcuno. Inoltre che rappresentare qualcosa per qualcuno è esattamente quel che per l’analista si tratta di evitare, e che il segno da dare è quello della mancanza del significante. Non esiste, in altri termini, il significante per dare il segno che occorrerebbe dare. Queste affermazioni, qui un po’ labirintiche, troveranno una formulazione più chiara qualche anno dopo, nel Seminario XI, quando Lacan parlerà della presenza dell’analista dicendo che l’ininterpretabile nell’analisi è per l’appunto la presenza dell’analista, e che interpretarla apre la porta dell’acting out. Quel che nel seminario sul transfert Lacan esprime dicendo che si tratta di evitare di rappresentare qualcosa per qualcuno – che è la forma classica in cui è pensato il transfert: rappresentare il padre, la madre, o comunque una delle figure fondamentali nella costellazione affettiva originaria del soggetto – diventa e si chiarisce come l’ininterpretabile della presenza dello psicoanalista. Questa espressione, la presenza dello psicoanalista, va compresa dunque in opposizione alla rappresentazione che l’analista sosterrebbe nel transfert, in opposizione all’idea di rappresentare qualcun altro per il soggetto. Questo mette fuori gioco la mossa con cui gli analisti della tradizione freudiana si proteggevano dagli effetti del transfert negativo, dicendo per esempio: “Lei manifesta aggressività nei miei confronti, ma in realtà questa aggressività è rivolta a suo padre, o a sua madre, o a chi per loro.” Dopo questo sviluppo Lacan introduce ɸ come sigla del significante che manca, e che prenderà man mano diversi valori. Qui vale come significante del desiderio, in seguito sarà il significante del godimento. L’interessante è che nel seminario sul transfert viene presentato come qualcosa che non è semplicemente segno (p.290) e significante, ma presenza del desiderio. È la presenza reale. Si apre su questo tutto un altro capitolo dell’insegnamento di Lacan, che non tratteremo oggi, ma di cui vediamo poste le basi proprio in questo seminario.
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