Conferenza tenuta a Bilbao il 5 ottobre 2011 Marco Focchi L’incontro di oggi è l'apertura dei lavori che avete programmato quest’anno a Bilbao intorno al Seminario III di Lacan sulla psicosi, seminario che ha avuto luogo nel 1955-1956. Credo sia quindi utile inquadrare il più ampio contesto entro cui viene a collocarsi la riflessione di Lacan in quegli anni. Sono innanzi tutto gli anni del ritorno a Freud, quando Lacan è impegnato a rileggere i testi freudiani alla luce dello strutturalismo, che in quell’epoca in Francia è una dottrina consolidata e al centro della scena intellettuale. Queste due direzioni di riflessione, il pensiero freudiano e la teoria strutturalista, sono le coordinate fondamentali che orientano la ricerca di Lacan, e ci danno già un'indicazione sulle fonti a cui Lacan attinge per costruire i propri concetti e sui mezzi con cui si addentra nel complesso problema di un trattamento della psicosi. Consideriamo infatti, innanzi tutto, a che punto è in quegli anni la riflessione sulla psicosi nel campo della psicoanalisi. La teoria psicoanalitica, malgrado Freud rifiutasse di considerare la psicosi come clinicamente trattabile, non era rimasta vergine sull’argomento. Negli anni quaranta in America ci sono le ricerche alla Chestnut Lodge, nel Maryland, animate da Frieda Fromm-Reichmann, fuggita dalla Germania dopo la presa del potere nazista. C’è poi la Menninger Clinic, con sede a Topeka, nel Kansas, fondata da una famiglia di psichiatri di formazione psicoanalitica. Ci sono in Europa i lavori di Paul Federn, il cui libro Psicosi e psicologia dell’Io esce a New York nel 1952. Ci sono i lavori degli psicoanalisti kleiniani, come Hanna Segal e Herbert Rosenfeld, che riportano numerosi casi di psicosi seguiti privatamente in studio. Bisogna aggiungere poi il Diario di una schizofrenica di M.me Sechehaye, molto letto e molto conosciuto dagli psicanalisti francesi, che esce nel 1950. Dobbiamo constatare che, in una così ricca produzione, nessuno di questi lavori nati nel campo psicoanalitico diventa un punto di riferimento, e neppure un termine di confronto per Lacan. Credo se ne possa capire il motivo proprio considerando le linee direttrici che guidano la riflessione di Lacan in quel momento. In primo luogo, infatti, tutte le ricerche che si muovono nel mondo psicoanalitico tendono a valorizzare la psicogenesi delle psicosi, in contrasto con la causalità organica proposta dalla psichiatria. Sin a partire dalla sua tesi, pubblicata nel 1932, Lacan era stato un sostenitore dell'approccio psicogenetico della psicosi. All'inizio degli anni cinquanta aveva però, cominciato a seguire un’altra strada. Avendo infatti intrapreso lo studio delle strutture del linguaggio, si era reso conto che questo lo portava a seguire una via nettamente diversa dall'approccio psicogenetico promosso dagli studi psicoanalitici negli anni cinquanta. Prendendo come riferimento paradigmatico le strutture del linguaggio, che privilegiano l’asse sincronico, quel che veniva in primo piano per Lacan non era più una causalità psicogenetica, che valorizza il piano diacronico, ma una causalità logica. Seguendo con rigore quest'idea, l'ambito di ricerche aperte sulla psicosi in quegli anni nel campo psicoanalitico, che rimanda a una psicogenesi dove l’idea dominante si basa su concetti diacronici, non può diventare per lui un punto di riferimento sicuro. Motivo per cui il lavoro di Lacan sulla psicosi non può porsi in continuità con nessuno degli autori dei diversi orientamenti psicoanalitici a lui contemporanei, e per forgiare i suoi concetti è costretto ad attingere direttamente ed esclusivamente ai testi freudiani, riferendosi principalmente al caso Schreber. Anche il termine che denomina il concetto cardine intorno a cui s’impernia la teoria della psicosi proviene dal lessico freudiano: è la Verwerfung, che Lacan traduce con forclusion, e che noi rendiamo in italiano con “preclusione”. Bisogna dire che freudiano è essenzialmente il termine, perché il concetto di preclusione è costruito ex novo da Lacan, come nozione strutturalmente contrapposta alla Verdrangung, la rimozione, che sta invece alla base della nevrosi. Con il lavoro intrapreso a partire dal Seminario III, a Lacan preme però distanziarsi non solo dal concetto di psicogenesi, ma anche e soprattutto da un altro modo di approccio, che non è psicoanalitico questa volta, che viene dall'interno del mondo psichiatrico, anche se appartiene a un orientamento della psichiatria che si contrappone a quello organicista promosso dalla linea maggioritaria. Mi riferisco