Conferenza tenuta a Madrid il 16 gennaio 2016 presso la sede dell'Escuela lacaniana de psicoanalisis Marco Focchi Nell’insegnamento di Lacan, dopo gli anni Cinquanta, c’è una svolta che sposta l’accento della cura psicoanalitica dalla centratura sul formalismo e sulle strutture del linguaggio alla ripresa del concetto freudiano di pulsione, riformulato da Lacan nei termini di godimento. Il seminario “Da un Altro all’altro” prosegue in questa direzione portando il tema del godimento a un’ulteriore elaborazione. A partire dal seminario sull’Etica, Lacan già aveva introdotto un elemento che nella prima fase del suo insegnamento non aveva avuto posto, e che irrompe sulla scena a partire dalla prima lezione dell’Etica con il nome freudiano di das Ding, la Cosa. Si tratta di un elemento difficile da prendere nelle reti del simbolico: sta al centro della struttura significante, ma rimane irrelata. Questo pone un problema complesso sul piano clinico: come possiamo, con i mezzi di cui disponiamo, cioè essenzialmente la parola, toccare quel che vediamo essere scollegato dal linguaggio? I mezzi con cui Lacan affronta questo problema – o meglio, la serie di nuovi problemi che nascono dall’introduzione di questo fattore precedentemente rimasto fuori quadro – nel seminari sull’Etica sono fondamentalmente letterari e mitici: la rivisitazione dell’Antigone, una grande lettura di Sade, l’apologo di San Martino, degli echi di Bataille. Come devo agire con il mio godimento in relazione all’Altro?
Con “D’un Autre à l’autre” è invece venuto il momento di fare i conti diversamente con il fattore eterogeneo introdotto nell’Etica, fattore che, come abbiamo detto, riguarda la dimensione pulsionale. È in relazione a questo problema che Lacan comincia qui a parlare di godimento. Il reale, venuto in primo piano nell’Etica con il nome di das Ding, viene ora infatti qui battezzato godimento – e il trattamento che Lacan ne fa non è più mitico, ma è logico. La domanda che guida il seminario è, sotto un certo aspetto, ancora etica, è: “Come devo agire?”, che è la questione fondamentale di ogni etica, ma si prolunga con un’aggiunta che dà il tono di come la psicoanalisi affronta i problemi dell’etica: “Come devo agire con il mio godimento in relazione all’Altro?”. Tutta la prima parte del seminario è tesa a mostrare l’inconsistenza dell’Altro. Dopo aver introdotto, ne “Il desiderio e la sua interpretazione”, il significante di una mancanza nell’Altro, la struttura significante non si presenta più qui con la completezza e la coerenza che si poteva profilare nei primi passi con cui Lacan si è aperto la via, per esempio in “Funzione e campo della parola e del linguaggio”. L’Altro è incompleto o inconsistente. Questo è un effetto del teorema di Gödel, di cui Lacan ancora qui non parla, ma che prenderà rilievo nel suo successivo insegnamento. L’inconsistenza dell’Altro fa apparire, come contrappunto, in questo seminario, la consistenza dell’oggetto. Abbandonando la credenza nella consistenza dell’Altro, della possibilità di trovare la verità nell’articolazione significante, tutto il peso si sposta allora sull’oggetto. Per questo il quesito di fondo del seminario riguarda il rapporto tra godimento e l’Altro, ed è seguendo il filo della domanda etica: “Come devo agire con il mio godimento in rapporto all’Altro” che Lacan arriva a Pascal. La scommessa di Pascal che occupa infatti la seconda parte del seminario, quella che dobbiamo commentare oggi. Il pensiero dialettico e i pensiero dell’alternanza La scommessa di Pascal riguarda esattamente il posto che debbo riservare al godimento — ai piaceri della vita, come si esprime — di fronte a un Altro. Bisogna dire che dell’Altro Pascal ha un modello forte, che è Dio, e che, diversamente dall’Altro di Lacan, non è affatto inconsistente. Se teniamo presente la chiave di lettura di Lacan per cui la consistenza si sposta dall’Altro all’oggetto, vediamo che se per Pascal la consistenza è sull’Altro, l’inconsistenza ricade allora sull’oggetto, cioè sui piaceri della vita, che