![]() Conversazione con Marco Focchi realizzata da Viviana Berger VB: Nel tuo articolo“Cleopatra vuelve” pubblicato nel periodico argentino Página 12 (www.pagina12.com.ar/diario/psicologia/9-202162-2012-08-30.html)** sviluppi una prospettiva molto interessante sulla versione femminile dell’autorità, riflettendo sull’acuta risposta che Cleopatra dà a Giulio Cesare: “Non sono tua schiava, piuttosto tu sei mio ospite”. Cleopatra sorprende Cesare, già nel modo in cui se presenta nel Palazzo, e in ogni risposta che dà in queso incontro. Sa farlo ridere, lo cattura con la sua audacia, lo stupisce – cosa certamente difficile in un uomo come Cesare!… Tu collochi in questo punto – mi sembra di capire – il segreto del potere femminile, nella capacità cioè di produrre un evento in modo imprevisto. Da parte sua, Giulio Cesare sa arrendersi di fronte a questo, ma non si fa imprigionare, e così si mantiene viva la magia della relazione... In questo gioco, sono famosi gli abbigliamenti di Cleopatra, i suoi mascheramenti. Quale credi sia il valore della parvenza in questa dialettica? MF: La parvenza ha senz’altro un ruolo centrale in questa dialettica. Il gioco a sorpresa, quando Cleopatra si fa introdurre nel Palazzo “travestita” da tappeto, se così possiamo dire, fa parte della rete di inganni, di trappole, di parate, da cui il potere e la seduzione attingono i propri strumenti. Quel che mi sembra interessante, nell’esempio di Cleopatra, è però il diverso uso della parvenza. L’autorità maschile fa leva sulla parvenza fallica, che esibisce la propria forza con la parata militare: avanzano allora le armi, i cannoni, i carri, la marcia cadenzata dei soldati. La parvenza nel maschile si fa strada a passo di parata, e presenta la parte per il tutto. Nel femminile, come vediamo con Cleopatra, la parvenza è usata in modo diverso: Cleopatra mette in gioco non una parte ma tutta se stessa. Lo fa prima quando si nasconde e si manifesta, ed è irresistibile nel film di Mankiewicz, il modo in cui Litz Taylor esce arruffatta e scarmigliata dal tappeto che Cesare srotola con una certa rudezza. Lo fa poi quando con una mossa di judo verbale rovescia gli ordini di Cesare. Mi sembra l’aspetto più innovativo in cui possiamo vedere la nozione di autorità declinata al femminile: non c’è un distanza, non è qualcosa che viene dall’alto o da una qualsivoglia forma di trascendenza. C’è piuttosto una messa in gioco del corpo, e questo implica una relazione orizzontale, una modalità d’azione molto più diretta. L’autorità femminile non si mette sul piedistallo, ma non è per questo meno efficace, anzi.
VB: Sappiamo che, prima dell’incontro con Giulio Cesae, Cleopatra manda a chiamare Jehosheba – la più esperta delle prostitute, la quale oltre ad alcuni consigli tecnici le dice qualcosa come “Ogni uomo ha un’immagine che sogna di se stesso con una donna, e il tuo compito è di realizzare questo sogno. Quanto più ti avvicini al sogno, tanto più riuscirai a soddisfarlo… Dimentica pozioni e profumi. L’incantesimo consiste nell’evocare questo desiderio e questo sogno e dar loro vita”. Così immagina Margaret George nel suo libro Le memorie di Cleopatra. Potremmo a questo punto pensare un’altra fonte del del potere femminile… occupare l’oggetto del fantasma maschile – in termini lacaniani… C'è però un dettaglio che determina la questione. La frase continua: “Se riesci a farlo, tu stessa cambierai e potresti innamorarti di quest’uomo”. Questo potere della donna la mette dunque a confronto con il disconoscimento di se stessa, con quel che è la sua indescriptible e ineffable divisione. Cosa succede, in questo senso, con il podtere da parte degli uomini? Il potere li mette a confronto con il buco o piuttosto, al contrario, li fa consistere nella loro dimensione fallica? Che conseguenze derivano da questa dialettica? MF: Quando Jehosheba avverte Cleopatra che diventando l’immagine del desiderio maschile, lei stessa può innamorarsi, accorgendosi che questo corrisponde al suo sogno più intimo e segreto, Cleopatra le domanda: “Ti è mai successo?” e Jehosheba scuote la testa ridendo e dice: “No, ma c’è sempre una volta successiva”. Non è quindi tanto il disconoscimento di sé il rischio che l’esperta amatrice segnala, ma quello di un riconoscimento più profondo, quello di scoprire che era proprio divenire quell’oggetto di desiderio ciò che lei stessa desiderava. Perché, in questo contesto, viene detto che innamorarsi è un rischio? Innamorarsi non è forse ciò che, in un momento della loro vita, tutti vorrebbero per dimenticare la quotidianità ed entrare in quello stato in cui la magia di guardarsi, di toccarsi, di cercarsi sovrasta ogni altra preoccupazione? Se nel dialogo tra Cleopatra e Jehosheba l’amore è un rischio è perché la posta in gioco è il potere. Certamente nella partita dell’amore il potere maschile è messo a repentaglio, l’uomo cade in un buco. Nell’amor cortese il cavaliere che ama non si accosta alla Dama come suo padrone, ma come suo servitore. Per la donna è diverso, perché nel gioco di seduzione e nell’innamoramento acquisisce un potere sull’uomo. Naturalmente la seduzione è un fattore del potere femminile – ma dobbiamo qui accuratamente distinguere potere e autorità – se la donna tiene i fili della seduzione senza farsene tenere, e credo sia questo il senso del rischio segnalato da Jehosheba. La seduzione diventa un potere se evita quella reciprocità che Dante segnala quando scrive il suo verso indimenticabile: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”. Notas: ** Exposición contenida en el volumen del VIII Congreso de la Asociación Mundial de Psicoanálisis El orden simbólico en el siglo XXI no es más lo que era. ¿Qué consecuencias para la cura?, que distribuye ed. Grama.
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