alla corrente rappresentata da Karl Jaspers, uno degli iniziatori della psichiatria fenomenologica insieme a Biswanger, e uno dei punti di riferimento principali per Lacan nella sua primissima elaborazione del tema della psicosi, come è mostrato ampiamente in un articolo del nostro collega François Leguil nel numero 48 della rivista Ornicar. Una ripartizione concettuale di fondo della dottrina di Jaspers, ripresa da Wilhelm Dilthey è quella tra Erklärung e Verstehung, tra comprensione/spiegazione, che nella tesi sul caso Aimée Lacan abbraccia senza riserve. Cosa significa la dicotomia tra Erklärung e Verstehung? Dilthey tenta di definire la comprensione come il carattere specifico del fenomeno umano, che lo stacca dal fenomeno oggettivo. Il fenomeno soggettivo non può essere studiato attraverso la metodologia conoscitiva della scienza, che si fonda sulla spiegazione, cioè su una concatenazione di cause empiriche. Possiamo dire che la dicotomia tra comprensione e spiegazione si basa, in ultima istanza, sull'antinomia tra causa e senso. La comprensione è fondata sulla nozione di Einfuhlung, empatia, ed è strettamente correlata con essa. L’empatia è una sorta di identificazione emotiva, un'immedesimazione nella situazione vissuta dall'altro. Il passaggio attraverso la sfera emotiva implicato dall’empatia, ci fa riconoscere nella relazione di comprensione, che si sostiene su di essa, un chiaro ricorso al registro immaginario. Non stupisce dunque che nelle prime pagine del seminario sulla psicosi troviamo aspre critiche che Lacan formula nei confronti della nozione di comprensione. Da una parte Lacan sta infatti elaborando i caratteri specifici del registro simbolico, ponendolo come prioritario rispetto a quello immaginario, e questa presa di posizione viene dallo sviluppo seguito alla polemica contro la psicologia dell’io e all'assimilazione critica del kleinismo, unitamente all'approccio strutturalista di cui trova le chiavi nei lavori antropologici di Claude Levi-Strauss. Da un'altra parte, per seguire coerentemente questa via, deve prendere distanza da se stesso, cioè dalla posizione jasperiana che aveva assunto nella sua tesi. L'approccio jaspersiano alla psicosi si sostiene su una solida, seppur elementare, discriminante, dove la comprensione è il test essenziale per riconoscere la normalità: è normale ciò che è comprensibile, è anormale ciò che risulta incomprensibile e che ricade nell’insalata di parole. Lacan non accetta l’idea che l’approccio alla psicosi possa ridursi a questo tipo di prova semantica, perché le strutture simboliche aprono altre strade. Lo studio delle strutture simboliche diventa preminente nell’ambito della ripartizione che Lacan ha da poco introdotto, quella tra simbolico, immaginario e reale. Non dobbiamo dimenticare che questa fondamentale tripartizione, che attraverserà tutto l'insegnamento di Lacan, è stata introdotta solo due anni prima del seminario sulle psicosi. Costituiva infatti l’argomento di una conferenza pronunciata in occasione dell’apertura delle attività della Societé Française de Psychanalyse, conferenza redatta poco prima di pronunciare il famoso discorso Funzione e campo della parola e del linguaggio a cui tradizionalmente facciamo risalire l’inizio del suo insegnamento. Lacan sente quindi bisogno di richiamare e di precisare tutti questi concetti, di recente elaborazione, proprio nella prima lezione del Seminario III. La nozione di simbolico, in particolare, gli serve a marcare la presa di distanza dalla psichiatria esistenziale , e dal modo in cui questa mette l'accento sull'esperienza immediata. Nella psicoanalisi, come in qualsiasi altra scienza, non è sull'esperienza immediata che si possa fondare l’edificio della teoria. L’esperienza nel senso in cui la intende la psichiatria esistenziale è quella del vissuto, mentre l'esperienza freudiana – e qui Lacan sottolinea: conformemente a quel che succede in ogni altro campo della ricerca scientifica – fa intervenire risorse che sono al di là dell’esperienza immediata, e che non possono essere colte soltanto attraverso la mediazione sensibile. Per fondare la teoria ci interessa preliminarmente quel che sta dietro l'esperienza e che al tempo stesso la condiziona. Si capisce come questo orientamento di pensiero vada nel senso di una netta presa di distanza dalla nozione di comprensione, fondata invece sull'immediatezza e l'immedesimazione. Proprio all’inizio del seminario Lacan si lancia infatti in una digressione per precisare come la nozione di comprensione abbia un significato chiaramente definito, e