Apertura del Congresso della Scuola lacaniana di psicoanalisi tenuto a Napoli il 16 e 17 maggio 2009 sul tema: "Variazioni sessuali e realtà dell'inconscio" di Marco Focchi Quest’anno ci prefiggiamo di esplorare il tema delle variazioni sessuali e della realtà dell’inconscio, il che vuol dire che cercheremo di coniugare, riferendole al campo della sessualità, le due coordinate che abbiamo preso l’anno scorso: quel che cambia e quel che resta, la trasformazione da un lato e la continuità dall’altro. Nel mondo contemporaneo quel che è più appariscente è senz’altro il nuovo, e quel che ci viene messo sotto gli occhi quotidianamente sono i bruschi mutamenti di regime, i colpi d’acceleratore della nostra vita. Da questo punto di vista i pochi decenni appena trascorsi hanno visto cambiamenti di scena radicali nel campo della sessualità. Siamo passati dalla rivoluzione femminista, che ha ridefinito la posizione della donna nella società, alla deghettizzazione dell’omosessualità, allo sdoganamento della pornografia, all’allargamento dei confini di ciò che nella prassi sessuale è considerato normalità, fino a rendere superfluo il concetto di devianza, che si applica ormai solo ai casi in cui sia toccato il sostrato relazionale del rapporto sessuale: comportamenti violenti o sopraffattori, di negazione o di svilimento dell’altro, adottati senza il suo consenso. Il termine perversione, che ancora utilizziamo per chiarire certi aspetti della nostra clinica, non è più un vettore socialmente riconoscibile, non è più un significante attivo. L’eufemismo parafilia, sotto cui il DSM ha cercato di conservare, in una forma sterilizzata dalla medicalizzazione, l’idea della devianza separandola dalla condanna morale, è più fonte d’imbarazzo che di chiarimento in quanti ne fanno uso. Si è a volte rilevato che i perversi non vengono in analisi. Oggi possiamo dire che è ovvio: la perversione non rappresenta una patologia. Senza lo stigma della devianza la volontà di godimento non costituisce di per sé una fonte di sofferenza, e nessuno chiede di essere guarito dalle proprie modalità di godimento. Chi sente impervie o contrastate le vie attraverso cui attinge il godimento, è perché si trova piuttosto preso in un conflitto pertinente alla clinica della nevrosi. In questo senso le variazioni che esploriamo quest’anno sono melodie di cui si è dissolto il canone: nella vita sessuale ciascuno improvvisa il proprio pezzo seguendo l’ispirazione e le fantasie del momento. È più un free jazz che un contrappunto. Se facciamo fede a questa descrizione, l’epoca attuale appare come il trionfo della rivoluzione sessuale giunta al suo punto di piena maturità. La sessualità, vissuta senza repressione, sgorga naturale e limpida come acqua di sorgente. Tolti gli ostacoli e il senso di una vera e propria trasgressione, la varietà delle pratiche sessuali sfugge al giudizio morale implicito nella coppia normalità/devianza e trova dappertutto diritto di cittadinanza. Dobbiamo persino dire che la sessualità oggi, anziché repressa, è piuttosto incoraggiata. Basta fare un rapido sorvolo su un po’ di siti salutisti per vedere che l’idea dominante su cui si batte e ribatte è che il sesso fa bene. Il terrorismo antionanistico del dott. Samuel Tissot non è più nemmeno un ricordo. Le apprensioni sugli eccessi sessuali che hanno accompagnato nella storia le nostre società svaniscono. Bisogna pensare infatti che l’Occidente è stato sempre ossessionato dal timore che le forze della malattia, del disordine, della dissoluzione c’invadessero fiaccandoci con la pigra e lasciva sensualità che si considerava specialità dell’Oriente. Famosa è l’immagine di Catone in Senato che, per dar forza alla sua tesi Carthago delenda, brandisce un cesto di fichi freschi dicendo che vengono da Cartagine, a soli tre giorni di viaggio da Roma, e gli storici concordano nel vedere nel fico, in questo contesto, un simbolo della sessualità femminile. L’avvertimento di Catone riguarda la minaccia di una femminilizzazione che si approssima, con il suo potere disgregativo della virile virtù repubblicana, sfidando Roma con la mollezza dei costumi e intimorendola più di