Relazione pronunciata all'apertura del IX Congresso dell'AMP sul tema: "Un reale per il XXI secolo", tenutosi a Parigi dal 14 al 18 aprile 2014. di Marco Focchi A partire da fine novembre dell’anno scorso, l’Ordine Nazionale degli Psicologi in Italia ha avviato una campagna finalizzata a promuovere l’immagine della professione. Il motivo che ha sollecitato questa iniziativa è molto semplice: la richiesta di cure psicologiche nel privato ha avuto una contrazione del 30-40 per cento. I giovani, sempre più in difficoltà a trovare occupazione, i precari che arrivano a stento a fine mese, gli imprenditori oberati di tasse, nessuno ritiene di aver più i soldi per sostenere il costo di un trattamento psicologico, e nel pubblico il necessario taglio alle spese – che in Italia, chissà perché, chiamiamo spending review – ha di molto contratto l’offerta di psicoterapie. Non è però sull’aspetto sociologico del problema che vorrei attirare la vostra attenzione, ma su quello estetico e concettuale trasmessi dal messaggio. L’immagine, curata dal gruppo di Lorenzo Marini, uno dei creativi pubblicitari più noti e riconosciuti a livello internazionale, è indiscutibilmente bella e cattura lo sguardo, ma soprattutto esprime con immediata chiarezza quel che vuole comunicare. Vediamo una clessidra dalle ampolle elegantemente arrotondate, quasi a cancellare ogni possibile spigolo. La clessidra non contiene sabbia, né acqua, ma un filo. Nell’ampolla superiore il filo è aggrovigliato in modo caotico, e arruffato tra diversi colori. Nell’ampolla inferiore vediamo scendere un filo solo di colore rosso, che va a comporsi in un gomitolo perfettamente ordinato e impeccabilmente curato.
Trovo sempre interessante considerare il modo di comunicazione dei pubblicitari, perché dovendo contare sull’immediata presa del messaggio, sono obbligati a entrare direttamente in sintonia con il tappeto di pregiudizi preesistente nella mente dell’interlocutore anonimo a cui si rivolgono. Possiamo considerare quindi che Lorenzo Marini abbia intercettato ed espresso perfettamente quel che noi, dal nostro osservatorio, abbiamo ben individuato da anni: il carattere delle nuove domande, forgiato dall’ideologia dominante della nostra epoca. Lo slogan che accompagna l’immagine forma un titolo assolutamente adeguato per illustrare questo carattere: “Con l’aiuto dello psicologo, il difficile diventa facile”. L’idea guida è la semplificazione, e semplificare vuol dire innanzi tutto ridurre: sfoltire il numero dei colori, sciogliere i nodi, uniformare la molteplicità. Nell’ideologia della modernità un problema ha senso solo se può essere condotto in modo lineare a una soluzione, se può essere semplificato e gestito come in un’equazione. In altri termini: un problema ha una ragion d’essere solo se può annullarsi nella soluzione, perché la soluzione l’ha già in sé, perché è inclusa nei dati di partenza. Non a caso nell’immagine di Lorenzo Marini c’è qualcosa che sparisce: i diversi colori del filo. Si sarebbe potuto immaginare un gomitolo ben ordinato ma multicolore. Invece, evidentemente, il molteplice, la diversità, la differenza, fa parte del problema, e quindi deve essere revocata. Nel mondo in cui viviamo sembra che la scienza offra possibilità di soluzione a tutti i nostri problemi in modo sempre più efficace e rapido, e molte psicoterapie hanno cercato di mettersi al passo, mimando il metodo scientifico, e promettendo al paziente una soluzione al proprio problema che non lo implichi in un cammino soggettivo. La psicoanalisi invece, almeno come la intendiamo noi, non ha seguito questo modello – il cui imperativo è dispiegare tecniche sempre più potenti e sempre perfezionabili – e direi che proprio per questo ha la capacità di far venire i nodi al pettine. Il presupposto delle psicoterapie che abbracciano la prospettiva scientista è che un sintomo debba essere considerato un’equazione da risolvere. Nella psicoanalisi partiamo piuttosto dall’idea che un problema – e un sintomo è innanzi tutto un modo di porre un problema, come ha ben mostrato Lacan – sia qualcosa che richiede non una soluzione, ma un trattamento. Il sintomo è il segno di una questione