Introduzione al dibattito tenutosi presso l'Istituto freudiano il 13 febbraio 2015 in occasione della presentazione del seminario di Lacan "Gli scritti tecnici di Freud" di Marco Focchi Questa sera, in occasione della sua ristampa, parleremo del primo seminario di Lacan sugli scritti tecnici di Freud. È un seminario uscito in italiano già alcuni anni fa, che viene presentato oggi in una nuova traduzione e con una nuova cura editoriale. È anche il seminario con cui inizia l’insegnamento vero e proprio di Lacan. Negli anni precedenti Lacan aveva evidentemente già scritto, aveva già svolto un ampio lavoro di riflessione teorica, ma questo seminario, che comincia nell’autunno del ’53 e che prosegue per tutto il ’54, è il primo che Lacan tiene dopo la pubblicazione del suo testo fondamentale “Funzione nel campo della parola e del linguaggio”, che è del settembre del ’53, ed è il testo a partire dal quale, nel contesto lacaniano, datiamo l’inizio vero e proprio dell’insegnamento di Lacan, il momento in cui Lacan comincia a presentare i propri concetti e a sviluppare, a partire da questi, quello che sarà poi il suo orientamento del campo psicoanalitico. Il titolo, come ho ricordato, è: “Gli scritti tecnici di Freud”, un titolo da interrogare, perché parte con l’idea di commentare quelli che Lacan individua come gli scritti tecnici di Freud, un gruppo di testi che va dal 1904 al 1919 – quindi entro un arco di tempo abbastanza ampio, di una quindicina d’anni. Nell’edizione Boringhieri quelli che sono chiamati scritti tecnici sono un gruppo di tre scritti del 1911 e 1912. Lacan prende quindi un ventaglio più ampio di testi che vanno da “Il metodo psicanalitico freudiano” del 19i04, fino a testi molto più in là nel tempo. Vediamo poi che in realtà nel seminario Lacan non si sofferma a lungo sui testi annunciati nel programma, perché si allarga subito su altri temi, comincia a prendere un testo di Annie Reich sul controtransfert, intesse un importante dialogo con Jean Hyppolite, il filosofo, sulla Verneinung freudiana, introduce un commento a dei testi di Michael Balint. Prende quindi diverse direzioni, sviluppa quella che conosciamo come la topica dell’immaginario, commenta all’interno di questo, un caso di Rosine Lefort, il famoso caso di Robert, che costituirà poi il nucleo di una delle pubblicazioni importanti di Rosine Lefort con il marito, ed è stato argomento di un lavoro di riflessione a più riprese nell’ambito del Campo freudiano.
È interessante però anche prendere il titolo, questo titolo che contiene l’idea della tecnica. È interessante perché è un termine che ritorna anche nell’anno successivo, quando parla de “L'io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi”. Bisogna dire che Lacan, dalle prime lezioni, chiarisce subito le proprie coordinate. Parte con una critica a Wilhelm von Brücke, Hermann von Helmholtz, Emil Du Bois-Reymond che sono i fisiologi antivitalisti della scuola di Berlino che erano i maestri di Freud al tempo in cui Freud era studente. I fisiologi di Berlino promuovevano una prospettiva riduzionista, e riconducevano a una logica di interazioni chimiche e meccanicistche, cioè al linguaggio della fisica, tutte le manifestazioni dello psichismo. Lacan si smarca evidentemente da questa prospettiva e dichiara subito quale considera debba essere l’obiettivo della psicanalisi. In quegli anni secondo lui l’obiettivo della psicanalisi è di reintegrare la storia del soggetto, e il termine tecnica va in questo senso. La tecnica è, come la descrive, una modalità di dialogo funzionale a reintegrare la storia del soggetto. Cosa significa in quegli anni “storia del soggetto” per Lacan? Non è questione di rinvenire un vissuto, né di far ritrovare al soggetto le esperienze del passato. Lacan mette in contrasto questo termine “vissuto” con il termine “ricostruzione”, riferendosi a uno degli ultimi scritti di Freud: “Costruzioni nell’analisi”. Mettere l’accento sulla reintegrazione della storia, dice, in fondo è un modo di raccontare di nuovo la storia. Non è riviverla, ma è ricostruirla. L’idea della tecnica quindi è finalizzata, mirata a questa idea di reintegrazione, di ricostruzione della storia. Già dalle prime lezioni Lacan allarga molto l’orizzonte rispetto a quel che è la tecnica freudiana. Se dovessimo parlare della tecnica freudiana – dice – dovremmo cominciare dagli “Studi