In occasione delle giornate annuali dell'EOL che si terranno il 2 e 3 dicembre 2023, Silvia Koblinc ha intervistato Marco Focchi. Silvia Koblinc - In che senso si può parlare di successo della cura psicoanalitica? Marco Focchi - Nella cura psicoanalitica non vogliamo sopprimere il sintomo, perché sappiamo che ha una funzione. il sintomo non è infatti solo una fonte di sofferenza ma anche un segno di godimento. Possiamo allora considerare che una cura psicoanalitica ha successo quando, senza eliminarlo, riesce a separare il sintomo dalla sofferenza. La cura procede facendo man mano consumare i significanti che tengono prigioniero il soggetto: questi significanti sono identificazioni che restringono il suo spazio vitale, e che devono decadere. Solo al termine di questo processo il soggetto può essere libero di giocare con il suo sintomo. In questo senso la psicoanalisi è una pratica di liberazione. Possiamo pensare infatti a qualcosa di analogo a quel che Lacan diceva per il Nome del Padre: farne a meno a condizione di servirsene. Per il sintomo si tratterebbe di dire che non soffrirne è la condizione per utilizzarlo, per giocarci. SK - Come possiamo considerare il successo nell’esperienza della Scuola?
MF - Lacan considerava che la sua Scuola dovesse essere un organismo con il compito di restaurare il vomere affilato della verità freudiana. È quel che scrive nell’Atto di fondazione. Al tempo in cui l’Atto di fondazione è stato scritto il problema era restaurare la verità freudiana contro le derive del postfreudismo. Domandiamoci allora: che cosa invece oggi ha smussato la verità della psicoanalisi? La risposta è: il pensiero unico dello scientismo, ovvero il fatto che ogni forma di pensiero debba oggi essere ricondotta all’etichetta validante della scienza per risultare socialmente ricevibile. Nel campo delle discipline che si occupano del soggetto questo porta a effetti devastanti, lo vediamo molto chiaramente in quelle psicoterapie mimetiche della scienza, che riducono il soggetto ad algoritmo. Il successo della Scuola consiste dunque nel porsi come bastione della verità del soggetto, argine al dilagare delle tendenze che riducono la vita a numero, luogo in cui è possibile considerare il soggetto nella sua singolarità anziché vederlo ridotto all’effetto nulliificante della statistica dalle false scienze che hanno colonizzato il campo dell’umano. SK - Come pensi che il discorso analitico possa avere successo nel XXI secolo? MF - Il XX è stato il secolo della psicoanalisi. Freud ha cominciato a essere conosciuto e a occupare il centro della scena. A partire dai primi decenni del secolo la psicoanalisi ha influenzato l’arte, la letteratura, il cinema, è passata nei media, è diventata una componente essenziale del bagaglio culturale comune. Un intellettuale come Pasolini, in un’intervista in cui citava i suoi riferimenti culturali fondamentali menzionava ai primi posti la psicoanalisi. Poi, alla fine del secolo, c’è stato il decennio delle neuroscienze. Gli anni Novanta sono andati sotto l’egida di una ricerca che prometteva di ricondurre tutto al funzionamento dei neuroni immaginando che il cervello dovesse funzionare come un computer. La tomografia a emissione di positroni ha creato l’illusione di vedere il cervello in azione e di scoprire le cause biologiche dei disturbi mentali. Il grande successo della psicoanalisi nel XXI secolo è di aver resistito a questa mareggiata tendente a ridurre l’uomo a macchina, nel prolungamento del progetto dl La Mettrie filosofo del XVIII secolo, autore de L’homme machine, che portando agli estremi il meccanicismo cartesiano, cancella il soggetto per far dell’uomo un automa. Le neuroscienze sono sulla stessa lunghezza d’onda di La Mettrie, e vorrebbero fagocitare tutto in un determinismo senza sbavature. Il fatto evidente che malgrado tutto le persone cerchino invece di essere ascoltate dimostra che questo progetto non ha vinto, e la sua sconfitta va senz’altro considerata un successo della psicoanalisi.
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