è facile quindi per lui ridurre a niente, a zero, rendendoli sacrificabili. Il quesito su come fare i conti con il godimento è la spinta principale che porta Lacan a interrogare Pascal. C’è anche un altro motivo, meno evidente, per cui Lacan va in cerca di Pascal. Sappiamo che Lacan entra nella filosofia attraverso la strada maestra dell’insegnamento di Kojeve, e Kojeve insegnava Hegel. Gli inizi di Lacan sono completamente hegeliani, e potremmo dire che c’è tutto uno sviluppo della sua clinica di matrice hegeliana: l’anima bella, Dora e i rovesciamenti dialettici, la lotta servo padrone, l’infatuazione… C’è nella prima clinica lacaniana un vero e proprio repertorio di figure hegeliane utilizzate per descrivere momenti critici dell’esperienza psicoanalitica. Con il seminario sull’Angoscia Lacan comincia a prendere le distanze da Hegel, e nel seminario XI, il successivo, lo vediamo esplicitamente rinnegare la propria matrice hegeliana. Lacan ha quindi voltato le spalle a Hegel. Ma chi è Hegel? Detto in modo stringato, è il pensatore che ha preso estremamente sul serio il principio di contraddizione, il fatto che A non è non A. Può sembrare che questo non sia un gran ché. Ma l’idea di Hegel è che se A non è non A, allora A, nel suo essere, ha un rapporto con ciò che non è. L’identità di A non è quindi data a priori, deve essere ricavata, e lo sviluppo della dialettica è esattamente questo modo di produrre, attraverso una serie di rovesciamenti, l’identità di A che non possediamo già dall’inizio. Con Pascal abbiamo invece un pensiero che si basa su tutt’altra linea. Per Pascal non è di nessun interesse che A non sia non A, perché non è un pensatore della contraddizione ma dell’alternanza e dell’alternativa. Con la dialettica non c’è necessità di puntare a favore o un contro un elemento, perché tutto si risolve riunendosi in un superamento che conserva i contrari. Pascal inaugura invece un pensiero che possiamo chiamare del testa o croce. La dialettica tende a trovare una composizione degli opposti che fonda l’identità. Con il lancio di una moneta non ci sarà mai una composizione possibile di testa o croce, anche se ripetessimo il lancio un’infinità di volte. L’alternanza e l’alternativa sono un pensiero della divisione, della Spaltung. In questo pensiero dell’alternanza Pascal si situa a capostipite di un linguaggio di pensatori in cui possiamo enumerare Kierkegaard, con il suo Enten-eller, cioè aut-aut, che s’interroga sui modi di esistere etico o estetico; e poi Sartre, che s’interroga sul modo di esistere autentico e inautentico. Sono pensatori dell’alternanza e della scelta. Non si tratta per loro di seguire uno sviluppo, come nella dialettica ma, di fronte a un bivio, di imboccare una strada o l’altra. Lacan si rivolge dunque a Pascal quando esce dal solco hegeliano e quando si pone un problema etico – quello che abbiamo menzionato: cosa devo fare del mio godimento in relazione all’Altro. Pascal il giansenista Nella famosa scommessa, la risposta di Pascal è molto semplice: si tratta di rinunciare ai piaceri. La risposta è tale da essere adeguata alla via cristiana, al modo di vita cristiano. Pascal segue tra l’altro nel cristianesimo un orientamento particolarmente severo, con una morale decisamente rigorista. Il giansenismo, che è il suo quadro di riferimento, e che aveva trovato rifugio nel convento di Port Royal, ha una morale estremamente rigida, completamente opposta a quella di marca gesuita, che si era andata diffondendo dopo il Concilio di Trento. Pascal polemizza energicamente con la morale gesuitica nel suo libro “Le lettere Provinciali”. La morale gesuitica ha le proprie basi in un corretto reindirizzamento dell’intenzione che sarebbe in grado di legittimare un fine che di per sé sarebbe invece illegittimo perseguire. Per esempio: il duello è proibito, ma se io vado a passeggio e mi trovo in un campo dove incontro il mio rivale armato, è legittimo che lo attacchi per difendere la mia vita. Siccome però mi batto non con l’intenzione di duellare, ma con l’intenzione