come Jaspers abbia fatto della relazione di comprensione una vera e propria risorsa, un cardine di tutta la psicopatologia generale. La relazione di comprensione – dice – consiste nel considerare che ci sono cose ovvie e che, per esempio, qualcuno è triste perché gli manca quel che desidera, mentre non c’è niente di più falso: ci sono persone che hanno tutto quel che desiderano e che sono ugualmente tristi. La tristezza è una passione di natura molto diversa – aggiunge – senza sviluppare l’idea, ma è facile riconoscere il pensiero che Lacan lascia sullo sfondo: il riferimento è alle passioni tristi di Spinoza, quelle che riducono all’impotenza, quelle che corrispondono ai regimi di tirannia. Le passioni gioiose sono quelle che aumentano la potenza d’agire, le passioni tristi sono quelle che la riducono. Per chiarire come la comprensione non sia affatto riducibile all’ovvio, Lacan fa qui l'esempio del bambino che quando prendeva un colpetto domandava: "E' una carezza o uno schiaffo?” e secondo la risposta ricevuta rideva o piangeva. Il bambino reagiva dunque in base al valore che al colpetto era attribuita dall’Altro. Naturalmente si può rispondere in modi ancora diversi, che non rientrano necessariamente negli schemi convenzionali. A uno schiaffo si può replicare: “Picchiami ma ascoltami”. Questi esempi servono a Lacan per mostrare che il significato, lungi dall’essere scontato, passa necessariamente attraverso una lettura delle intenzioni dell’Altro, passa cioè sempre attraverso un’interpretazione, ed è per l’appunto l’aspetto trascurato dalla relazione di comprensione come la intende Jaspers. Vediamo dunque, nelle pagine iniziali del Seminario III, che Lacan prodiga un grande sforzo per dare un deciso colpo di timone, e imprimere una svolta che porti la rotta della psicoanalisi lontano dal contesto fenomenologico, pilotandola verso quello scientifico. Negli anni cinquanta, e l’inizio del Seminario III lo mette ben in evidenza, Lacan ha in mente un progetto dichiaratamente scientifico. La psicoanalisi deve essere una scienza, anche se, ovviamente, per Lacan la psicoanalisi non può essere una scienza nello stesso senso positivista in cui lo era per Freud. Tutto deve essere aggiornato allo stato attuale dell'arte, ma non c’è dubbio che in quegli anni, per Lacan, lo statuto epistemologico della psicoanalisi è di carattere scientifico. La critica all'esperienza immediata va esattamente in questo senso. Per qualificare la scienza Galileo parlava di "sensate esperienze e certe dimostrazioni", ovvero di esperimenti osservabili le cui leggi vengono formulate in linguaggio matematico. È la concatenazione tra il metodo empirico e il linguaggio formale a fare la scienza. Lacan vuol collocare la psicoanalisi entro le stesse coordinate, dove l'esperienza è l'esperienza clinica, e il linguaggio formale è quello dello strutturalismo. Con la distanza critica che ci è permessa dal fatto di vivere in un epoca diversa, possiamo vedere oggi che lo strutturalismo è stato un orientamento scientista del pensiero, anche se in modo molto differente dallo scientismo che domina la media cultura contemporanea. Con questa media cultura siamo attualmente in polemica, e il nostro punto di vista in questa polemica è perfettamente illustrato dalla conferenza di Miquel Bassols Le neuroscienze e il soggetto dell'inconscio. Mentre lo scientismo contemporaneo cerca indebitamente di estendere alle problematiche della soggettività il metodo scientifico consacrato nelle hard sciences, e tenta di inglobare nel dominio degli oggetti scientifici alcuni concetti che gli sono radicalmente estranei, come per esempio la coscienza, lo strutturalismo seguiva un'altra via, adottava un'altra strategia epistemica. Cercava infatti di elaborare un formalismo specifico per la cosa umana, evacuando al tempo stesso il soggetto. Questo formalismo trovava il proprio paradigma fondatore nella linguistica saussuriana, fatta di differenze anziché di valori positivi, e nella rilettura che Roman Jakobson fa della linguistica saussuriana, evidenziandone le leggi nel funzionamento della metafora e della metonimia. Bisogna adesso considerare un punto cruciale: Lacan ha in quegli anni da poco formulato la nozione di Altro, scritto con la maiuscola, come tesoro del significante, distinguendolo dall’altro, scritto con la minuscola, come controparte immaginaria del soggetto. L'idea di Altro come luogo del simbolico viene introdotta in una lezione del seminario dell'anno precedente a quello sulla psicosi, L’Io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, verso