quanto non possano fare le armi degli eserciti nemici. Oggi, invece, il sesso fa bene. Con tono di grande professionalità, gli specialisti di tutte le branche della medicina fanno a gara per assicurarci che il sesso fa bene. Fa bene alla schiena perché la colonna vertebrale trae beneficio dal movimento del bacino; abbassa la pressione sanguigna perché accelera il battito cardiaco; aiuta a dormire meglio (questo, sembra, soprattutto gli uomini); mette di buon umore perché fa entrare in circolazione le endorfine; favorisce la linea perché brucia calorie e contrasta gli attacchi di fame; abbassa il livello del dolore. Non ci crederete ma fa bene anche ai denti perché i baci intensi favoriscono la salivazione, nelle donne poi rende la pelle più elastica perché carica di estrogeni, negli uomini plasma la muscolatura grazie alla produzione di testosterone, e la vicinanza fisica a cui il sesso obbliga sembra favorisca il rafforzamento del sistema immunitario. Insomma abbiamo scoperto un vero toccasana di cui per qualche millennio non ci eravamo accorti e in cui l’industria farmaceutica apparentemente non ha nessun dividendo. Certo bisognerebbe parlare del Viagra, ma è un altro capitolo. In altre parole potete variare quanto volete, potete mettere in pratica ogni sera nel vostro talamo, o nella vostra alcova, tutto il kamasutra dalla prima all’ultima pagina, potete accompagnarvi a quanti partner volete e dell’orientamento sessuale che preferite. La normalità che vorreste violare passa ormai per un’altra via, e risorge in una forma molto più potente: quella che identifica il sesso con la salute. La moralità, che una volta seguiva i percorsi dell’anima, oggi s’impone attraverso le linee armoniose del corpo, attraverso il fitness, attraverso le diete, attraverso un’idealizzazione della bellezza fisica che ha i suoi contraccolpi distruttivi quando esaspera e mette in tensione il rapporto del soggetto con l’oggetto orale. Il sesso fa bene. Qualche tempo fa Miller ironizzava sull’idea che parlare fa bene, rimedio passepartout ai mali dell’anima diventato luogo comune in seguito alla popolarità conseguita dalla psicoanalisi. L’esternazione dei propri sentimenti, la condivisione dei propri segreti, il semplice sfogo verbale: parlare fa bene. È quasi un ritornello, e certo si è imposto con il successo della psicoanalisi, ma è anche la degradazione del suo modo di procedere, la riduzione a ricetta empirica di quel che di complesso vi è nel rapporto del soggetto con la parola. Nell’idea che il sesso faccia bene c’è qualcosa di più allarmante ancora, perché è un tema che implica il corpo, luogo eminente della politica contemporanea, terreno di scontro sulle questioni fondamentali della nascita e della morte, posta in gioco di un confronto epocale tra visioni inconciliabili in una dottrina come la bioetica che è piuttosto il campo di battaglia dove si giocano i destini della modernità. L’idea che il sesso faccia bene traduce il concetto di normalità in quello di benessere, e questo porta direttamente verso la riduzione della vita al calcolo. Il benessere è infatti uno degli aspetti che entrano in gioco nella valutazione della qualità della vita, su cui si fonda la traduzione bioetica della prospettiva utilitarista. Che cosa dice la bioetica utilitarista su questo? Ci sono circostanze in cui un governo deve prendere decisioni, per esempio sulla ripartizione dei mezzi d’assistenza nelle cure sanitarie. Si parte dal presupposto che, soprattutto oggi con il progressivo prolungamento della vita consentito dalla tecnologia medica, non ci siano risorse per tutti. Nel destinare i fondi occorre dunque decidere dove andranno, chi li riceverà e chi no. Si fa allora un calcolo: la valutazione della lunghezza della vita è un parametro, l’altro è il beneficio, il benessere che se ne può trarre. Si soppesa così il beneficio che si può trarre da una vita e, per esempio, si considera che a parità di lunghezza la vita di un portatore di qualche forma di handicap abbia un punteggio minore di chi non sia limitato da una disabilità: dieci anni di vita di un vedente, per esempio, hanno un punteggio maggiore di dieci anni di