Marco Focchi Relazione tenuta alla giornata: L'adolescenza oggi, organizzata il 13 maggio 2023 dalla Segreteria milanese della Scuola lacaniana di psicoanalisi. Questa mattina Matteo Bonazzi ha messo in evidenza le due direzioni divergenti che nella psicoanalisi orientano la clinica dell’adolescenza. La prima è quella dominante nell’IPA, fondata sul paradigma evolutivo, dove l’idea guida è che ci siano diverse fasi dello sviluppo, che esse seguano una progressione continua generandosi una dall’altra, e che l’adolescenza sia una di queste fasi. La seconda è quella adottata da Lacan, e si riferisce al paradigma strutturale, dove non è lo sviluppo continuo a caratterizzare i passaggi perché ci sono piuttosto dei tagli, delle scansioni, delle discontinuità. Bonazzi ha poi presentato il tema della degradazione contemporanea del simbolico definendolo come un deficit d’alienazione. Mi sembra un’indicazione significativa, e aggiungerei che questo deficit d’alienazione ha come conseguenza anche un problema relativo alla separazione, ed è una difficoltà che riscontriamo su molti piani nella clinica. Daniele Tonazzo ha parlato della psicoanalisi nell’istituzione scolastica, sottolineando l’importanza di spostare la nostra attenzione dalla dimensione della relazione intersoggettiva, dove ci si concentra sul legame tra insegnante e allievo, al contesto in cui si considera il quadro istituzionale nel suo insieme, per puntare all’effetto che l’istituzione produce nel rapporto tra sapere e vita. Donata Roma ci ha invece dato una luminosa definizione sulla questione dell’autorità nella scuola. Il problema dell’autorità ci viene infatti posto dagli insegnanti, che sentono di non avere più le briglie per governare la situazione nelle classi. Come far valere l’autorità in un modo che non sia meramente repressivo, che non scivoli in un arretramento non più proponibile verso modelli che si affermano solo con l’imposizione? Occorre infatti non farsi prendere dalla nostalgia del passato e cercare di reinventare l’autorità a partire dalle condizioni in cui viviamo oggi. Donata Roma ha chiarito in questo senso il problema introducendo la differenza tra un’autorità fondata sul detto e una emanante dal dire. La prima trae alimento dal passato, dalla tradizione, da un riferimento a quel che, una volta enunciato, e proprio perché enunciato, assume valore di legittimazione: così facevano i nostri avi, così facciamo noi, è l’ipse dixit. La seconda, emanante dal dire, dal qui e ora, si gioca nell’invenzione, nel cimento, nella messa alla prova. Mariangela Mazzoni ha infine rafforzato questa idea mostrando il peso dell’intrusione della famiglia nella scuola, e come questa sia in grado di minare la tenuta dell’istituzione scolastica, il suo prestigio, la sua autorevolezza. Verso una clinica dell’adolescenza Da parte mia vorrei affrontare il problema dell’adolescenza sul piano clinico, e riprenderei per questo uno spunto proposto qualche anno fa, quando avevo definito l’adolescenza come questione della soglia, dove la soglia non è assimilabile a una linea di confine da attraversare, perché va piuttosto considerata come un luogo d’evento. Contrariamente alla prospettiva presa dall’IPA, come già detto, nel Campo freudiano non vediamo l’adolescenza come una fase che ha un’apertura e una chiusura e che è presente in una scala progressiva insieme ad altre fasi, secondo il modello inaugurato da Abraham. Diciamo invece che l’adolescenza è il tempo, la scansione in cui le trasformazioni che il corpo subisce nella pubertà incontrano un loro riconoscimento soggettivo, venendo simbolizzate e collocate. Presa in questo senso, l’adolescenza non è un momento di crescita, di evoluzione che porta alla maturazione e all’accesso alla vita adulta. Piuttosto è lo stacco in cui – come suggerisce Lacan – si verifica una nuova sintesi dell’io, che riprende in un diverso quadro soggettivo le spinte pulsionali affioranti nell’incontro con il corpo dell’altro.