la fine di maggio. Lo sdoppiamento della nozione di Altro va esattamente in direzione di porre le basi per una formulazione scientifica della psicoanalisi: Lacan cerca un linguaggio formale specifico per la psicoanalisi, e si muove nel senso dello strutturalismo classico, non certo in quello dello scientismo contemporaneo. Il fatto di porre un Altro dietro l'altro, un’astrazione del simbolico dietro la concretezza dell’immaginario, è il primo passo su questa via. Porre un Altro dietro l'altro significa mettere l’accento sul rapporto che l'uomo ha con la parola come fondamento dell'esperienza soggettiva, e in questa diversificazione possiamo già scorgere le premesse di un tema che prenderà poi maggiore risalto nell'ultimo insegnamento di Lacan, riguardante la distinzione tra verità e reale. L’idea che il fondamento dell’esperienza soggettiva sia il rapporto dell'uomo con la parola, implica una definizione della verità diversa da quella proposta nella formula classica, adequatio rei et intellectus. La verità non è il confronto con la cosa, ma la rivelazione di una mancanza, e un’analisi è il percorso che induce il soggetto a riconoscere la mancanza centrale al cuore del proprio essere, quel che il linguaggio freudiano classico definiva con il nome drammatizzato di castrazione. Fino a tutti gli anni sessanta questo costituisce per Lacan lo snodo cruciale nell'esperienza psicoanalitica, il vero e proprio punto di mira della cura. La distinzione tra verità e reale è un punto fermo, un filo rosso che traversa tutto l'insegnamento di Lacan, ma, nelle sue diverse tappe, l'ordine di priorità è rovesciato. Nella prima fase, quella strutturalista, l'accento viene messo sulla verità, e il reale, elaborato in termini di differenza tra realtà psichica e realtà materiale, cioè in termini propriamente freudiani, è lasciato sullo sfondo. Nell’ultimo insegnamento, cioè nella fase del nodo borromeo, sarà il reale a venire in primo piano, mentre la verità sarà ridotta a sorella debole del godimento. Nel seminario sulle psicosi vediamo già svilupparsi le prime conseguenze del fatto di aver posto un Altro dietro l'altro. Queste implicano in primo luogo l'esplorazione sistematica delle leggi del linguaggio, dove i meccanismi freudiani di spostamento e condensazione vengono identificati con la metafora e con la metonimia. Ciò porta la psicoanalisi nel pieno della rivoluzione strutturalista, che pone la linguistica come parametro di riferimento delle scienze umane. L’impatto dello strutturalismo è tale da da far dubitare dell’appropriatezza del termine stesso “scienze umane”: Lacan considera infatti fuorviante la definizione di "umano", in quanto conserva, a suo parere, una forma di antropocentrismo che si impernia sul concetto di autonomia del soggetto la cui matrice è cartesiana. La rivoluzione strutturalista implica piuttosto un passaggio dall'autonomia del soggetto all'autonomia del simbolico. Solo partendo dall'affermazione di un’autonomia del simbolico ha senso studiare le leggi e gli effetti che la struttura del linguaggio ha sul soggetto, e i modi in cui ne risulta condizionato. L'intersoggettività – che diventerà un tema centrale negli anni strutturalisti di Lacan – è articolabile quindi solo a partire dall'istituzione di un Altro come luogo della parola. Lacan interpreta in questo senso il termine freudiano di “Altra scena” – anderer Schauplatz – che definisce come il palcoscenico governato dal macchinario dell'inconscio. Su questa scena il soggetto appare determinato, e non più autonomo: non sono le sue scelte a governarne le azioni, e tutto dipende dalle concatenazioni e dalle configurazioni combinatorie del simbolico. Lacan s'interessa per questa ragione alla teoria della comunicazione, e si confronta in particolare con Norbert Wiener, il cui paradigma cibernetico è basato per l’appunto su sistemi autonomi, piuttosto che, per esempio, riferirsi all’altro grande pensatore della cibernetica, John von Neuman, che fonda invece la propria architettura concettuale su sistemi eteronomi. Lacan si diverte a commentare un paradosso, o piuttosto una boutade di Wiener, il quale aveva sostenuto una volta che trasmettendo integralmente l'informazione su di un uomo via telegrafo lo si sarebbe potuto ricostruire integralmente. Lacan fa leva su questa battuta del grande studioso statunitense per mettere in risalto come la comunicazione generalizzata da lui promossa sia qualcosa di decisamente diverso dalla semplice trasmissione di informazione a cui si riferisce Wiener. Per Wiener infatti la comunicazione è meramente