![]() Ripresa di alcuni temi sviluppati nel dibattito dopo la conferenza tenutaa Milano il 5 maggio 2013 nell'ambito della rassegna Filosofia sui Navigli di Marco Focchi Dopo la pubblicazione del mio libro Il glamour della psicoanalisi ho ricevuto diverse richieste d’intervista da parte di giornali di moda. Le ho rilasciate molto volentieri, ma vorrei cogliere l’occasione per precisare le ragioni del titolo che ho dato, che in sé non sono legate alla moda. Glamour, nel modo in cui lo intendo nel libro, è un concetto. Il primo a dare dignità letteraria al termine è stato Walter Scott. Glamour è infatti una parola derivata dall’antico scozzese e indica una sorta d’incantesimo che porta a vedere le cose diverse da come sono e, generalmente, più belle di come sono. È, come lo definiscono gli studiosi di sociologia che si sono occupati del problema, un make-believe, qualcosa che fa leva sulla credenza. Nel libro mi è sembrato urgente intraprendere una decisa critica a quello che considero l’ideologia dominante contemporanea, l’ideologia di quella che è stata definita come l’età che ha superato le ideologie, e cioè lo scientismo, che ritiene di poter rifiutare il ricorso alla credenza appellandosi alla certezza.
Nella scienza si lavora con un metodo ben preciso, fondato sull’osservazione e sul calcolo matematico, che Galilei riassumeva con l’espressione “sensate esperienze e certe dimostrazioni”, ovvero esperimenti sensibili, osservabili, e dimostrazioni in grado di offrire la certezza della matematica. La nostra epoca è socialmente orfana di certezze. Fino a un paio di secoli fa ognuno sapeva quasi sicuramente dove avrebbe vissuto, cioè più o meno nel luogo in cui era nato, che lavoro avrebbe fatto, ovvero quello dei genitori, e dove sarebbe andato dopo la morte. Il mondo postilluministico si è progressivamente lasciato alle spalle le sicurezze derivanti dalla teologia e dalla tradizione. Oggi, in un’epoca in cui l’uomo sperimenta il disorientamento derivante da questa perdita di certezze, chi lavora come psicoanalista o come psicoterapeuta assiste al fenomeno di una crescente richiesta d’aiuto per problemi legati gli attacchi di panico. Soppiantando le patologie alimentari, l’attacco di panico è diventato ormai il motivo prioritario che induce a cercare l’intervento psicoterapeutico. Questo trova la propria ragione nella conformazione del simbolico appartenente all’epoca in cui viviamo. La mancanza delle bussole della tradizione fa sentire infatti l’uomo contemporaneo senza appigli, in preda a un disagio che non sa incanalare in nessuna via simbolica preconfigurata. Il senso d’essere abbandonati a se stessi provato individualmente da chi vive in un mondo uscito dai sicuri binari della tradizione, porta allora a cercare la certezza nella sola fonte di sapere in grado di fornirla: la scienza. I dispositivi che forgiano l’opinione, i media, diffondono e amplificano l’idea che solo ciò che è scientifico è attendibile, solo ciò che è calcolabile è credibile, solo ciò che è evidence based è vero sapere. Questo spinge l’applicazione del metodo scientifico in campi estranei a quello per cui si è formato, campi che riguardano la soggettività, ovvero qualcosa di diverso dagli oggetti inerti che, proprio perché inerti si prestano al calcolo. Lo scientismo è per l’appunto quest’applicazione impropria del metodo scientifico a domini di sapere che per loro natura si sottraggono al calcolo. La scienza trionfa destituendo le apparenze. Che il sole giri intorno alla terra, per esempio, è un’illusione che solo il sapere scientifico è in grado di dissipare. Si ritiene allora che le apparenze, in tutti i campi, siano di per sé contrarie al movimento del sapere. Le apparenze sono per altro verso un potente fattore di suggestione. Se, in effetti, per esempio vogliamo stabilire l’efficacia della sostanza attiva in un farmaco, è necessario discriminare rispetto a quelli che potrebbero essere gli effetti suggestivi della somministrazione legati alla personalità di chi somministra il farmaco e di chi lo riceve. Gli esperimenti a doppio cieco sono realizzati proprio allo scopo di aggirare l’effetto suggestivo: a un gruppo di pazienti viene somministrato il farmaco attivo e a un gruppo di controllo un placebo, e né i pazienti né i medici sanno quale gruppo riceva il farmaco attivo e quale il placebo. Questo permette di evitare che suggerimenti possano passare anche per via inconsapevole dai medici ai pazienti, viziando il risultato se, per esempio, un farmaco funziona per via del carisma personale del medico che lo somministra. Va da sé che in una terapia, come quella psicoanalitica, che non fonda il proprio effetto sulla somministrazione di sostanze, ma sull’uso della parola, tale tecnica sperimentale non avrebbe nessun senso. È la parola a esercitare un effetto, e la parola non è mai disgiunta da chi la pronuncia, dal punto di enunciazione, e la credibilità del punto di enunciazione è un fattore determinante per l’efficacia della parola. Non è un caso infatti che quelle che Freud chiamava le professioni impossibili, la politica, l’insegnamento, la psicoanalisi, si fondino sulla parola e sulla sua credibilità. Quando l’effetto di un’azione non viene dalla tecnica e dalla concatenazione naturale delle cause e degli effetti, delle azioni e delle reazioni, ma passa per la via immateriale delle relazioni umane, l’effetto si produce a partire dalla credibilità di chi parla, si basa sul