di salvarmi la vita, non commetto peccato. Pascal nelle Provinciali deride ad arte questo modo di argomentare, e il suo libro conquista uno straordinario numero di lettori, è un vero e proprio best-seller dell’epoca. Nella visione giansenista, che si rifà essenzialmente a S. Agostino, il problema centrale è la grazia: nessuno può salvarsi senza la grazia, che possiamo definire come una sorta di assistenza divina. L’uomo è di per sé predisposto al peccato, e non può opporvi resistenza senza l’aiuto della grazia. Il problema è che Dio concede la grazia a pochi eletti, e non ad altri, a suo insindacabile giudizio. C’è quindi nella dottrina giansenista una sorta di predestinazione che l’avvicina al calvinismo. Questo, a un certo punto, ha attirato l’attenzione delle autorità vaticane, che hanno messo all’indice alcune delle proposizioni dell’Augustinus, il libro di Giansenio. Lacan definisce come particolarmente moderna l’etica di Pascal. L’etica della rinuncia rispecchia bene infatti la morale dell’impresa capitalista, in quanto l’impresa è abitualmente tenuta a reinvestire i propri guadagni, a trasformarli in mezzi di produzione, e non a metterli al servizio dei piaceri. Ne vediamo i riflessi nella filosofia di Kant, nella distinzione tra das Wohl, il benessere, i beni materiali, e das Gut, il bene che si persegue senza altro scopo. Lacan mette in contrasto quest’etica moderna con quella antica, che lascia spazio all’hêdonê, il piacere, e l’etica antica cerca di trovare la giusta modulazione tra il piacere e il lavoro. Può così mettere come propria insegna: “Non lavorare troppo”. Il Nihil nimis dell’oracolo delfino, che si applica alle passioni, funziona secondo Lacan anche per il lavoro, che non deve eccedere la misura, e deve bilanciarsi in modo equilibrato con il piacere. Quando Miller commenta questi passaggi di Lacan, nel seminario del 2005-2006 “Illuminazioni profane”, si prende un po' gioco di questo confronto tra epoche. Le definisce “storia della mentalità”. Secondo Miller questa ripartizione non è di grana abbastanza fine, perché trascura il gradino intermedio, quel che potremmo chiamare “tarda antichità”, dove già fiorisce il cristianesimo. Si riferisce a uno storico, specialista per l’appunto negli studi della tarda antichità, Peter Brown, per mostrare come la rinuncia ai piaceri non sia proprio una prerogativa del capitalismo e del protestantesimo. La rinuncia alla carne ha il proprio eroe esemplare in Origene, vissuto a cavallo tra il II e il III secolo d.c., che per dominare gli impulsi della carne, intorno all’età di vent’anni, si era fatto castrare da un medico, come racconta Eusebio. Pare che al tempo questo tipo di operazione, che a noi sconcerta, fosse abbastanza frequente: non era simbolica, non era logica, era reale. Lasciamo però questa disputa tra suocero e genero sulla storia della mentalità e torniamo a Pascal. La scommessa di Pascal Se leggiamo il testo della scommessa che si trova nei Pensées, Pascal non mette mai in gioco l’esistenza di Dio, che per lui è assodata. La scelta per lui è tra due modi di esistenza: quello dei libertini e quello dei devoti. Per questo è stato possibile fare una lettura di Pascal come precursore dell’esistenzialismo, e metterlo sulla linea di Kierkegaard e di Sartre. Il modo d’esistenza dei libertini è quello che sceglie il divertimento. Il divertimento in Pascal è propriamente il distogliersi, il deviarsi, il “divertire” latino. Un esempio che porta è quello della caccia: il cacciatore in realtà non persegue l’oggetto, la preda, ma il movimento, l’agitazione. Si va a caccia per non restare immobili a pensare, e pensando lasciarsi prendere dalla noia, da quel fondo di coscienza nella coscienza che è l’angoscia, la disperazione. Il divertimento serve quindi non a raggiungere l’oggetto, ma a fuggire l’angoscia. Il divertimento è un modo di vita mirato a tenersi attivi per non sprofondare nell’abisso di se stessi. L’alternativa al modo di vita libertino è quello cristiano, che implica la rinuncia ai piaceri, perché