uno scambio d'informazione con l'ambiente esterno. Per Lacan, nel seminario sulla psicosi, comunicare è parlare, è innanzitutto rivolgersi ad altri. Parlare con qualcuno implica la messa in gioco di una funzione diversa dalla semplice informazione, perché implica la funzione della parola come patto. Nascono in questo contesto gli esempi, mille volte commentati nel nostro contesto: "Tu sei la mia donna", " Tu sei il mio padrone". Sono esempi che presentano una modalità di parola che necessariamente deve passare attraverso l'Altro con la maiuscola, perché, sono affermazioni che non hanno nessun effettivo contenuto informativo. In fondo, quando dico “Tu sei la mia donna” non c'è nulla che io sappia preliminarmente nel momento in cui lo affermo. Potrei dire a qualcuno: “Questa è la mia donna”, additandola, e questo sì avrebbe un contenuto informativo, ma non mi rivolgo a quella che considero acquisito essere la mia donna dicendole: “Tu sei la mia donna”, perché lo sa già. Oppure posso dirglielo in uno slancio d’amore, per esprimere il mio desiderio nei suoi confronti, ma qui siamo già fuori dal piano meramente informativo. Se però dico: "Tu sei la mia donna" alla donna che desidero, è perché voglio fare di lei la mia donna, e allora quel che dico diventa vero solo se lei dice di sì, se lei accetta di essere la mia donna, se corrisponde al mio desiderio, se si fa mia rispondendo: “Tu sei il mio uomo”, che vuol dire: “Accetto”. Viene in primo piano quindi la funzione di ratifica, e c'è una priorità logica del ricevente rispetto all'emittente: è la risposta del ricevente a render vero quel che dico, perché io posso anche asserire che tu sei la mia donna, ma se tu non vuoi, se non dai il tuo consenso alla mia affermazione, questa non ha nessun valore. Il patto è tale perché impegna l'altro, per questo deve passare attraverso l'Altro. In questo caso si tratta dell'Altro assoluto, nel senso, precisa Lacan, che è riconosciuto ma non è preliminarmente conosciuto. Che non sia conosciuto significa che non ne conosciamo le intenzioni, anche se gli riconosciamo la posizione necessaria per ratificare le nostre. La dimensione del patto vale sia per le parole che mettono in gioco la fides, sia per quelle che mettono in gioco l’inganno. Ciò significa che il patto può essere rispettato o no, ma quel che conta è il diverso registro su cui si pone la parola del patto a differenza della parola informativa. L'esempio più chiaro per illustrare questa differenza è quello classico freudiano: “Perché mi dici che vai a Cracovia per farmi credere che vai a Lemberg quando invece vai proprio a Cracovia?” È chiaro che qui la parola dell’emittente non vale per il suo contenuto informativo, e cioè per il rapporto che la parola può istituire con uno stato di cose, perché la parola si rivolge piuttosto alla buona fede dell’interlocutore, anche se in questo caso per carpirla. Nel patto, sia come fides sia come inganno, più che formulare un messaggio per l’interlocutore con determinati contenuti, il soggetto riceve il proprio messaggio dall'Altro in forma invertita. Il simbolico, come dicevamo, è la leva di cui Lacan si serve per scardinare la nozione di comprensione, ma è tutta la tripartizione del simbolico dell’immaginario e del reale, di recente acquisizione, che viene qui messa alla prova dalla clinica. Il simbolico va ben al di là della comprensione. E' necessario tenere presente questo aspetto quando avanzando verso le fasi successive dell'insegnamento di Lacan, si arriva al tema della scrittura. Nel poscritto al Seminario XI infatti la scrittura viene declinata in rapporto alla funzione dell'illeggibile: si ha così che il significante non è da comprendere e la lettura non è da leggere: Lacan mette sempre in primo piano la materialità del tramite espressivo rispetto al contenuto dell'espressione. Conta sempre per Lacan più il mezzo, la superficie piuttosto che ciò a cui i segni rimandano. Il fatto di privilegiare il mezzo rispetto al contenuto delinea, nel campo del linguaggio e della scrittura, quel che più avanti Lacan definirà “mot-erialisme”, fondendo “mot”, parola, e “materialismo”, un materialismo della parola. Il simbolico è quindi sempre considerato dando priorità alla sintassi, dove prevalgono le connessioni, rispetto alla semantica, dove sono in questione i contenuti. Per l'immaginario il punto di riferimento è l'etologia, dove nell’animale le forme costituiscono dei binari per l'istinto, funzionano da innesco o da arresto di un comportamento. Nell’uomo la funzione dell’immaginario è del tutto analoga, con la