Questa definizione appartiene al Lacan degli anni Cinquanta, e s’inserisce nella prospettiva hegeliana in cui Lacan sta in quegli anni ripensando la clinica. Nei Lineamenti di filosofia del diritto Hegel considera l’infanzia come il tempo dell’innocenza, quando il soggetto è in accordo con se stesso e col mondo circostante. Questo stato edenico s’infrange nell’adolescenza, nel momento in cui il soggetto viene in opposizione con il mondo, per ripristinarsi nella sintesi della maturità, quando l’uomo sente compiuto l’ordinamento etico del mondo. Quel che Hegel non poteva mettere in conto nel suo sviluppo dialettico è quel che ha mostrato Freud: che l’infanzia è molto meno edenica di quanto il filosofo potesse immaginare non avendo nozione della sessualità infantile. Lacan evidenzia infatti che le pulsioni dell’infanzia vengono riprese su un piano diverso, e che l’opposizione dell’adolescenza con il mondo – fenomeno allora incontestabile, mentre oggi questa opposizione è molto minore – si accompagna con un aspetto meno immediatamente avvertibile, che è quello in cui l’autoerotismo infantile esce dal proprio avvolgimento in se stesso per dirigere l’attenzione all’altro, al corpo dell’altro, appartenga questo all’altro sesso oppure no. È questo spostamento d’attenzione a implicare un riordinamento etico, non tanto però nel senso della raggiunta compiutezza, quanto piuttosto in direzione della necessità di far posto alla mareggiata che la spinta della sessualità provoca imponendosi come fattore inaggirabile. Bisogna aggiungere che non si tratta solo della propria sessualità, perché anche la sessualità degli adulti va a turbare, a offuscare, a inquinare il quadro di riferimento ideale che gli adulti hanno costituito nel tempo dell’infanzia. Nella contemporaneità il rimaneggiamento etico indotto dalla sessualità lascia il soggetto alla deriva anziché portarlo al conflitto perché è venuto meno l’antagonista con cui entrare in conflitto. Il dramma edipico attraverso cui si trasmette la norma del desiderio è infatti oggi sostituito da una tollerante omogeneità di ruoli, da una tutela iperprotettiva o da un’amichevolezza disorientata. Il fatto che ci sia la sessualità, che la sessualità non sia solo il mio piccolo segreto nascosto, che riguardi le figure per me di riferimento, modello e guida, questo è parte determinante del rimescolamento etico, della tempesta che traversa il passaggio adolescenziale. Per l’adolescente oggi infatti la sessualità si mostra fuori dal gioco delle parvenze, nella sua presenza nuda e oscena. L’estinzione dei riti di passaggio I riti di passaggio dell’adolescenza nelle culture tribali studiate dagli antropologi, in particolare da Van Gennep, sono riti che rivelano i segreti della tribù, che trasmettono la conoscenza del mondo dietro il mondo, il repertorio mitologico in cui si riconosce lo spirito di un popolo, il fondamento e il radicamento della tribù nel tempo primordiale. I riti di passaggio sono insomma la rivestitura simbolica che viene oggi lacerata dal prepotente presentarsi del sesso nella sua cruda inaggirabile realtà. I miti sono da sempre necessari proprio perché il sesso non ha parole per dirsi: il sesso e la morte sono infatti i grandi irrappresentabili. È un po’ come nel racconto di Borges La setta della fenice, dove si parla di un rito che assicura alla setta l’eternità, e che costituisce un segreto. L’iniziazione al mistero è compiuta da individui di basso rango. Non sono le madri a trasmetterlo ai figli, anche se può trasmettersi da bambino a bambino. Non ci sono templi per l’esecuzione del rito: una rovina, un sotterraneo o un corridoio possono fare all’uopo. Non ci sono parole decenti per nominarlo ma tutte in fondo lo dicono o vi alludono. Nel rito della setta passa silenziosamente, in modo sotterraneo, quella sessualità che oggi è spogliata di ogni mitigazione. I grandi sistemi mitologici di ogni tribù, di ogni popolo, di ogni tempo, sono la messa in forma di questi grandi indicibili, e costituiscono le strutture simboliche entro le quali gli individui imparano come muoversi, come rapportarsi agli altri, come amare, come combattere, come vivere o come morire. I sistemi mitologici trasformano gli indicibili in valori, in ideali. I riti di passaggio sono il ponte che aiuta a varcare la linea d’ombra tra l’innocenza dell’infanzia e l’incontro in cui si fa esperienza diretta degli indicibili. Come si pone per noi oggi la struttura di questo cruciale passaggio, per