che sorge al cuore dell’essere, e di cui è fondamentale far apparire i punti significativi, le diverse curvature, le molteplici diramazioni. Piuttosto che annullarlo, noi cerchiamo di sfruttarne la peculiarità, di farne un punto di forza del soggetto. Per questo la psicoanalisi, non avendo ceduto al principio di prestazione – messo in luce da Marcuse e dominante nel panorama attuale – resta uno degli ultimi spazi umani in cui la soggettività è preservata, ed è un punto di resistenza rispetto alla divorazione tecnologica di un potere privo di autorità, che cerca solo nella scienza la propria fonte di legittimazione. Per trattare i problemi come risolvibili le psicoterapie mimetiche della scienza devono rivolgersi a una realtà lineare, dove a ogni bivio si va a destra o si va a sinistra, e la direzione è sempre decidibile, seguendo un tracciato causale, in un modo che rispecchia, piuttosto che mettere in questione, la formatizzazione delle domande attuali. Vediamone un esempio. Un giorno un anziano signore, programmatore informatico in pensione, viene a parlarmi del problema del figlio, che è ansioso per via della moglie. Che problema ha la moglie? Ha un padre paranoico – mi dice – che la mette continuamente in tensione, e dal quale non riesce a prendere distanza perché la donna non vuole lasciare la madre in balìa di quest’uomo selvaggio. Allora – gli domando – chi dovrei vedere? Dovrebbe vedere il padre – risponde – perché è lui la causa ultima, che però non verrà mai da lei. Allora – aggiunge – ho pensato che potrebbe vedere mio figlio. Naturalmente non è lui da curare, ma se lui viene, dà il buon esempio alla moglie, la quale a sua volta non ritiene affatto di aver bisogno di lei, ma sulla falsariga del marito, vedendone la buona volontà, potrebbe essere sollecitata a venire da lei egualmente. Se la moglie viene da lei abbiamo partita vinta, perché lei potrà far in modo che si schermi dal padre, e di conseguenza mio figlio ne trarrà sollievo. È un perfetto ragionamento da programmatore informatico, che non farebbe una grinza se la sua concatenazione causale non contenesse una variabile subdola, la variabile umana, in grado di far saltare tutti i parametri del calcolo. A monte della rettifica soggettiva, la causa è sempre estensiva, cioè individuabile nello spazio esterno, e quindi, in questa luce, il problema è sempre che si tratta di aggiustare l’Altro. Per cui viene una coppia dove ciascuno dei due partner ritiene che l’altro dovrebbe iniziare un’analisi, o viene una madre con un figlio, che è il suo sintomo, ma lei vorrebbe mettere in analisi il sintomo senza entrarci lei. Conosciamo questi problemi e ci siamo in qualche modo abituati. In una certa misura potremmo dire che sono sempre esistiti, altrimenti Lacan non avrebbe avuto necessità di formulare il concetto di rettifica soggettiva. Ma oggi si presentano con un carattere particolare, e particolarmente resistente, perché rinforzato dalla grande campagna mediatica che promuove le neuroscienze, che fa dell’autismo un problema del solco temporale superiore – come abbiamo sentito sostenere dalla dott.ssa Monica Zilbovicius – che fa della timidezza, dell’omosessualità, dell’allegria, dell’amore, delle passioni tristi come di quelle gioiose, un problema di biologia. La realtà del nostro mondo, della nostra vita, viene allineata allora in una successione di azioni e reazioni, le psicoterapie trattano i problemi della realtà in cui i corpi sono immersi, e gli psicoterapeuti diventano dispensatori di buoni consigli. La realtà – che Lacan nei primi seminari sosteneva dovesse restare fuori dallo studio dell’analista, come il cappello che si appende prima di varcare la soglia – è il solo terreno su cui operano le psicoterapie mimetiche della scienza. Il filo multicolore deve dipanarsi ordinatamente nel filo monocolore, man mano che gli elementi della realtà si allineano in un ordine predisposto per il buon funzionamento. E tutto in effetti funzionerebbe, se non ci fosse un tranello. La realtà non è fatta solo di dati inerti, come quelli che si trova di fronte l’ingegnere impegnato a progettare una nuova macchina. La realtà umana è intessuta di