non sono niente contro il guadagno di infinite vite infinitamente felici. Pascal ragiona infatti così: è vero che nella scommessa c’è incertezza, ma se già puntando si avessero da guadagnare due vite contro l’una che si mette sul piatto, già sarebbe conveniente scommettere. Se ce ne fossero tre, bisognerebbe proprio giocare: sarebbe irragionevole non puntare una vita contro tre, e sarebbe scriteriato non giocare in un gioco in cui, su un’infinità di probabilità, ce ne fosse una sola di perdere contro un’infinità di vite infinitamente felici da guadagnare. I commentatori mettono spesso in risalto il contrasto di Pascal con Cartesio, un contrasto che forse è spesso troppo accentuato, giacché alcuni frammenti pascaliani potrebbero essere definiti di spirito puramente cartesiano, Senz’altro però, nella scommessa, la divergenza da Cartesio è netta: la scommessa non si appoggia in nulla sul razionalismo di tipo cartesiano. Quando ci domandiamo se Dio esista, la ragione non è di nessun aiuto. “All’estremità di quella distanza infinita – distanza riempita dal caos che separa la ragione dall’incomprensibilità di Dio – si gioca un gioco in cui uscirà testa o croce”. Secondo ragione non si può puntare né sull’una né sull’altra e nemmeno escluderle. La risposta del libertino è allora: l’unica cosa da fare è non scommettere affatto. Ma Pascal blocca queste possibilità: “Vous êtes engagé!” Non potete non giocare perché siete impegnati. Vuol dire non giocare perché siete vivi, perché siete presi nelle reti del significante prima ancora di averlo scelto. E adesso, invece, nel momento della scommessa, dovete scegliere, perché non scegliere sarebbe ancora una scelta. La vita è un gioco, e voi siete nel gioco. Se dovessimo decidere che partito prendere in base a un ragionamento, non faremmo niente, e invece dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo affrontare il margine di casualità presente in ogni decisione: nella vita professionale, nella politica, nell’amore. Dobbiamo basarci, nella scelta, sulla possibilità che riusciamo a scorgere, e per questo il pensiero di Pascal è alla base della teoria delle probabilità. Il problema delle parti La scommessa è influenzata dal pensiero delle probabilità, pensiero che Pascal formula quando, in uno scambio di lettere con Fermat, si trova ad affrontare il problema delle parti. Il quesito in questo problema si pone quando due giocatori, per esempio, si affrontano in una partita a testa e croce, e la regola è che la partita sia vinta dopo che uno dei due giocatori ha conseguito per tre volte un risultato a proprio favore. Ciascuno dei due giocatori ha puntato la somma “m”. Se il gioco s’interrompe prima della fine, e poniamo che la posta sul piatto sia 2m, come va suddivisa questa somma tra i due giocatori? Nel caso più semplice, se il gioco si è interrotto dopo che un giocatore ha vinto due partite e l’altro una (2 a 1), Pascal considera che se il gioco avesse continuato ci sarebbero state due situazioni possibili (2 a 2) o (3 a 1). Nel primo caso sarebbe giusto che ciascuno recuperi la propria posta m, mentre nel secondo il primo giocatore vincerebbe incassando tutta la posta 2m. Il primo giocatore, se il gioco si interrompe nella situazione (2 a 1), è dunque certo di avere almeno m. Per il restante potrebbe averlo oppure no, ed è dunque equo che ne prenda la metà. Interrompendosi a (2 a 1) la giusta ripartizione è dunque 3m/2 per il primo giocatore e m/2 per il secondo. È interessante per noi considerare il problema delle parti, perché Lacan mette particolarmente l’accento sul fatto che la scommessa, che implica una decisione, si fonda tuttavia su un gioco, e nel gioco, nella manipolazione gratuita delle sue combinazioni, Lacan scorge quel che vi è di più saliente nei rapporti tra il soggetto e il significante. Le critiche di Hans Jonas La riduzione della scommessa alla teoria dei giochi, che Lacan fa nella nona lezione, si presta a far sorgere alcune critiche all’argomento di Pascal. Hans Jonas, per esempio, nel suo libro “Il principio