differenza però che è stata riformulata da cima a fondo a partire dall’ordine simbolico. L’esempio che Lacan porta in questo senso è molto chiarificante. Parla infatti di uno psicotico che ha visto, affetto da delirio di riferimento: tutto per lui diventa segno. Si sente spiato, osservato, controllato, si parla di lui, lo si indica, lo si guarda, si fanno ammiccamenti allusivi, e questo delirio arriva fino a coinvolgere oggetti inanimati. Se andando per la via s’imbatte in un auto rossa, ritiene non sia un caso che sia passata proprio in quel momento. L’auto ha un significato, ma il soggetto non è in grado di precisarlo, non sa se sia un segno favorevole o minaccioso, anche se sa con assoluta certezza che è lì per qualche motivo. Questo fenomeno può essere interpretato in modi molto diversi. In primo luogo può essere letto sul piano reale: lo si può considerare come un’aberrazione percettiva, e per un certo tempo la psichiatria è andata in questa direzione interrogandosi sulla qualità delle esperienze nel soggetto alienato. Si può considerare che il soggetto sia daltonico? Che non riconosca i colori? In secondo luogo, relativamente all’immaginario, il fenomeno dell’auto rossa può essere considerato sullo stesso piano di quel che succede quando il pettirosso incontra un conspecifico rivale, e mostra il petto per segnalare i limiti del suo territorio. Nel registro della comprensione immediata questo provoca una reazione di ostilità o di collera. In ultima istanza il rosso può essere compreso sul piano dell'ordine simbolico, come lo si considera nel gioco delle carte, cioè in opposizione al nero e come parte di un linguaggio organizzato. Questo esempio mi sembra estremamente chiaro perché opera una separazione tra i fenomeni e la loro lettura. La tripartizione serve a prendere distanza dal rapporto immediato che si ha con i fenomeni, ed è il primo passo del discorso scientifico. In fondo, sul piano fenomenico noi vediamo il sole sorgere e tramontare. Grazie alla scienza invece, ma ci è voluta la scienza, e abbiamo dovuto arrivare al XVII secolo, sappiamo che non è il sole a girare intorno alla terra. In questa fase dell'insegnamento di Lacan vediamo che c'è un doppio piano di lettura, ci sono due movimenti necessari per staccarsi dai fenomeni e per svilupparne un acquisizione critica. Il primo consiste nella tripartizione simbolico, immaginario, reale, che consente di non seguire pedissequamente l'immediatezza percettiva e permette di articolare nei tre registri quel che presenta l’esperienza umana. Il secondo riguarda la gerarchizzazione dei registri, perché il simbolico, come principio d'ordine, deve dominare l’immaginario e il reale. In effetti in quegli anni la realtà è piuttosto messa fuori gioco, Lacan considera che non debba entrare nella partita analitica. La psicoanalisi lavora infatti sul fantasma, e la realtà è lasciata fuori dalla stanza, in questo Lacan è classico. Non lo è però sulla critica che fa all'uso della realtà praticato nella psicoanalisi a lui contemporanea, dove si parla di senso della realtà, o di prova di realtà. Questo modo di intendere la realtà – e il posto che di conseguenza viene dato alla realtà nella pratica psicoanalitica – se non è messo in questione a partire dal linguaggio, conduce inevitabilmente a qualche forma di adattamento. La definizione di un Altro con la maiuscola è la premessa di questa critica a partire dalle strutture del linguaggio, ed è anche all'origine di uno degli schemi più conosciuti di Lacan: lo schema L. Lacan formula questo schema per mostrare la resistenza del discorso. La critica che rivolge al modo in cui la psicoanalisi dell'io usa la nozione di resistenza consiste nel fatto che essa porta a una gerarchizzazione dell'intervento psicoanalitico in due stadi: prima analisi della resistenza, poi analisi del materiale. La domanda che occorre porsi è però: “Chi resiste?” Lo stesso rovesciamento che fa considerare a Lacan un'autonomia del simbolico anziché un'autonomia del soggetto, lo porta a definire che la resistenza non viene dal soggetto, ma dal discorso. Da dove viene nel discorso la resistenza? La risposta di Lacan è che viene dall'immaginario, che funge da schermo, che interrompe la parola piena tra Soggetto e Altro. Da qui si può desumere la valorizzazione di una duplice funzione dell'immaginario: come schermo da un lato, quando funziona come resistenza, e come elemento costituito del codice simbolico quando funziona, come nell’esempio sopra riportato, in modo analogo ai colori nel gioco delle carte. Nel Seminario III Lacan riprende lo