di Marco Focchi Il mio paziente alla scuola materna, all’età di tre anni, per un periodo ha avuto alcuni scambi erotici con un compagno, nel corso dei quali i due bambini si manipolavano i genitali e avevano rapporti orali. Si scrive qui la prima marca di un godimento che tornerà, come interrogativo, qualche anno dopo. Alle scuole elementari infatti è preso dal dubbio di essere omosessuale. Per un po’ si trascina nell’incertezza, fino a che decide di parlarne in famiglia, prima alla madre, poi al padre. La risposta del padre ha una sicura efficacia nel placare le sue inquietudini. Gli dice che le sue sono esperienze molto comuni, che a quella età le fanno tutti, che erano capitate anche a lui, e che non vogliono affatto dire che sia omosessuale. Così rassicurato il paziente non si occupa più del problema, traversa l’adolescenza avendo rapporti normali e soddisfacenti con le donne fino al momento in cui, a vent’anni, incontra una ragazza di cui s’innamora. La relazione dura un anno, ma è un anno tormentato e lacerato dal dubbio: vorrebbe, dice, ancora divertirsi, tenere aperto l’orizzonte del possibile sull’universo femminile e rimanere disponibile a nuovi incontri. Al tempo stesso non vorrebbe lasciare questa donna con la quale si trova particolarmente bene. Si dibatte insomma in un dilemma, e dobbiamo notare qui un progressivo slittamento del possibile verso l’inevitabile. Gli incontri possibili lo aspirano in modo quasi ineluttabile, portandolo a rovinare la relazione reale da cui traeva appagamento, giacché con il prolungarsi dei suoi tentennamenti sarà alla fine la ragazza a lasciarlo.
Due o tre anni dopo un episodio segna l’esordio dei suoi attacchi di panico. È capodanno e si trova a trascorrerlo in una località di mare con alcuni amici. Tra questi c’erano un ragazzo suo coetaneo, che considera il suo amico più intimo, e una ragazza con la quale, qualche tempo prima, aveva avuto una relazione poi interrottasi. Dopo la festa comincia e non sentirsi bene. Attribuisce il suo stato al cibo e alle abbondanti bevute, ma da quel momento sente crescere l’angoscia ogni volta che è di fronte al cibo. Poi sviluppa in particolare un’angoscia prima dei viaggi, e ha degli attacchi di panico, che sono quel che lo spinge a chiedere aiuto. Quando lo interrogo per avere dei particolari sulla festa di capodanno, mi dice che la sua ex ragazza, presente quella sera, era piuttosto instabile nei rapporti e tendenzialmente promiscua. Quella notte aveva fatto la corte al suo amico ed era finita a letto con lui, cosa che lo aveva molto disturbato. L’esordio degli attacchi di panico coincide dunque con una situazione che risveglia in lui un fantasma omosessuale attraverso il quale si sente evidentemente messo a confronto con un godimento angosciante. Infatti, mi dice quasi tangenzialmente, ultimamente le sue ansie si sono focalizzate proprio sul timore di essere omosessuale. Gli domando da quando abbia cominciato ad avere questo timore e mi risponde che tutto ha preso avvio da una trasmissione televisiva dove veniva intervistato un personaggio piuttosto noto del mondo dello spettacolo. L’intervistatore gli aveva posto alcune domande sulla sua vita sessuale e lui aveva raccontato che fino all’età di circa trent’anni gli erano sempre piaciute le donne. Da un certo momento in poi si era accorto di provare attrazione per gli uomini, e da lì si è riconosciuto come omosessuale e ha di conseguenza cominciato ad avere rapporti con gli uomini. Questa rivelazione sconvolge il mio paziente: sapere che è possibile passare da una vita eterosessuale a una omosessuale – e il personaggio televisivo è l’inoppugnabile testimonianza di questa verità – lo destabilizza. Ritroviamo anche qui lo stesso scivolamento dal possibile all’inevitabile come al tempo del suo primo amore. L’idea stessa che sia possibile diventare omosessuali dopo essere stati eterosessuali riapre la porta che la risposta del padre aveva saldamente chiuso al momento dei suoi primi dubbi. Comincia allora a fare degli esperimenti. Presta attenzione a uomini che dai media vengono comunemente considerati attraenti, e cerca di capire se riscontra in sé tracce d’interesse erotico. Costeggia questo litorale pericoloso, avvicinandosi a volte abbastanza