sull’isteria”, dovremmo considerare “L’interpretazione dei sogni”. Non c’è praticamente testo dove Freud non parli di tecnica, e qui capiamo che quando Lacan si riferisce alla tecnica ha in mente, in ultima istanza, quel che è la clinica psicanalitica nel senso più lato. Credo che sia interessante interrogare questo termine tecnica perché, nel senso in cui la intendiamo comunemente, la tecnica è un insieme di regole per dirigere delle operazioni verso un determinato fine, verso una certa realizzazione, per produrre determinati effetti. Non è necessariamente collegata con la scienza, ci sono molte tecniche, simboliche o materiali, che possiamo considerare, che possiamo concepire. Chiaramente qui Lacan ha in mente una tecnica all’interno del campo simbolico, che è quello che man mano svilupperà e definirà. Certamente però è interessante per noi riprendere questo termine tecnica, se vogliamo vederlo alla luce di quel che è la tecnica adesso, nel nostro dibattito attuale. Se ne è discusso molto, e la filosofia contemporanea prende la tecnica come l’essenza di quella che è la tecnoscienza. Quando parliamo di tecnica in questo senso pensiamo immediatamente alla scienza. Non è questa però l’idea di Lacan. La tecnica di cui parla non è immediatamente declinata in relazione alla scienza. La tecnica della psicanalisi, se prendiamo i testi freudiani a cui si riferisce Lacan, è l’insieme delle spiegazioni attraverso le quali Freud illustra il suo modo di prendere la situazione analitica, il suo peculiare modo di usare lo strumento analitico. Sono spiegazioni che non hanno un carattere prescrittivo, non hanno un carattere regolativo, normativo, hanno piuttosto un carattere esemplificativo. È nel dibattito degli anni ’50 che la tecnica e il setting analitico diventano piuttosto un insieme di regole codificato, e questo in seguito al momento in cui cominciavano a manifestarsi alcune particolari diluizioni della psicanalisi. Franz Alexander, per esempio, aveva cominciato a introdurre la terapia breve. Nel suo libro del 1946 parla di psicoterapia psicoanalitica, e prepara un terreno concettuale rispetto al quale, nell’establishment psicoanalitico, si comincia a reagire per definire che cosa è la psicanalisi e che cosa no. Nel dibattito di quegli anni, a cui hanno partecipato le maggiori intelligenze analitiche dell’epoca, si punta a definire cosa sia legittimo chiamare psicoanalisi, ed è quel dibattito ad aver codificato il setting analitico. Lacan, nel suo modo di affrontare la clinica, decostruisce proprio questo setting stabilito nel dibattito degli anni ’50. Lacan è stato senza dubbio il maggior critico della definizione del setting basata sul numero di sedute, sul tempo della seduta, e ha introdotto variabili che avevano un valore, diciamo così, “tecnico”, tra virgolette. La seduta a tempo variabile è un espediente tecnico, possiamo dire, per far emergere elementi chiave del discorso inconscio attraverso una diversa punteggiatura rispetto a quello che sarebbe il discorso manifesto del paziente. Anche il modo in cui Lacan introduce questa idea della tecnica è interessante, perché lo presenta attraverso un esempio: il cuoco – dice – deve sapere bene come tagliare la carne, deve saper trovare i punti di articolazione e di resistenza. Questo esempio non è innocente. Lacan non lo cita, ma è tratto da Platone. Nel Filebo Platone confronta il lavoro del filosofo con quello del cuoco, perché il lavoro del filosofo è quello di trovare le domande giuste, di formulare adeguatamente e nel modo appropriato i problemi, nello stesso modo in cui il cuoco deve trovare il modo giusto di tagliare la carne nei punti di articolazione e di minore resistenza. Il lavoro del pensiero, in ultima istanza, è quello di trovare le articolazioni, gli snodi del reale. Lacan prende questo come esempio per indicare quel che può essere la tecnica nel dialogo analitico: trovare i giunti, i raccordi, i punti di presa sul reale pulsionale. Dicevo però che è interessante prendere questo significante tecnica anche nel valore che ha per noi, nella nostra contemporaneità. Quando parliamo di tecnica oggi come abbiamo in mente un concetto più restrittivo: la tecnica è quasi sempre pensata in relazione al campo delle tecnoscienze. Già nella filosofia del XIX secolo è apparso un filone di pensiero che deplorava la tecnica, e si manifestava come critica al