schema L per mettere in risalto un altro aspetto ancora, per dire come il soggetto si parli con il proprio io. Come Aristotele sosteneva che l’uomo pensa con l’anima, dove “con” ha il valore del complemento di mezzo, Lacan dice che l’uomo si parla con l’io. In abbozzo, quest’idea già prefigura la distinzione tra soggetto dell'enunciato e soggetto dell'enunciazione, che Lacan formulerà più avanti, e ciò che deraglia nel fenomeno psicotico è proprio il soggetto dell’enunciazione. Nella clinica della nevrosi il messaggio circola attraverso l'asse immaginario, e l'Altro maiuscolo è il garante delle leggi della parola. Se dico: "Tu sei la mia donna" o "Tu sei il mio padrone" queste affermazioni hanno valore di fatto perché passano attraverso l'Altro come garante delle leggi della parola. Ora, si tratta di un garante un po' dubbio, perché come abbiamo visto il patto consente la fides ma anche la malafede, l'inganno. A questo proposito abbiamo visto che Lacan introduce la distinzione interessante nell'Altro. Fermo restando che l'Altro è l'Altro assoluto, Lacan precisa che assoluto vuol dire riconosciuto. Non è questo il senso che il termine assoluto ha abitualmente in filosofia. In genere i filosofi quando parlano di assoluto intendono senza condizioni, senza restrizioni, senza limitazioni. Definendo l'assoluto come riconosciuto credo che Lacan intenda semplicemente dire che l'Altro è al di fuori dei passaggi dialettici in cui entra in gioco il riconoscimento. Il riferimento qui naturalmente è all’hegeliana lotta di puro prestigio tra il padrone e lo schiavo, che è una lotta per il riconoscimento. Questa lotta viene ingaggiata perché in un affrontamento duale, immaginario, dove ne va della vita e della morte, e non c'è un arbitro in posizione terza. L'Altro maiuscolo invece è proprio questo arbitro, è fuori dalla contesa. Possiamo forse considerare che non è un arbitro del tutto affidabile, che non garantisce in fondo nulla, ma è fuori dalle gare per il riconoscimento. Per questo Lacan sostiene che è riconosciuto ma non conosciuto. Non è conosciuto perché ignoriamo quel che vi è nell'alterità dell'Altro, quel che caratterizza la parola quando è proferita dall'Altro. Quel che è sconosciuto nell'alterità dell'Altro è, come abbiamo detto, la sua intenzione. Lacan non lo esprime ancora così. Lo formulerà così qualche anno più tardi, quando metterà in scena, riprendendo la formula da Le diable amoureux di Jacques Cazotte, la domanda dell’Altro: "Che vuoi?", che il soggetto assume nei termini: "Che vuole da me?", "Che intenzioni ha nei miei confronti?" Quando non conosciamo l'intenzione dell'Altro è un po' come il buffetto che può essere sberla o carezza! C'è minaccia o benevolenza in quel che vuole da me? La diversa lettura che il soggetto può dare dell'intenzione dell’Altro plasma i fantasmi del nevrotico, o le diverse forme del delirio, che è per esempio paranoico, se penso che l’Altro mi voglia male, o erotomane se penso che l’Altro mi ami. Vorrei ora per concludere commentare uno dei più famosi casi della clinica lacaniana, un caso che Lacan ha visto alla presentazione dei malati, il caso in cui troviamo il dialogo in dolce stil novo: "Troia", “Sono stata dal salumiere”. La premessa strutturale per la spiegazione che Lacan dà di questo caso è la teoria della comunicazione spiegata sopra, secondo la quale il soggetto riceve il proprio messaggio dall’altro in forma rovesciata. Riportando questa struttura della comunicazione sullo schema L, se la comunicazione avviene sul canale immaginario, tra a-a, i poli del messaggio sono nelle strutture del simbolico, su S e su A. Se dico: "Sei la mia donna", è perché attraverso l'Altro voglio pormi come il tuo uomo. Quindi il messaggio in realtà è : "Io – il tuo uomo – dico che sei la mia donna". Ma il fatto che "io sono il tuo uomo" non può venire semplicemente da me. Occorre il consenso della donna, ma occorre soprattutto la funzione in posizione terza in posizione di ratificare che "io sono il tuo uomo". Non posso autonominarmi "tuo uomo" se tu non aderisci e se l’Altro non lo ratifica. Occorre passare attraverso le strutture dell'Altro. E' l'Altro a dire, eleggendomi, che sono il tuo uomo. Occorre seguire la direzione implicata nella struttura perché il messaggio dall'Altro arrivi al soggetto. Ora, il problema nella psicosi, come è strutturalmente presentata nel Seminario III, è che lo schema della comunicazione viene distorto perché nello schema L l'Altro è messo fuori gioco. Come funziona allora la comunicazione? Prendiamo il caso presentato da Lacan. Si tratta