vita di un non vedente. È abbastanza agghiacciante, ma lo stato attuale della bioetica, dove il terreno è conteso tra l’utilitarismo degli amministratori – che hanno come riferimento la qualità della vita – e le rivendicazioni dei teologi – che innalzano la bandiera della sacralità della vita – non lascia molto spazio al soggetto perché decida liberamente della propria vita. Se la nuova normalità è che il sesso fa bene, è perché costituisce una componente essenziale del nostro benessere. Andiamo allora verso la china scivolosa di farne uno dei fattori che entrano in gioco nel calcolo della qualità della vita, con l’espropriazione di quel che vi è di più intimo, di più inviolabile, di più irriducibile, che viene così degradato alla qualità di bene disponibile. La tesi che il sesso fa bene è la banalizzazione della sfera più impenetrabile della vita, ricondotta al piano avvilente della valutazione. La psicoanalisi, sappiamo, segue un’altra via. Il godimento non è declinabile in termini di benessere, perché il benessere segue in modo lineare il circuito del principio di piacere. Su questo circuito posso apprezzare un bello spettacolo, un buon pasto, una gradevole passeggiata. Niente di tutto questo mi fa entrare in qualche particolare contraddizione o mette in gioco in modo essenziale le mie scelte di vita. Il godimento è un’altra cosa: è percorso da un’antinomia interna, include la creazione come la distruzione. Per delinearne i primi tratti Lacan, nel seminario sull’Etica ricorre alle figure più sinistre descritte da Sade: Juliette, Papa Braschi, la potenza di annientamento della natura e del crimine umano, che tenta invano di rivaleggiare con lei! Il godimento non è cosa su cui intrattenere i bambini nei corsi d’educazione sessuale delle scuole. Lì si parla dei fiori e delle api, o al massimo, quando si vuol essere scientifici, dell’ovocita e dello spermatozoo che si uniscono per formare l’embrione e con esso il miracolo della nuova vita. Nelle scuole, ai bambini, si parla del rapporto sessuale che c’è: quello degli animali e delle piante, o quello dei gameti, onesti operai della riproduzione. Come altrimenti infatti potremmo definirli? Non hanno nulla a che vedere con la realtà del sesso, e credo che nessuno si ecciti, nelle proprie fantasie erotiche, pensando ai gameti! Quando da adulti però le ninne nanne non ci addormentano più, è l’inesistenza del rapporto sessuale che viene in cima alle nostre preoccupazioni, diventando la questione cruciale, ed è un problema che non ha soluzioni per via di calcolo. Non è più la sessualità delle api e dei fiori, ma è quella di cui Freud diceva che l’umanità darebbe tutto per liberarsene. Si cerca allora di cantare un’altra ninna nanna, quella che dice che il sesso fa bene, che recluta i suoi tenori nelle file della medicina e assolda per il coro i migliori rappresentanti della sessuologia. Se riprendiamo ora il tema che Lacan avvia negli anni Settanta, non c’è rapporto sessuale, non occorre che ve lo dimostri: apparentemente ne siamo tutti convinti, fa parte della nostra panoplia teorica in modo così radicato che saremmo piuttosto stupiti di sentire il contrario. Eppure, quando Lacan presenta inizialmente l’idea, nel Seminario Su un discorso che non sarebbe di parvenza, credo che per gli ascoltatori, a quel tempo, la formula suonasse piuttosto paradossale. In fondo è un fatto d’esperienza che uomini e donne vanno a letto insieme, e questo è ciò che abitualmente si chiama rapporto sessuale. Poi noi sappiamo ben sofisticare sulla questione: certo che c’è rapporto sessuale nella realtà, ma non c’è significante del rapporto, nello stesso modo esistono le donne ma non il significante de La donna, e via discorrendo. C’è un punto però che rimane: è vero che non devo oggi dimostrarvi che non c’è rapporto sessuale, perché nessuno lo contesta, ma quel che Lacan chiede, nella Nota agli italiani, è precisamente che un’esperienza d’analisi diventi una dimostrazione dell’impossibilità di scrivere il rapporto sessuale il quale quindi, a titolo di verità, non si può affermare, ma neppure rifiutare. Da qui discende l’idea che l’incontro sessuale è assolutamente