decadimento del discorso occidentale – è il caso di Spengler per esempio – perché la tecnica è ciò che toglie l’anima dell’uomo in quanto mette al centro la macchina, e la macchina riduce lo spazio umano. C’è tutta una produzione che si sviluppa in questo senso sia nella filosofia sia nella letteratura, dando vita a na visione distopica. Ne abbiamo esempio in molti romanzi, e anche in molti film. Quando parliamo oggi di tecnica abbiamo quindi un concetto a due facce: la tecnica da un lato è divinizzata, come soluzione di tutti i nostri problemi, dall’altro è demonizzata come causa di tutti i nostri mali. Credo che dobbiamo entrare in questo problema se vogliamo allargare un po’ la nostra prospettiva, e prendere spunto dal seminario di Lacan degli anni ’50, che è ancora attualissimo, ci può dare materia per discutere, in modo più esteso, della tecnica nel nostro mondo. Nel dibattito della filosofia tardo ottocentesca, l’idea è che la tecnica, avendo come modello il funzionamento della macchina, restringe gli spazi di libertà dell’uomo, e quindi erode lo spazio dell’etica. Qui tocchiamo un altro punto sensibile in Lacan, perché un seminario sull’etica è un altro dei cardini fondamentali del suo insegnamento. L’etica è il luogo delle scelte. La domanda che mi pongo sul piano etico è: “Cosa devo scegliere, cosa posso fare per condurre bene la mia vita?” È quindi una domanda che presuppone una certa idea di libertà. In Freud c’era uno spazio per la libertà. C’era l’idea di un’analisi dei meccanismi, dei determinismi dell’inconscio perché il soggetto, reso consapevole, potesse scegliere, scegliere diversamente le modalità della propria vita. Credo quindi che le coordinate – è una proposta, poi vedremo come ciascuno dei relatori affronterà questo tema – le coordinate interessanti per noi siano all’interno di questa nozione della tecnica, che può essere considerata, come vi dicevo, demoniaca o divina. Possiamo allora domandarci se la tecnica sia effettivamente ciò che assorbe, che divora tutto lo spazio della libertà soggettiva, o se non ci offra strumenti per intervenire anche nel nostro campo, quello dell’inconscio. L’idea del funzionamento macchinico non è poi così estranea al nostro campo. Vorrei porlo come un quesito, non come una risposta, ma sicuramente nella filosofia all’alba dell’epoca moderna, nella filosofia seicentesca, c’è l’idea di una automa spirituale. È un’idea che si trova prima in Spinoza, e che però viene molto valorizzata da Leibniz, il quale, sapete, aveva creato straordinari meccanismi per il calcolo del pensiero. L’idea dell’automa spirituale implica che la mente sia soggetta a delle leggi. Non è questa l’idea che Freud fa sua quando, in particolare ne “L’interpretazione dei sogni”, studia le leggi del funzionamento dell’inconscio, la condensazione e lo spostamento che Lacan riprende a suo modo parlando di metafora e di metonimia come assi fondamentali del linguaggio? C’è un meccanismo, ci sono delle leggi che funzionano in quello che è, nel senso più generico, il mentale, e che ci permettono di entrare nell’operatività della psicanalisi. Il mio quesito è un po’ questo: c’è nella tecnica uno spazio per l’etica, per la scelta, o all’interno stesso del meccanismo appare – per Leibniz era la corrispondenza tra il meccanismo della macchina e il meccanismo mentale, spirituale, l’automa spirituale appunto – che quel che vi è di meglio, di più bello nel meccanismo, è l’organizzazione in quanto tale? Questa idea ho cercato di renderla nella locandina che annuncia il dibattito di questa sera, dove è riprodotto un quadro di Sebastiano Ricci – un pittore del tardo barocco, del Settecento – che rappresenta il trionfo delle arti e delle scienze. In quegli anni le arti erano la tecnica, arte e tecnica andavano insieme. Il quadro rappresenta al centro una donna che raffigura l’arte, in una posizione trionfale circondata da putti, che con un gesto spinge fuori un putto. Non credo sia l’interpretazione canonica di questo quadro, ma mi piace pensare che la tecnica, al centro del quadro, spinge fuori il putto che è l’etica, cioè la possibilità delle scelte. Prendiamolo in questa chiave interpretativa non ufficiale, che può però essere interessante e può darci spunto per discutere dei nostri temi questa sera. Trascrizione di Francesca Ferrarini
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