di responsabilità” obietta che se scelgo di credere in Dio per meritare la vita eterna devo rinunciare alla vita terrena. Se vinco, vinco tutto, ma se perdo, perché Dio non c’è, la differenza da fare non è tra il niente dei piaceri e le infinite vite di beatitudine, ma tra la mia concreta vita vissuta e il niente della morte. E tra la vita e il niente c’è una differenza incommensurabile. Corrispettivamente se invece perdessi, perderei qualcosa di inestimabile. Se infatti vivo da libertino e Dio esiste, perdo l’inestimabile della vita eterna. Vi menziono questo aspetto per solo mostrare come dentro lo schema matematico di Pascal c’è una varietà di interpretazioni possibili, ed è per questo che stiamo ancora parlandone oggi. La perdita e la misura Pascal serve comunque a Lacan per la formulazione di un problema specificamente etico. Il problema è, come abbiamo ricordato: “Come devo agire con il mio godimento con l’Altro?” E questo è appunto il problema che, in termini logici, Lacan pone come rapporto di A con a, ovvero del rapporto del campo dell’Altro con l’inscrizione di una perdita. Proprio perché si tratta di una perdita, Lacan segnala il rapporto che si può vedere tra la scommessa di Pascal e la ripetizione che, come sappiamo, nasce nello sforzo di recuperare ciò che è perduto. Nel problema delle parti, che fa da sfondo alla scommessa, infatti, Lacan sottolinea che tutto procede da una semplice osservazione di Pascal, cioè dall’idea che quel che è giocato, che è puntato come posta, è da considerarsi perduto. La perdita qui un posto centrale. Come formulare – si domanda Lacan – il rapporto tra a e il campo dell’Altro, come misurarlo? Non non sappiamo niente della natura della perdita, aggiunge. Semplicemente abbiamo la funzione della perdita da un lato, e dall’altro il campo del significante, che Lacan connota qui attraverso il tratto unario, indicandolo come Uno. A questo punto, dice Lacan, se vogliamo scrivere il rapporto dell’Uno determinante con l’effetto di perdita basterà scriverlo così: 1/a. Ora attenzione: se a volte Lacan ha messo in guardia, per esempio per quanto riguarda la formula della metafora e della metonimia, dagli errori in cui può indurre una lettura in chiave matematica della barra tra S e s, facendo funzionare semplicemente l’automatismo delle operazioni, in questo caso invece la barra tra 1 e a ha un valore propriamente matematico. Lacan parla infatti di misura, si tratta di realizzare una misurazione, e questo si fa con delle vere e proprie operazioni di calcolo matematico. La barra ha quindi qui, ribadisco – diversamente che per la metafora e la metonimia – un senso precisamente matematico. E il senso matematico della barra è la divisione. Quando Lacan s’interroga sulla relazione tra a e il campo dell’Altro, e scrive 1/a, si sta quindi precisamente domandando quante volte a sta nel campo dell’Altro rappresentato dall’Uno del tratto unario. Aggiunge poi che, trattandosi di perdita, gli sembra opportuno porre questo rapporto in equivalenza con la somma tra 1 e a come segno della perdita. Il che dà la formula 1/a = 1+a Lacan non offre altre spiegazioni. Tutto quel che abbiamo è: il rapporto di 1 fratto a, e il segno della perdita, che è sempre a, aggiunto a 1. Quando Miller nel suo seminario “Illuminazioni profane” commenta “Da un Altro all’altro” presenta questa formula come una struttura, ma non dà ulteriori chiarimenti, solo dice che si tratta, in casi come questo, di strutture limite, che riposano sull’acquiescenza a una certa arbitrarietà, come cose da prendere così come sono, e vedere che conseguenze permettono di trarre. Devo dire che questa spiegazione lascia un po' a bocca asciutta, perché dall’arbitrarietà dell’inizio sembra derivare una successione di costruzioni, di difficile decifrazione, di cui continuiamo a domandarci dove portano. Il tenue senso che possiamo vedere in questa formula è che i conti tra 1 e a non torneranno mai esatti, perché se dividiamo un numero per una quantità che, dell’altro lato dell’equazione gli aggiungiamo, non