da essere raggiunto dalla frangia di un’onda, e ritraendosi terrorizzato. Intanto continua ad avere rapporti con le donne, ma questo non basta a rassicurarlo. Non c’è in effetti nessuna prova empirica che possa metterlo al riparo dal dubbio di essere omosessuale. Per questo viene da me come in cerca di un esperto in grado di dargli una risposta scientificamente fondata, e quindi certa, un esperto, in altri termini, in grado di ribadire, su un altro piano, la risposta datagli a suo tempo dal padre. Una volta viene all’appuntamento con un libro cognitivista sui disturbi ossessivi compulsivi che sembra parli proprio di lui, perché ha un capitolo sull’ossessione per l’omosessualità, che espone tutte le necessarie tecniche di rassicurazione. Naturalmente me ne parla spiegandomi che queste non lo hanno affatto rassicurato. Razionalmente – dice – sa di non essere omosessuale, ma il problema è che saperlo non lo libera dalla paura ossessiva di esserlo tuttavia. Inoltre si rende conto perfettamente che qualsiasi rassicurazione non sarebbe credibile, e che la risposta paterna che aveva funzionato al tempo non sarebbe ripetibile. Sogna a un certo punto che l’auto su cui sta viaggiando non risponde bene ai comandi, perde potenza. È a un incrocio, la strada è scivolosa e piena di neve, teme che possa verificarsi un incidente. Se vogliamo prendere le metafore ferroviarie che Lacan utilizza nella postfazione al Seminario XI, per mettere al lavoro questo paziente si tratterebbe di seguire il binario, lettera opaca, del sintomo ossessivo in cui si cifra il godimento omosessuale, per renderglielo meno incompatibile. Ma il mio paziente non sogna né binari né ferrovie, sogna un percorso sdrucciolevole su cui teme di poter sbandare. Ogni volta che il discorso si avvicina all’argomento dell’omosessualità si alzano barriere difensive invalicabili. Mi dice un giorno che non ha niente contro gli omosessuali, come non ha niente contro i barboni, ma certo non vorrebbe essere un barbone. Inoltre, per poter interpellare i segni del godimento occorrerebbe una posizione di supposto sapere che apra in lui la possibilità dell’interrogativo. Al momento però non c’è spazio per questo. La posizione in cui mi mette è quella dell’esperto a cui chiede una garanzia alla quale sa già che non potrà credere, e non ci sono altre leve. In questa posizione la mossa che ho a disposizione è quella di giocare la parvenza* dell’esperto, l’Uomo mascherato che, nel Risveglio di primavera, ti tira fuori dalla tomba, e in cui Lacan riconosce il Nome del Padre come parvenza per eccellenza. In fondo è al padre che il paziente ha fatto appello al primo risveglio delle sue inquietudini, e ora invoca nella stessa posizione, pur sapendola bruciata, un esperto che risolva le cose analogamente. Naturalmente non entro nel ruolo paternalistico di rassicurarlo in un modo che non avrebbe per lui nessuna credibilità. Né gioco a fare l’esperto garantendogli che in base a studi scientifici inoppugnabili le caratteristiche che lui evidenzia non appartengono a quelle della tipologia omosessuale. Gli dico semplicemente che continui pure a fare i suoi esperimenti per vedere se gli uomini lo attraggono, e che potrebbe anche capitargli di sentire effettivamente attrazione. Questo tuttavia non lo obbligherebbe a cambiare il corso della sua vita sessuale. Il fatto di sentire attrazione per un uomo non implicherebbe la necessità di andare a letto con uomini anziché con donne. Spezzo il vincolo della necessità riportando nell’alveo del possibile quel che appariva come lo scivolamento verso l’inevitabile. Prende questo come un’illuminazione: carezzare il possibile non gli sembra spaventoso, se non è costretto a mettere in atto nella realtà quel che i fantasmi gli rappresentano. Può costeggiare il bagnasciuga e lasciarsi lambire dall’onda se sente che l’oceano non lo inghiottirà. Si è trattato in questo caso di occupare la posizione che il soggetto mi dava per usare la parvenza non in modo immaginario, come lui mi chiedeva, in direzione della rimozione, cancellando quel che gli sembrava insopportabile, ma per ottenere un effetto reale, permettendogli di avvicinarsi diversamente al godimento.
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