di una donna che si sente perseguitata da una vicina di casa con la quale fino a quel momento aveva avuto buoni rapporti. Si era allontanata da lei quando la vicina che era sposata, aveva cominciato a ricevere come amante un uomo sposato. La paziente sente su di sé un'attenzione eccessiva, che diventa senso di persecuzione. Un giorno incrocia sulle scale di casa l'amante della vicina e lo sente rivolgerle un insulto, che alla fine si deciderà a rivelare, che è: "Troia". Lacan le domanda se ha pensato qualcosa il momento prima di essere insultata, e la donna risponde che in effetti, prima di incrociare l'uomo sulle scale, aveva mormorato tra sé: "Sono stata dal salumiere". Ci sono altri elementi che occorre aggiungere per la comprensione del caso. La donna si era allontanata dalla famiglia del marito – che era di origine campagnola, mentre lei veniva dalla città – perché si sentiva in pericolo ed era convinta che i parenti volessero sbarazzarsi di lei facendola a pezzi. "Troia" è dunque collegato con i pensieri del momento immediatamente precedente a quello in cui sente l’insulto, i pensieri relativi alla salumeria dove, per l'appunto, i maiali vengono fatti a pezzi. In questi pensieri convergono quindi le intenzioni attribuite ai parenti del marito e il risvolto osceno degli appuntamenti della vicina di casa. Cosa succede qui rispetto alla struttura in cui il soggetto riceve il proprio messaggio dall’altro in forma rovesciata? Vediamo che questa struttura vale per la nevrosi, ma non per la psicosi. Si verifica infatti nella psicosi una sorta di delocalizzazione del soggetto dell'enunciazione, e il soggetto, invece di ricevere il proprio messaggio dall’altro in forma rovesciata, lo riceve dal reale, per via diretta e sotto forma di allucinazione. Nel caso dell'esempio Lacan riconosce il soggetto dell'enunciazione, che non viene dalla propria interiorità, per così dire, come per la nevrosi, ma è localizzato allucinatoriamente nell'altro, nel simile, all’occasione nell’uomo incontrato per le scale. Invece di pensare: “Io – la troia – sono stata dal salumiere”, la donna estrae “troia” dal proprio pensiero e lo sposta all’esterno, mettendolo in bocca all’altro. L'insulto qui nomina l'essere del soggetto. Ha la stessa funzione che ha nelle nevrosi, ma non proviene dallo stesso punto perché l’enunciazione non è soggettivata, è spostata all’esterno. Se non si trattasse di un'allucinazione, "troia" corrisponderebbe al messaggio che il soggetto riceve dall'Altro in forma invertita, mentre: "Sei un porco" dovrebbe corrispondere all'enunciato del soggetto. Nella psicosi invece l'inversione non entra in funzione, e il soggetto riceve il proprio messaggio direttamente dall'altro. Questo succede, appunto, perché l'Altro, quello con la maiuscola, è meno fuori gioco. Lo schema L zoppica e si deve reggere esclusivamente su tre elementi. Il soggetto può così essere nominato soltanto in forma allucinatoria, e la denominazione non parte da A ma da S, passando per a, sull'asse a-a, e il significante "troia" non viene ricevuto dal soggetto attraverso l'asse simbolico S-A, ma su quello immaginario. Entra in gioco qui la funzione dell'allusione. Lacan sostiene che tanto l'ingiuria quanto le parole d'amore costituiscono una rottura nel sistema del linguaggio, e in questa prospettiva “troia” si carica di un senso oscuro e allusivo. In fondo "troia" è il soggetto dell'enunciazione e, come abbiamo visto, potremmo tranquillamente scrivere: "Io" – la troia – sono stata dal salumiere". Ma nella psicosi il soggetto non incontra l'Altro nel luogo del codice da cui può rilanciare il messaggio in forma invertita, lo incontra semplicemente e direttamente come messaggio. Il grafico della comunicazione ne risulta quindi modificato. Nel luogo del codice si trova l'Altro come messaggio, e nella posizione che nel primo grafico corrisponde al significato dell’Altro rimane un punto vuoto, enigmatico, dove al soggetto viene a mancare l'indicazione di ciò che è. L'Altro presentandosi come messaggio nelle psicosi non è in grado di arrestare la significazione, che si sviluppa nella produzione allucinatoria delirante, scivolando al di là del codice, al di là dell'Altro come messaggio. È in questo sforamento dei limiti che il significato delirante s’incarna nella voce, e "troia" appare allora provenire dal reale e può essere realmente sentita dal soggetto.
0 Comments
Leave a Reply. |
Marco Focchi riceve in
viale Gran Sasso 28 20131 Milano. Tel. 022665651. Possibilità di colloqui in inglese, francese, spagnolo Archivi
Dicembre 2024
Categorie |