possiamo ottenere un risultato tondo. Lacan vuol giocare quindi con la perdita come resto. La proporzione aurea La seconda cosa che possiamo dire di questa formula, ed è la cosa maggiormente importante, è che riprende la formula della proporzione aurea. Questa indica il rapporto tra due lunghezze diseguali, dove la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la somma delle due. Se A è la maggiore e B la minore: (A+B) : A = A : B che si può scrivere anche → (A+B)/A = A/B Se per Lacan A=1 e B=a, otteniamo la sua formula: 1/a = 1+a Prima di entrare nel complesso sviluppo di calcoli che parte da queste formule, vediamo dove Lacan vuole andare a parare. Direi che vuole descrivere l’incidenza della perdita nell’Altro, e la posizione di godimento che questo implica. Ebbene, la posizione di fondo del godimento è quella del godimento masochista, una sfumatura del quale Lacan riconosce anche in Pascal, con la sua propensione alla rinuncia. Il godimento masochista Cosa vuol dire una posizione di godimento masochista? Pensiamo a come Lacan definisce il masochismo agli inizi, nel seminario su “Gli scritti tecnici di Freud”. Il masochismo primordiale è riferito al gioco del rocchetto, dove, attraverso la localizzazione fort/da il bambino porta sul piano simbolico il fenomeno dell’assenza e della presenza – si rende padrone della cosa nella misura in cui la distrugge – il che vuol dire si distrugge, e in questo senso c’è masochismo. Si tratta quindi di una prima negativizzazione, dell’assassinio primordiale della cosa. O ancora, ne “Il desiderio e la sua interpretazione” Lacan descrive il masochista come il soggetto che si rappresenta in una scena dove intorno a lui ci sono un certo numero di persone che letteralmente lo ignorano, non tengono conto della sua presenza. Se rovesciamo questa scena come un guano otteniamo la posizione di S. Sebastiano, dove il soggetto è al centro della scena, non ignorato ma trafitto dalle frecce. Non a caso nel manifesto del IV incontro del Campo freudiano, sul tema “Tratti di perversione nelle strutture cliniche”, del 1990, fu scelta l’immagine di S. Sebastiano: si trattava di indicare la posizione cardine che il masochismo ha nel campo delle perversioni. Si tratta comunque, nel masochismo, di mettere in risalto una elisione che si presenta nel campo dell’Altro, dove il soggetto appare come scarto, dove il discorso dell’Altro è fatto per annullarlo, per non tenere conto di lui. L’aspetto interessante di questa articolazione appare se la mettiamo a confronto con il tema di alienazione e separazione. In queste operazioni Lacan cerca di articolare il modo in cui il soggetto s’inscrive nell’Altro come significante staccandosene poi come oggetto a. Qui, in “Dall’Altro all’altro”, Lacan non parte dall’inscrizione di un significante come premessa da cui si separerebbe un resto, come nella logica di alienazione e separazione, ma da una posizione di godimento preliminare – da qui l’uso della singolare espressione “soggetto di godimento”, che troviamo a p.140 – che si segnerebbe nell’Altro come perdita puramente e semplicemente. In queste lezioni troviamo una definizione molto particolare del masochismo: Lacan lo definisce come un godimento analogico. “Il soggetto – dice – prende in modo analogico la posizione di perdita, di rifiuto, rappresentata da ‘a’ a livello del plusgodere”. È un passaggio che incontriamo a p.134. Cosa vuol dire? Il problema che Lacan si sta ponendo qui, come abbiamo visto, è di misurare l’Altro attraverso la perdita. Pascal ci dice che non perdiamo niente e che guadagnamo un’infinità di vite infinitamente felici. Ma, sostiene Lacan, quando scegliamo siamo comunque privati di un semi-infinito. Cos’è questo semi-infinito? Dal punto di vista matematico è un’espressione curiosa, perché metà infinito è pur sempre infinito. Da una parte c’è l’Altro misurato come Uno. Dall’altra c’è qualcosa che Lacan chiama l’Uno prima dell’Uno, ed è il godimento. Quel che dunque ci sta dicendo è che di quest’Uno del godimento possiamo prendere la misura