![]() di Marco Focchi Qual è il rapporto tra lettura e posizione soggettiva? Credo che per rispondere occorra partire dalla Postfazione di Lacan al Seminario XI. Qui Lacan parla di una scrittura definita a partire dalla funzione dell’illeggibile. Il riferimento è naturalmente la scrittura joyceiana, una scrittura che annulla il senso producendo un’infinitizzazione dell’equivoco. In Joyce l’equivoco non è più semplicemente l’incertezza tra due possibili letture semantiche, ma la polverizzazione controllata in moltitudine di rimandi sottratti al carattere inconscio che contrassegna l’equivoco. Nell’equivoco l’inconscio compare perché mentre dico qualcosa, mentre imbocco una direzione in ciò che voglio dire, sono preso in contropiede da un senso che non avevo calcolato e che, a mia insaputa, e in un certo senso a mie spese, fa capolino nel mio discorso. Il soggetto dell’inconscio si manifesta così nello iato tra ciò che volevo dire e ciò che dico. Questa è la prospettiva classica.
Joyce è disabbonato all’inconscio perché non entra in questo gioco, non accetta il contropiede di essere letto in un altro modo, ed è lui stesso ad anticipare tutte le possibili combinazioni e i possibili rimandi della parola. C’è nel suo testo – penso soprattutto al Finnegans’ Wake – una sovrasaturazione che annulla il vuoto necessario perché il senso possa trovare risonanza. Nella clinica mi sembra che questo fenomeno appaia in modo significativo nei casi di dislessia, tema che ha avuto purtroppo poco sviluppo nella nostra comunità. A scuola, per esempio, mi viene presentato un bambino di otto anni, dislessico. Prendo un libro che per caso ho sottomano e gli chiedo di leggere l’inizio di un capitolo. La prima frase è: “La storia d’Europa comincia in Cina”. Qualunque cosa voglia dire, per quanto sibillina sia e per quanto possa chiedermi cosa intenda, il suo significato è chiaro, e un bambino di otto anni che sa cos’è l’Europa e sa cos’è la Cina la può capire perfettamente. Il mio dislessico compita lentamente la frase pronunciando in modo stentato quel che c’è scritto. “Bene - gli dico - proprio così. Cosa significa?”. Lo vedo annaspare e perdersi, fino a che il suo sguardo scivola un po’ più in alto, verso una figura tra la frase e il titolo del capitolo. L’immagine rappresenta in modo stilizzato le mura di cinta di una città. Con l’aria allora di aver trovato l’illuminazione comincia a parlarmi della grande muraglia cinese, della sua altezza e robustezza e della sua insostituibile funzione di proteggere dagli attacchi dei nemici. Di tutta la frase gli è rimasto evidentemente il termine “Cina”, che associato all’immagine gli ha offerto una via di scampo semantica. Le lettere, che non gli facevano nessun segno perché non gli presentavano nessun vuoto, riempite dall’immagine lì vicina gli hanno invece mosso la fantasia. La scrittura non ha per lui un punto di fondo dove risuoni un vuoto a partire dal quale possa nascere il senso. Per trovare il senso deve far leva su qualcosa di esterno alla scrittura. Le insegnanti dicono che le schede con le consegne scritte restano per lui lettera morta. Se glie le spiegano però a voce invece tutto risulta chiaro. Nella Postfazione al Seminario XI Lacan dice come la funzione dello scritto non sia riconoscibile nell’orario ferroviario, ma nei binari stessi della ferrovia. Il termine francese per “orario ferroviario” è indicateur, che gioca evidentemente sul rimando all’indicare. Perché lo scritto non funge da indicatore? Indicare significa far segno, e l’indicateur non è la cosa stessa, è il segno di una cosa, è ciò che indica la cosa, o un cammino. La rotaia ferroviaria invece è la via. La posizione soggettiva è correlata alla lettura, a quel che si legge al di là di quel che si dice, attraverso gli equivoci del senso. Ma la scrittura del godimento è una scrittura illeggibile. Tuttavia c’è una ricorrenza – unica – in cui Lacan parla di “soggetto del godimento”. Può forse essere un riferimento per articolare il problema.
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Gennaio 2025
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