fantasmi, e il fantasma è quel che dal punto di vista scientista non si può considerare se non come illusione, errore di prospettiva, effetto collaterale. Perché il fantasma, come sappiamo, apre una finestra sul reale, e nella supposta concatenazione lineare della realtà, il reale è un intoppo. Il filo allora si riaggroviglia, nei dati di partenza del problema appare un’insidia nascosta, quel che in inglese si dice un catch, che rende tutto più complicato, anche per lo psicologo con la vocazione di rendere facili le cose difficili. La natura di questo intoppo è ben spiegata dallo scrittore satirico americano Joseph Heller, nel suo romanzo di grande successo Catch 22, che è un comma-trabocchetto nel codice dei piloti nella seconda guerra mondiale: chi è pazzo può essere esentato dalle missioni di di volo pericolose, ma proprio il fatto che chieda di essere esentato dimostra che non è pazzo. È un paradosso che opera un rovesciamento tra la premessa e la conseguenza, facendo della conseguenza una precondizione, come quando si dice che gli immigrati per poter lavorare devono avere la residenza, ma per avere la residenza devono già avere un lavoro. È la variante di un paradosso che conosciamo bene, perché è quello del mentitore, di cui ha ripetutamente parlato Lacan. Prendere la questione del reale dal lato del paradosso significa arrivarci per la via dell’impossibile, la via logica. Si può però considerare la questione in un altro modo. Il catch, l’intoppo, è un punto di singolarità. Con la topologia Lacan ci ha abituati alla nozione matematica di punto di singolarità. In una funzione i punti ordinari sono quelli che si allineano in modo continuo. Il punto si singolarità è invece fuori dalla serie, segna una discontinuità, ed è per questo singolare. Le cose sono così se prendiamo una prospettiva statica. In una prospettiva dinamica, un punto dove la curva s’interrompe è un punto di cambiamento, è un punto dove nella curva succede qualcosa. Nella nostra clinica conosciamo innumerevoli punti di singolarità del genere, quando le cose prendono movimento: il paziente che scoppia in lacrime, o che ha un sussulto di gioia improvviso, o che è preso da uno sbocco d’angoscia, o che ha sentito il clic di qualcosa che ha cambiato posizione in lui. È diverso dal classico insight, dal fenomeno della rivelazione illuminante di un senso nascosto. È qualcosa da cui il soggetto è toccato, affecté, è il tocco del reale. Qualcosa ha lacerato la trama della concatenazione lineare di azioni e reazioni di cui è fatta la realtà quotidiana, per affacciarsi a una dimensione che non è né interna né esterna. A suo tempo Miller aveva utilizzato il termine “extime”, che mi sembra possa perfettamente descrivere la collocazione indefinibile di un movimento irrelato, che non appartiene alla correlazione delle cause estensive perché si spalanca sull’abisso causale, sulla voragine che Lacan chiamava beance. Il filo della clessidra allora s’imbroglia, e il suo tempo si scandisce in un altro modo. Quel che doveva essere una sorta di filo di Arianna non ci porta fuori dal labirinto, diventa esso stesso labirinto. La vera questione infatti non è uscire da labirinto, ma entrarci a tutti gli effetti, entrarci con convinzione, con passo leggero, con passo di danza, giacché la prima origine del labirinto è nella sintassi dello spazio creata dai movimenti della danza. Sì, lo sappiamo, dentro c’è il Minotauro, ma se non vogliamo essere i padroni del labirinto, se non vogliamo essere i padroni del linguaggio, ma semplicemente abitarlo, non occorre che al Minotauro corriamo incontro a spada sguainata, e abbiamo modo di non farci inseguire da lui. L’ultima clinica di Lacan è appunto quella dei nodi, nodi che vengono al pettine e che non si tratta di sciogliere, piuttosto di crearvi dei raccordi, delle epissures, come si esprime Lacan, delle incordonature, ovvero degli aggiustamenti che permettono di stare nel labirinto del linguaggio senza i tagli chirurgici che una logica lineare, troppo lineare, renderebbe indispensabile.
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Settembre 2024
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