solo in modo analogico attraverso il rapporto di 1 con a. Lo dice a p.134. Diventa quindi chiara la strategia masochista: occupando la posizione dello scarto nell’operazione in cui si misura 1 con a, l’obiettivo è avvicinarsi – per analogia, inseguendo la proporzione che man mano si sottrae – al godimento primario. Perché a Lacan è necessario passare per il masochismo? Perché è la posizione di godimento che più si avvicina a quello che chiama soggetto del godimento, di cui mette in risalto l’irriducibile differenza rispetto a quello che è il soggetto diviso dalla marca, come chiarisce a p.141. Cosa succederebbe se ritrovassimo il soggetto del godimento in un tentativo di ricongiungere la divisione soggettiva? Sicuramente non l’autocoscienza hegeliana, non la piena realizzazione unificata del soggetto. La divisione soggettiva non è mai soppressa in nessun passaggio, e il rapporto dell’1 con l’1, ovvero dell’uno con se stesso, cioè la pienezza dell’autocoscienza, è semplicemente imitata, dice a p.141. E in questo termine “imitata” ritroviamo l’idea dell’analogia del godimento masochista, che non ricostituisce il godimento primario, ma lo mima. Direi che questo passaggio attraverso il tema del godimento masochista dà il tono della lettura di Lacan della scommessa di Pascal, perché rimette in questione la ripartizione da cui Pascal procede, e che dà il titolo ai fogli su cui è scritto il testo della scommessa: infinito/niente. Questa ripartizione, e la scommessa stessa, funzionano finché tutto viene determinato a partire da un puro maneggiamento significante. “La difficoltà comincia – dice infatti Lacan – quando cominciamo ad accorgerci che il soggetto non è affatto qualcosa che possiamo accontentarci di inquadrare a partire dalla congiunzione di un numero qualunque di significanti e nemmeno del rapporto di 1 con 1 [cioè l’autocoscienza]”, dice a p.146. Finché tutto viene trattato sul piano di un assemblaggio di significati, allora tutto si può ridurre a una matrice. Ed è una matrice quella che Lacan esplora, una matrice costruita in base alla teoria dei giochi. Le matrici, nella teoria dei giochi, definiscono la strategia dei giocatori e i giocatori stessi, e variano di complessità. Qui, nella scommessa di Pascal, le strategie sono semplicemente le puntate a favore o contro, e le condizioni che permettono alla puntata di essere vincente o meno consiste semplicemente nell’esistenza o no di una vita ultraterrena di infinita felicità. Solo in base alla finzione di questa matrice a può essere ridotto a zero, nell’argomento di Pascal. Molteplicità degli ordini simbolici In fondo possiamo dire che Lacan mette in discussione entrambi gli elementi della scommessa. Se i piaceri possono essere eguagliati a zero solo per via di una finzione – e il passaggio attraverso il godimento masochista ci mostra questo: che misurando l’Altro con la perdita non si ha una misura – dall’altro lato l’infinito delle infinite vite felici è correlato a un ordine presieduto dal Nome del Padre, ovvero il Dio ordinatore, che dispone e destina, in base a suo insindacabile decreto, gli eletti e i dannati. Nel seminario – e Miller insiste su questo aspetto nel suo commento in “Illuminazioni profane” – viene decostruita l’idea dell’ordine simbolico come unico. Lacan, ridefinendo simbolico immaginario e reale, parla di un ordine simbolico e non dell’ordine simbolico. Si apre quindi l’orizzonte di diversi ordini simbolici possibili. Con il declino del Nome del Padre – tema che conosciamo bene e di cui abbiamo molto discusso nello Champ Freudien, declina anche la “religione” dell’ordine simbolico come unico. Rispetto ai termini della scommessa potremmo dire che non solo non sappiamo niente dell’esistenza o meno di Dio, ma che non saremmo neanche sicuri delle regole del gioco dell’al di là, e non è detto che il premio si vinca in base alla rinuncia ai piaceri. La legge della giustizia cosmica pascaliana stabilisce che il Bene corrisponde all’ azzeramento dei piaceri. Ma un ordine simbolico è qualcosa di diverso da una