Intervento alla tavola rotonda del 26 gennaio 2018, presso l'Istituto freudiano, sede di Milano Marco Focchi Sullo spazio globale abbiamo oggi occasione di dialogare con Matteo Vegetti, autore di uno dei testi più interessanti usciti sull’argomento: L’invenzione del globo. Vegetti parte dalle tesi di Carl Schmitt, che illustra la storia della globalizzazione a partire dal momento in cui, con la scoperta dell’America, si apre lo spazio degli oceani, con il seguito di espansione coloniale, di conquista, di creazione di un mercato globale che ne derivano. Schmitt vede questa fase storica alla luce della lotta mitica tra il Leviatano, mostro marino che rappresenta l’apertura d’orizzonte sul mare, e Beemot, mostro ctonio che esprime il nomos della terra. Da qui Vegetti prende spunto per esplorare il nuovo spazio che si apre invece dopo la conquista dell’aria, che vuol dire la possibilità della navigazione aerea, ma anche – e per noi soprattutto – la circolazione di dati che si affrancano dalla dimensione materiale del cartaceo e cominciano a battere le vie dell’etere, con le onde radio, con le trasmissioni televisive, e oggi soprattutto con Internet. Lo spazio di Internet – che nasce in modo assolutamente deregolamentato, che azzera le distanze della comunicazione, che accelera l’enorme flusso di dati, ovvero la moneta con cui paghiamo i servizi che ci rende – contiene in sé il duplice principio antitetico della globalizzazione: quello che implica lo sradicamento territoriale e la rottura delle frontiere e, al tempo stesso, quello del tempo in cui si costituisce lo Stato Sovrano, che sorge proprio insieme all’apertura dello spazio degli oceani. In che modo ritroviamo in Internet l’antitesi del legame con il territorio e della rottura delle frontiere? Per quanto Internet sia fatto di flussi, nasce tuttavia in un luogo preciso, che sono gli Stati Uniti, e passa per dei nodi, che sono elementi fisici, per esempio dei fornitori d’accessi, che sono geograficamente collocati e legati a principi territoriali. Abbiamo visto infatti che nelle recenti sommosse iraniane una delle prime cose che il governo iraniano ha fatto è stato bloccare Internet. Oppure in Cina, quando gli attivisti politici cercavano di attingere alle informazioni messe a disposizione dai blog occidentali, venivano immediatamente reindirizzati su siti pornografici. Ma anche nel mondo libero, nelle democrazie occidentali, chi governa la rete – idealmente aperta e libera – se non chi scrive i codici, chi formula gli algoritmi? Google non è soltanto il più grande motore di ricerca del mondo, è anche la più gigantesca macchina pubblicitaria del pianeta, che insinua la logica del marketing nelle nostre ricerche, distorcendone i risultati.
Occorre quindi vedere come l’occupazione dello spazio aereo da parte di Internet contribuisca a riformulare e a redistribuire i rapporti di potere nel mondo globalizzato. I poteri oggi sono diffusi, non sono necessariamente legati a luoghi istituzionali. Il paradigma reticolare – che permette al capitale finanziario di viaggiare ventiquattrore su ventiquattro sette giorni su sette, senza che ne sia possibile una localizzazione – indubbiamente altera gli equilibri con la politica. Si dice spesso che la politica viene subordinata al potere finanziario. Si tratta di vedere piuttosto se non se ne renda necessariamente complice. Dove diventa impossibile controllare i nuovi poteri forti, quelli radicati nelle Corporations, al servizio delle quali nascono gli algoritmi che ci governano, il potere politico diventa il facilitatore delle necessità che da esse emanano, e questo spiega in parte il dominio planetario incontrastato del neoliberismo. Interessante è l’effetto di questo nuovo governo del mondo, che è di una crescente divisione tra le fasce garantite della popolazione e quelle precarizzate. Gli studiosi valutano che dal punto di vista della razionalità economica non ci sia nessun vantaggio nel mantenere in stato di precarietà un numero crescente di giovani in cerca di occupazione. Costa molto di più mantenere una percentuale di persone fuori dal mondo del lavoro che tentare di inserirla. Sicuramente però la precarizzazione è una forma di controllo sociale straordinariamente efficace, che si sostituisce alla gestione sindacale in modo estremamente funzionale dal punto di vista del capitale. Grazie alla nuova situazione non assistiamo certamente più alle grandi lotte sindacali degli anni Settanta. La grande apertura ai flussi di ogni genere realizzata dalla globalizzazione ricade, come contraccolpo, in una forma di segregazione realizzata dalla precarizzazione. Consideriamo ora l’effetto che la rete ha sul legame sociale. Nell’ultima intervista pubblicata su La cause du desir Eric Laurent nota come, trasformandosi nella sentina di tutti gli umori, veicolo privilegiato degli odiatori, discarica delle fake news, la rete corrompe la fonte del legame sociale. Sul piano politico in primo luogo, quando vediamo che gli hackers russi possono influenzare le votazioni americane e possiamo immaginare cosa succederà con le nostre elezioni a marzo, preparate da selezioni del personale politico tramite la piattaforma Rousseau. In secondo luogo sul piano del rapporto con il sapere, che non passa più necessariamente per legami di traslazione tra maestro e allievo e fornisce informazione spicciola e standardizzata. Sul piano poi del rapporto con il desiderio, di cui provoca la caduta attraverso la inesauribile accessibilità del porno. Sul piano del discorso analitico non direi che possiamo parlare di corruzione, ma certamente la psicoanalisi ne è investita sia per le potenzialità organizzative di legame e di scambio createsi nella nostra comunità attraverso i blog, che ormai sostituiscono le pubblicazioni cartacee, sia per la possibilità aperta da Skype, che ci permette contatti con i colleghi in diversi continenti, supervisioni tra persone che abitano in paesi distanti, analisi che non sono costrette a lunghi periodi di sospensione dovuti alla crescente mobilità del lavoro. Sullo sfondo di tutto questo vorrei aggiungere una riflessione: lo studio, in senso fisico, la stanza dove lo psicoanalista riceve, è un luogo, e in quanto tale è diverso dallo spazio virtuale, che per l’appunto è spazio e non luogo. Nel momento stesso in cui annulla la distanza, rendendo possibili combinazioni prima impensabili, la rete crea lo spazio come ciò che prende il posto del luogo. Il luogo è invece qualcosa dove occorre passare. È una montagna, una foresta, una città, un locale, implica un tempo di attraversamento, ed è affollato, è caratterizzato dalla ressa, come fa notare Jacques Alain Miller in Le lieu et le lien. Lo spazio può essere svuotato, ridotto a zero proprio perché non richiede attraversamento. Con questo penso alla traversata del fantasma, che costituisce l’essenziale dell’esperienza d’analisi. Il rapporto con il topos – la topologia di Lacan – è essenziale nell’esperienza psicoanalitica. Dobbiamo quindi fare attenzione che la facilitazione dello spazio, portando a zero le distanze, non annulli il luogo nella sua singolarità, che in quanto tale è irriducibile a zero. Il luogo è luogo di legami, di contraddizioni, di opacità, di schermi, di apparizioni, di verità, di tutto ciò che resiste alla neutralizzazione numerica dello scientismo e degli apparati burocratici, è una sorta di disfunzionalità da questi punti di vista, ma senza dubbio è un’apertura di vita dal nostro.
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