noi che viviamo in un mondo dove l’unica vera struttura simbolica è quella del mercato che organizza la circolazione delle merci e dei capitali? Tutta la variegata ricchezza narrativa della mitologia, come già diceva Marx nel 1848, si è oggi ridotta, e non lascia altro “vincolo tra uomo e uomo che il nudo interesse”, diluendo la dignità personale in valore di scambio, strappando il commovente velo sentimentale al rapporto familiare, riconducendolo a puro rapporto di denaro. In questo depotenziamento narrativo-mitologico, in questa scarnificazione dei valori che si inscenano oramai solo come valori di mezzi e di denaro, i riti di passaggio sono svaniti. L’adolescente che da innocente fanciullo si trasforma in uomo può avere come guida solo la carriera, il successo, il guadagno. Queste sono infatti le storie che in ultima istanza reggono l’ordine simbolico del sociale in cui viviamo. La morte e il sesso si presentano con il loro volto nudo. L’educazione sentimentale passa attraverso la pornografia, e la sessualità è resa accessibile quasi senza barriere, e quindi privata di aura. Quando i genitori sono disponibili a ospitare a casa gli incontri erotici dei figli, il sesso diventa meno appetibile, non è più quell’occasione rubata, quel momento furtivo sottratto alla vigilanza censoria degli adulti. Per quanto riguarda la morte il problema è quando si presenta più sotto l’aspetto della soluzione che della preoccupazione. In Italia sono quasi quattromila in un anno le persone che si tolgono la vita, e circa cinquecento sono gli adolescenti. Il suicidio viene ad essere la terza causa di morte più comune per i giovani tra i dieci e i diciannove anni. Lo si riscontra con maggiore frequenza tra i maschi, tre volte più che le femmine, dato questo interessante, che ci dice qualcosa sulla crisi del simbolico patriarcale di cui vediamo i contraccolpi concreti, se questa crisi non viene gestita. Queste cifre spaventose ci dicono che un numero impressionante di ragazzi non riesce a vedere un futuro, non riesce a trovare un senso nella vita e a considerare che valga la pena di continuare. Perché la sola prevenzione al suicidio è offrire uno scopo nella vita. Le patologie tipiche Il venir meno di una struttura del simbolico entro la quale abbiano senso i riti di passaggio, la cancellazione dei solchi che guidano il passaggio in cui si è varati nella vita, porta a una serie di ricadute che riconosciamo nelle patologie tipiche dell’adolescenza. Si tratta principalmente di ricadute sul corpo, di veri e propri attacchi al corpo. La mancanza di un passaggio simbolico riconoscibile si manifesta nel contraccolpo sul corpo. Pensiamo per esempio ai tagli. Il fatto di tagliarsi, è riconosciuto come un modo per gestire l’angoscia. Trasformare la pressione crescente dell’angoscia in dolore fisico aiuta a renderla sopportabile. Ma non è il solo aspetto. C’è nel taglio un risvolto rituale, un rito che si comunica orizzontalmente. L’assenza di un rito codificato trasmesso attraverso la generazione adulta viene surrogato da un rituale che i ragazzi si passano tra loro. Ho visto in analisi diversi adolescenti che si tagliavano perché i loro compagni lo facevano. I modelli di comportamento si propagano tra i pari, e quel che non è possibile trovare alzando gli occhi verso il mondo adulto viene cercato girando lo sguardo in orizzontale verso i coetanei. Vengono di solito indicati come responsabili i genitori assenti, distratti dalle loro occupazioni, incapaci di vedere le problematiche dei figli. Certo, spesso i genitori sono assenti, non sanno ascoltare, sono presi dai loro impegni. Ma i genitori più democratici, più rivolti ai figli, più preoccupati per la loro salute e il loro benessere mi portano a volte i loro ragazzi perché l’attenzione, la presenza, la dedizione, non servono a nulla se non hanno al tempo stesso la forza di segnare delle linee guida, dei modelli, delle forme di esemplarità autorevole. Siamo passati oggi da un modello di famiglia normativa alla configurazione di una famiglia affettiva, ma questa si verifica non essere una soluzione agli inconvenienti generati dal conflitto con le norme. La famiglia affettiva presenta infatti i suoi inconvenienti, molto diversi da quelli prodotti dalle famiglie normative, ma non meno difficili da trattare. La famiglia affettiva può anche essere avvolgente, confortevole fino a un certo punto, ma può anche creare una situazione che rende difficile la separazione. In una casa dove