legge, è piuttosto il fatto di disporre le cose in un certo modo, in modo che ogni cosa abbia il proprio posto. Nei tortuosi percorsi su e giù per le scale dei numeri di Fibonacci in cui ci accompagna, in questi calcoli e in queste misurazioni, Lacan fa emergere la differenza tra un godimento contabile – une jouissance en lichette – e un godimento che invece non ha il proprio posto nell’ordine simbolico, e non ha posto in realtà in nessun posto. Sapere e potere Miller, per descriverlo, gioca sull’assonanza tra impero e emporio. Nell’impero vige la legge, e la legge implica una correlazione di sapere e potere. Questo è un tema esplorato da Foucault – c’è tutta una linea di pensiero Foucault-Deleuze che esamina le conseguenze della correlazione sapere-potere. L’impero infatti garantisce la sussistenza del significante e distribuisce secondo giustizia quel che spetta a ciascuno. È chiaro che la scommessa di Pascal presuppone sullo sfondo l’ordine dell’Impero, dove ognuno ha, non tanto quel che merita, perché nel giansenismo la salvezza viene dalla Grazia e non dal merito, ma ciascuno ha quel che gli spetta. Nelle operazioni sulle serie di Fibonacci, che mostrano la divaricazione tra il soggetto del godimento e il soggetto diviso dalla marca, si vede come la distribuzione non vada affatto nel senso della giustizia distribuita, ovvero di un’assegnazione di a corrispondente agli interi. Lacan lo esprime a p.141 dicendo che: “Ci sarà sempre una mancanza di elementi a rispetto agli interi. Ovvero non ci saranno mai abbastanza a per tutti”. Questo sbilanciamento non riguarda solo le opportunità di godimento offerteci, e Miller mette bene in risalto come si verifichi anche uno squilibrio nel rapporto tra potere e sapere. Contrariamente alla linea Foucault-Deleuze, Lacan mette in primo piano una sconnessione tra sapere e potere. Questo parte dalla crescita di una potenza non padroneggiabile, la potenza che si sviluppa a partire dal sapere scientifico, un sapere che la politica non è più in grado di governare. L’efficacia della tecnica nel governare la natura scatena forze non governabili, per cui con la scienza ci si trova ad aver a che fare sempre un po' con l’apprendista stregone. Lo abbiamo visto con Hiroshima e Nagasaki nel 1945, lo abbiamo visto a Cernobyl nel 1984, lo abbiamo visto a Fukushima nel 2011. Ma lo vediamo nella quotidianità e nella nostra pratica. Il grande aumento di persone che vengono a consultarci per problemi di attacchi di panico è il risvolto di un’epoca in cui il controllo si è esteso in modo capillare, sulla natura e nelle nostre vite, solleticando e risvegliando quel godimento primordiale di cui Lacan ci dà lucidamente i tratti in questo seminario. È questo godimento che non può essere annullato, che non può essere ridotto a unità di conto e messo come posta in gioco a togliere il velo di finzione su cui si regge la scommessa di Pascal. E se la scienza scatena forze incontrollabili nella materia, non dimentichiamo che il disastro di Fukushima avvenne nel marzo del 2011, e che dieci anni prima, l’11 settembre, ci trovavamo di fronte a un altro disastro, non dovuto alle forze della natura, ma a uno scontro di mondi che ci hanno costretto ad aprire gli occhi su quello che credevamo essere un bene universalmente esportabile come la democrazia occidentale. Quanto alla democrazia, non solo, come per gli a di Lacan, non ce n’è per tutti, ma c’è chi di questa merce di esportazione non ne vuol sapere. Abbiamo incontrato i limiti dell’espansionismo illuminista del sapere. Sono i modi di godimento che non si parlano e che non si tollerano a mettere in risalto la dismisura a cui si riferisce Lacan. Charlie Hebdo e il Bataclan ne sono forse la manifestazione più chiara.
1 Comment
Anna Rita Emiliani Torino
14/10/2019 12:48:59 pm
Caro Marco, sto' lavorando al Seminario sediciesimo. Questa tua conferenza riassuntiva delle opere di Lacan, mi sta aiutando e' molto efficace per meglio comprenderne i concetti. Buon lavoro
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