Introduzione al dibattito tenutosi il 10 giugno 2022 via Zoom nell'ambito dei Venerdì milanesi di psicoanalisi e politica. Marco Focchi L’amore ancora mi sembra un titolo particolarmente ben scelto per la nostra rassegna dei Venerdì milanesi di psicoanalisi e politica perché va a toccare un ganglio centrale nella costituzione del sistema politico in Occidente: quello dell’articolazione tra sfera privata e sfera pubblica. È una divisione che ha origine nel pensiero greco e che tocca la ripartizione sessuale: ancora in Hegel infatti leggiamo che la sfera privata, il governo della casa, è il luogo delle donne, mentre la sfera pubblica e della politica è riservata agli uomini.
Questo baluardo ancestrale del pensiero politico comincia a scricchiolare quando con il primo femminismo, quello delle suffragette, le donne hanno cominciato a scendere in piazza per rivendicare il loro diritto al voto, cioè il loro diritto a esprimersi sulla scena pubblica, e quando appare, a un certo punto, lo slogan “Il privato è politico”, che punta proprio a scardinare l’originaria separazione tra sfera privata e sfera politica diventando una bandiera del femminismo degli anni Settanta. Questa spinta si intreccerà poi con i temi dei diritti nei decenni successivi, influenzando per esempio i movimenti per la depatologizzazione degli omosessuali e dei gruppi LGBT. C’è però una particolare torsione tra il senso che la formula “il privato è politico” assume nel movimento femminista e quello che prende invece nelle fasi successive. Nel femminismo si tratta infatti di aprire la dimensione privata, di investirne il pubblico, di far agire le implicazioni del corpo, del sesso, dei sentimenti provocandone l’irruzione nel pubblico per ottenere un impatto di trasformazione sulla politica. Nei movimenti successivi abbiamo piuttosto la direzione contraria: proibire l’interferenza regolativa, quindi pubblica, su una questione privata come il sesso, vietare al legislatore qualsiasi interferenza sulle scelte di vita erotiche. Il privato infatti è questo: cosa facciamo a letto con i nostri partner, quali sentimenti ci traversano, cosa succede nel luogo in cui l’occhio pubblico non può gettare il proprio sguardo. C’è una zona dell’esistenza che deve restare invisibile al potere, come c’è una sfera del potere, gli Arcana Imperii, che deve essere sottratta allo sguardo pubblico. La narrazione distopica che troviamo in film come Metropoli, Gattaca o La fuga di Logan, ma il cui capostipite è senz’altro 1984 di Orwell, mostra un mondo che funziona come una macchina, dove necessariamente il desiderio non può avere nessun posto, e dove la sovversione, o la reazione violentemente repressiva, si scatenano quando scocca la scintilla dell’amore tra un uomo e una donna. Alle origini del pensiero occidentale la virtù politica, l’aretè politiké, si fonda infatti sull’esclusione del desiderio. Nella Repubblica di Platone i re-filosofi non possono avere denaro, non possono nutrirsi di cibi sofisticati, non possono avere donne se non in comune, tutte le pulsioni, orale, anale, erotica, sono escluse. Il funzionamento della macchina politica ha come premessa la necessaria esclusione dell’amore, dell’eros, della pulsione, perché tutto possa andare sotto il governo della ragione, dell’anima razionale, il loghisticon di Platone. Impossibile non vedere che questa è anche la via che ha preso la psicoanalisi nella sua forma istituzionale, ortodossa, quella americanizzata degli anni Cinquanta, che ha promosso l’adattamento attraverso l’operazione di riportare ogni sbavatura pulsionale sotto il controllo dell’io. Lacan, come sappiamo, ha preso esattamente la via contraria, facendo dell’analisi un processo in cui si decostruisce la forza dell’io per poter riconoscere il desiderio. Il fatto che al posto della classica neutralità analitica Lacan metta il desiderio dell’analista va ancora in questa stessa direzione Credo che prendendo questa prospettiva possiamo vedere uno strato più profondo dell’implicazione politica della psicoanalisi. Nella nostra prima mossa in direzione di un’articolazione tra psicoanalisi e politica, quando abbiamo dato slancio al movimento Zadig, abbiamo messo al centro la psicologia freudiana delle masse, lo studio delle formazioni collettive che mostrano il funzionamento della politica in relazione alla figura del leader. Dando risalto al desiderio che si rivela dietro la ragione, appare evidente anche come la ragione, con la sua pretesa universalistica, sia il velo che occulta le vere basi della costruzione tradizionale del potere. Tocchiamo con questo gli strati più profondi e costitutivi della politica nella tradizione Occidentale, facendo apparire con chiarezza l’incidenza che, per il semplice orientamento della sua pratica, la psicoanalisi può avere sulla politica.
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