tutto l’accudimento materiale è garantito certo si rimane comodamente, ma non è tanto questo a ostacolare il distacco. È piuttosto quel sovraccarico protettivo di affettività tentacolare, penetrante, sensuale che si spinge fino a diventare oppressiva e soffocante. Si potrebbe immaginare una soluzione nella fuga, e nei casi meno critici lo è. Spesso però il contraccolpo patologico del surplus affettivo è quel fenomeno di ritiro sociale che è stato identificato originariamente in Giappone con il termine di Hikikomori. La permanenza prolungata all’eccesso nel bozzolo familiare smussa la capacità di affrontare il mondo, di confrontarsi con un’alterità, qualunque essa sia. Lo psichiatra che per primo ha caratterizzato l’Hikikomori, Saito Tamaki, lo ha descritto in un libro intitolato Adolescenza senza fine. Io non descriverei in questi termini la situazione del ritiro sociale. Si tratta piuttosto dell’impossibilità di un inizio, dell’incapacità di varcare una soglia, di superare la linea d’ombra. L’adolescente è bloccato in una stasi dove non è né di qua né di là. Non è più nel bozzolo famigliare confortevole nell’infanzia, diventato invivibile, e non è di là perché non è in grado di affrontare il cimento della vita. Né bambino né adulto, l’adolescente si trova allora imprigionato in un tempo senza orizzonte che si trasforma in stagnazione. L’adolescenza diventa patologica quando ci troviamo di fronte a questo stallo da cui l’orizzonte progettuale sfuma, non giunge mai ad aprirsi. Se la sindrome di Peter Pan di cui aveva parlato Dan Kiley negli anni Ottanta inquadra una difficoltà ad assumersi delle responsabilità, il ritiro sociale è un passo al di qua. Non è infatti la condizione di chi cerca rifugio in un’eterna fanciullezza. L’adolescente del ritiro sociale è piuttosto una creatura ibrida, che acquisisce man mano i caratteri dell’adulto senza essere in grado di integrarne i requisiti psicologici e sociali. Se nel ritiro sociale c’è l’estrema chiusura, la ricerca di un vacuolo in cui esistere come unico ambiente abitabile, la sindrome di Peter Pan rispecchia piuttosto la situazione di quegli studenti che, terminati gli studi secondari, si prendono un anno sabbatico prima di iniziare l’università, poi due, poi tre, uscendo in un orizzonte aperto ma non navigabile. È lo scacco dell’esame di maturità come rito di passaggio. La crisi d’autorità dell’istituzione scolastica Dobbiamo dall’altra parte domandarci perché l’esame di maturità non costituisce più una linea di demarcazione, un passaggio a un’altra fase della vita. L’istituzione scolastica, si sa, è andata man mano perdendo autorevolezza. Laura Pigozzi, nel suo libro Adolescenza zero, ha ben descritto questo processo. Sin dalle elementari comincia un braccio di ferro fra le famiglie e la scuola che tende sempre più a riassorbire quest’ultima nei tentacoli della gestione famigliare. Al sorgere di un problema assistiamo a un rimpallo infinito di responsabilità e a una contesa esasperante. L’erosione del terreno autoritativo della scuola prosegue man mano nei gradi superiori di istruzione grazie anche alle riduzioni di fondi per finanziare la scuola che la rendono progressivamente dipendente dai sovranismi familiari e dalla logica di mercato. Nella misura in cui lo Stato da meno soldi alle scuole, queste sono costrette a reperire fondi sul territorio. L’assorbimento della scuola nelle logiche di mercato la mette in balia dei rapporti di forza con i finanziatori. Inoltre i genitori entrano nei Comitati di valutazione degli insegnanti acquisendo il potere di influire sull’orientamento degli insegnamenti. È chiaro che quanto più si allunga l’ombra del mercato sulla scuola tanto più si riduce il suo prestigio e di conseguenza il valore simbolico dei passaggi da essa decretati. Dal senso di colpa alla vergogna Lo sbriciolamento generalizzato delle barriere simboliche si nota anche in un altro peculiare tratto della contemporaneità: la sostituzione del senso di colpa con la vergogna. Gli oggetti che sostengono il senso di colpa, lo sguardo e la voce, lo sguardo interiore che non consente nascondigli e la voce della coscienza che non si può tacitare, sono articolati sul piano simbolico con il Nome del Padre. L’indebolimento delle strutture simboliche, il ritrarsi della funzione paterna, il contrarsi sul piano sociale di tutto ciò che è autorevole, fanno saltare la barriera che consente l’interiorizzazione del rimprovero. Lo sguardo diventa allora lo sguardo