suo prestigio, sulla sua reputazione. Non c’è insegnamento se non c’è fiducia dell’allievo per l’insegnante. Non c’è governo se questo non ha la fiducia del Parlamento come rappresentanza del popolo, non c’è interpretazione possibile in psicoanalisi se non c’è traslazione, ovvero credibilità riposta nell’analista. L’efficacia dell’azione di un farmaco passa per la concatenazione di cause ed effetti di una sequenza chimica, l’efficacia di ciò che muove le relazioni tra gli uomini passa attraverso quel che da sempre si è chiamato autorità, e che è qualcosa di molto diverso dal potere.Auctoritas è un sinonimo di dignitas. Accetto l’autorità di un politico non perché ha la forza del tiranno ma perché è un uomo degno che agisce per il bene comune. Accetto di essere formato da un insegnante non solo perché gli attribuisco competenza e sapere, ma perché mette a frutto questo sapere per la mia intelligenza. Accetto l’interpretazione dell’analista non perché lo considero un esperto dell’inconscio, ma perché non userà della posizione che gli attribuisco a proprio vantaggio. C’è autorità dove non c’è abuso. C’è autorità finché posso fidarmi di colui a cui la attribuisco. Per questo il prestigio, la credibilità, l’attendibilità sono fondamentali nelle relazioni, e sono qualcosa che non passa per il circuito dimostrativo che sfocia nella certezza. Chiedere di estendere il regno della certezza al mondo delle relazioni, fondate sulla credibilità, sulla fiducia, è la via deteriore dello scientismo. Il glamour, dicevamo, è quella sorta d’incantesimo che fa apparire le cose più belle di quel che sono, che aggiunge prestigio, che magnifica la visione. Dobbiamo dire allora che si tratta di un inganno? In realtà tutti noi conosciamo un simile incantesimo, che non ha bisogno di maghi né di fattucchiere. Quando c’innamoriamo, la donna, o l’uomo, che rapisce i nostri pensieri, esce dai canoni dell’ordinario. Se è una donna è la più bella, la più affascinante, la più dotata, e se non ha doti di particolare bellezza ha un tratto che la fa risaltare tra tutte e che è irresistibile, e se non parla sulle ali della poesia però si muove come danzasse, e se non sa ballare ha tuttavia un’intensità senza eguali che attrae con forza magnetica, e così via. Nell’innamoramento succede qualcosa per cui l’altro esce dalla moltitudine e non è uguale a tutti gli altri o a tutte le altre. L’innamoramento rende unico l’amato, lo isola dalla neutralità della folla. Freud chiamava questo fenomeno sopravvalutazione sessuale del partner, ma dobbiamo ben vedere cosa significa. Non è che la sopravvalutazione sia un errore di valutazione. Perché? Perché non siamo al mercato, dove ogni merce deve ricevere il suo giusto prezzo. Nella normale vita di scambio con i nostri simili dobbiamo fare delle valutazioni. Entrano in gioco il merito delle persone, la loro capacità. Se vogliamo assumere qualcuno dobbiamo prendere qualcuno che sappia fare quel che gli sarà richiesto. Se un commerciante c’inganna sul prezzo non torneremo da lui. Nell’amore la sopravvalutazione esce da questo registro, perché l’amore porta fuori dal campo degli affari correnti, della quotidianità. La sopravvalutazione in senso freudiano non è una valutazione errata, ma un’aggiunta che porta fuori dal terreno comune dove le cose e le persone vengono ogni giorno valutate in base ai propri meriti e in base alle necessità degli scambi. È il make-believe, la parvenza che mi fa credere a quella persona fuori dai binari della valutazione e del merito, perché lei, o lui, è speciale. Nell’epoca dei regni, degli imperi, delle autorità fondate sulla trascendenza, le parvenze erano gli Arcana imperii, erano gli stendardi, i blasoni, gli stemmi, le medaglie, le onorificenze, erano gli abiti di distinzione di una aristocrazia considerata una specie umana diversa e superiore. Nel mondo democratico l’aggiunta che fa veder le cose più belle di quel che sono non è più privilegio di una classe superiore, è per tutti, e il concetto di glamour rispecchia la democratizzazione delle parvenze. Nel mondo contemporaneo, dove la trascendenza ha perso i propri diritti, non tutto è ridotto per questo a piatta calcolabilità, e non è indispensabile abitare il mondo alato dell’arte perché le cose appaiano in una bellezza che le rende fuor dal comune, anche perché l’arte contemporanea si è disancorata dalla bellezza e segue altri sentieri di ricerca. Ma quel fascino sottile che passa attraverso le cose e le persone che le rende speciali seppur disponibili, uniche seppur non divine, ci fa sfuggire dall’appiattimento del mondo sul calcolabile. Il glamour della psicoanalisi è questo, e non passa per la figura dell’analista sul piedestallo, che non risponde, e che muto si muove e agisce come appartenesse a un'altra dimensione dell’essere – immagine desueta su cui mi sono divertito a volte a ironizzare. Il glamour della psicoanalisi è che, senza appartenere a una dimensione trascendente, l’analista non entra nella cerchia delle relazioni quotidiane fatte di scambio pari e di merito, perché è messo dal soggetto nella posizione di un oggetto – che Lacan chiamava agalma – che non fa parte della quotidianità e che proprio per questo è investito di quel glamour in cui mi piace tradurre, e liberare dall’equivoco, il termine freudiano di sopravvalutazione erotica.
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Febbraio 2025
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