contingente, che ciascuno deve arrabattarsi come può con un partner-sintomo, oppure che i single, se soffrono della loro solitudine, in analisi se ne lamentano dicendo, se sono uomini, che non si trovano donne e, se sono donne, dicendo che non ci sono più uomini. Poiché trasformare lo studio analitico in agenzia matrimoniale non è una buona soluzione, potrebbe venirci l’idea che l’inesistenza del rapporto sessuale nella nostra specie sia una vera e propria calamità, e che sono tanto più fortunati gli animali, per i quali l’incontro con il partner è guidato dai sicuri binari dell’istinto. Da una parte c’è l’istinto, un sapere di precisione ingegneristica che pilota diritto alla meta, dall’altra parte, la nostra, bisogna ingegnarsi, con grande fatica per costruire un bricolage che stia insieme e che a ogni scossa un po’ forte della vita rischia di andare in pezzi. Tuttavia dobbiamo osservare anche un altro risvolto. L’uomo è, per dirlo con le parole di Heidegger, l’animale che può disobbedire all’istinto. Non siamo guidati da un sicuro binario, ma possiamo proprio per questo prendere molte direzioni. Non credo che questo debba essere motivo di particolare vanto, ma possiamo comunque apprezzarne... stavo per dire il vantaggio. Non sono sicuro che sia un vantaggio, senz’altro è una possibilità. L’assenza di rapporto sessuale apre il campo del possibile. Per questo quando facciamo l’amore non siamo costretti a farlo secondo un canone biologicamente prescritto alla specie. Siamo forse gli unici animali sulla terra che possono in questo anche trasgredire i confini della specie. Che il desiderio sia essenzialmente perverso – qui il riferimento alla perversione ritrova un suo valore espressivo – indica che per noi il desiderio passa per i circuiti del fantasma. Questo vuol dire che non passa per le determinazioni della nostra costituzione biologica. Oggi l’idea di Lacan che non c’è rapporto sessuale ci interessa meno per il valore di stimolo, di incitazione al risveglio che aveva quando l’ha lanciata, e più come idea guida che chiarisce il nostro campo. Potremmo forse allora cercare un modo di dirlo che non sia debitore del carattere provocatorio della formula. Credo che il modo più semplice per dirlo sia: l’uomo è libero. Libertà è la parola che fa al caso. È una parola antica, ma che sotto questo aspetto prende una luce nuova. L’uomo è libero rispetto alla sua struttura biologica, perché il fatto di parlare lo deprogramma dalle costrizioni dell’istinto. Il linguaggio, proprio perché fa del reale l’impossibile, apre al tempo stesso l’orizzonte del possibile, dove è necessario scegliere, dove ci si può smarrire o ritrovare. In questa prospettiva, nel conformismo dove trionfa lo slogan salutista del sesso che fa bene, il benessere e la libertà o, se preferite, il benessere e il desiderio, che della libertà è un’espressione, entrano in conflitto. Il benessere è un dovere o un sonnifero, un succedaneo moderno dell’antica morale che, contrariamente a quel che potrebbe sembrare, non va affatto insieme alla libertà né al desiderio, se il desiderio porta al di là del principio di piacere. Ed è questo al di là che costituisce la sostanza della vita. Se non vogliamo che la vita sia la mera, onesta, tranquilla conservazione di sé stessa, dove il sesso è trattato come un salutare beneficio aggiunto, dobbiamo trovare la via di un desiderio che forza i sigilli del segreto in cui l’inesprimibile viola le consegne del proibito e del decente. Una psicoanalisi che non voglia essere soltanto psicoterapia deve saper portare il marchio di un rifiuto, come suggerisce Lacan nella Nota agli italiani, e deve mantenersi lontano da quelle preoccupazioni di rispettabilità, che possono solo indurre a trattare il disagio della civiltà con i mezzi di una burocrazia amministrativa il cui fine è massimizzare l’utile e azzerare lo scialo, cancellare il dispendio in cui un antiutilitarista radicale come Bataille identificava il godimento.
0 Comments
Leave a Reply. |
Marco Focchi riceve in
viale Gran Sasso 28 20131 Milano. Tel. 022665651. Possibilità di colloqui in inglese, francese, spagnolo Archivi
Novembre 2024
Categorie |