del mondo, la gogna sui social per esempio, la voce diventa vox populi senza essere più vox Dei, diventa beffa e derisione. La vergogna è la messa a nudo, sotto forma di oggetti pulsionali, di quel che, se arginato dai bastioni dell’autorevolezza, offre una via d’uscita, nell’assunzione di responsabilità e nella possibilità di emendarsi. Lo svergognamento pubblico, amplificato dai social, espresso come derisione corale, non lascia vie d’uscita perché si è già fuori, si è in piena esposizione. Lo mostrano fin troppo bene i suicidi seguiti a episodi di cyberbullismo, che lasciano come sola via d’uscita il salto dalla finestra. L’estinzione dell’orizzonte progettuale I riti di passaggio, le straordinarie mitologie, le grandi narrazioni che introducevano una volta allo spazio delle comunità dando dignità all’individuo e definendo il suo posto, con il capitalismo, dicevamo, sono stati sostituiti dalle promesse della carriera, dal denaro, dal guadagno. Prospettive queste che non hanno forse lo stesso potere di captazione delle antiche storie, ma che hanno tenuto almeno fino all’epoca neo-liberista che stiamo attraversando, con la deregolamentazione dell’economia e del mercato, l’estrema polarizzazione della diseguaglianza, lo smantellamento dello stato sociale, l’accentuazione della dimensione penale e securitaria, la precarizzazione del lavoro, l’esplosione dei costi abitativi in città come Londra, Parigi, Milano, la privatizzazione di esercizi e aziende pubbliche, lo stallo della mobilità sociale ascendente. Nelle prospettive attuali, carriera e guadagni sono traini molto meno disponibili e non funzionano più da sostituti dei riti di passaggio con forza incentivante per il giovane che si affaccia alla vita adulta. Possiamo capire allora lo stallo, il ritiro, il rifugio nella forma di dipendenza tossica, l’abbandono degli studi e tutta quella moltitudine di contraccolpi sintomatici che pesano sulle spalle dei giovani affacciati alla soglia dell’adolescenza, una soglia che può apparire insuperabile e che lascia languire in una secca inamovibile se non si riattivano le misure di desiderio un tempo innescate dalla sfida, dalla ribellione, dal contrasto degli ostacoli del mondo e che oggi possono accendersi solo bruciando la bambagia affettivo-tutelante in cui i giovani sono avvolti, protetti e al tempo stesso soffocati, per farne un nuovo propellente.
6 Commenti
Maria Teresa Coppola
13/6/2023 09:11:08 am
Molto interessante e illuminante in vari passaggi
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Nazzareno
18/6/2023 07:51:46 am
Come uscirne? Si deve ripensare a un modello di sviluppo non a una dimensione: l interesse economico ma che tenga conto di altre dimensioni. Marx racconta che nel 2000 si può lavorare solo 2 ore al giorno per il sostentamento poi il tempo si passa con i figli, e a coltivare i propri interessi...ma questo in una società comunista che lui ha nella sua testa ...ma come sappiamo non è pervenuta...e allora ci aspetta una grande traversata del deserto e speriamo di trovare un oasi alla fine
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Paolo Stermieri
30/6/2023 09:04:31 am
Lo scopo della vita è trovare il tuo dono
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Francesca Rinauro
12/7/2023 10:47:09 am
Amare i figli nel senso di farli sentire riconosciuti e protetti con equilibrio rispetto alla loro necessaria assunzione di responsabilità per crescere e poi emanciparsi è la sfida che affronta ogni genitore.
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Simona D'Amato
26/8/2023 05:43:25 pm
Analisi lucida e impeccabile, illuminante. Resta purtuttavia seria la difficoltà dei genitori trovare una via, un sentiero in cui potersi muovere e districarsi nel mezzo delle insidie presenti e oggettive dei tempi attuali. Occorrerebbe pensare un cambio di rotta che riguardi non solo l'approccio genitoriale, affettivo e normativo insieme, che stimoli la sperimentazione e supporti senza sostituirsi, ma che coinvolga a diversi livelli e prospettive comunità e società. Facile a dirsi...
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Gianluigi
25/10/2023 02:38:26 pm
è dilaniante quando ti innamori di una donna che per curare queste ferite che portano a sentire il vuoto assoluto dentro di sé, è diventata alcolista e considera il sesso impulsivo e promiscuo come unico modo di connettersi al mondo esterno e non sentirsi sola.
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