di Marco Focchi Estratto della conferenza tenuta a Plovdiv (Bulgaria) il 15 ottobre 2016 presso l'Università dell'alimentazione. Uno dei problemi particolarmente sentiti nella scuola oggi è la perdita di autorità da parte degli insegnati e dell’istituzione scolastica nel suo insieme. Appare chiaramente impossibile, e neppure auspicabile, ritornare alla scuola disciplinare del passato, e si percepisce per questo a maggior ragione la necessità di ricostruire su nuove basi un’autorità che nelle sue forme tradizionali non esiste più, perché si è progressivamente dissolta, consumata negli sviluppi storici che stiamo vivendo. Il pensiero contemporaneo ha studiato a fondo i processi reali che stanno dietro gli aspetti formali dell’autorità, facendo apparire quella che è stata chiamata una microfisica del potere. Questi processi consistono sostanzialmente in rapporti di forza snudati dalle parvenze che sostengono la legalità. La microfisica del potere esplora il modo di condizionamento che tutti noi esercitiamo ciascuno su ciascuno altro. È importante tuttavia distinguere l’autorità dal potere che viene da essa legittimato.
Cosa ha portato alla situazione attuale di profondo disinvestimento dell’autorità, che spesso costringe, anche a scuola, a passare attraverso nude relazioni di potere? L’autorità si fonda, da sempre, su un rapporto di precedenza. La generazione anziana ha autorità sulla generazione seguente, più giovane. A Roma per esempio, il Senato, il consesso degli anziani, era la sede dell’auctoritas, mentre l’esercizio del potere era riservato a Consoli, e per quanto l’auctoritas del Senato non implicasse una gestione diretta del potere, i suoi pronunciamenti non erano aggirabili alla leggera, perché erano, come li definisce Mommsen, meno di un ordine ma più di un consiglio. Da dove viene il fatto che l’autorità si fondi su un rapporto di precedenza? Viene dalla notte dei tempi, da quando 10.000 anni fa, con i primi insediamenti umani, con il passaggio cioè dal nomadismo alla sedentarietà, si costituirono i primi villaggi e i primi agglomerati organizzati. Il sapere, allora come ora, veniva dell’esperienza, ma appariva come un dono divino, e si fissava nella tradizione. Ad avere esperienza erano gli anziani, i soli che, in assenza della scrittura – la scrittura nasce solo nel 3200 a C circa, presso i Sumeri – potessero essere custodi della tradizione: la loro memoria era il deposito vivente del sapere su cui si fonda la tradizione. L’invenzione della scrittura porta una trasformazione rispetto a quest’ordine di cose. Ma la scrittura, per molti secoli, rimane retaggio di pochi sacerdoti e amministratori dello Stato. L’Illuminismo, con il suo progetto enciclopedico, con il progetto di diffusione universale del sapere, prepara il terreno per le grandi rivoluzioni che travolgeranno i regimi aristocratici, i quali fondano la loro autorità sull’idea trascendente di un’investitura divina. Man mano che l’autorità si trasferisce dalle espressioni di governo oligarchiche, nelle mani di pochi, a quelle di governo democratiche e parlamentari, viene consegnata per delega in forma di rappresentanza investita dal popolo, e non dalla divinità. Se veniamo all’epoca contemporanea, la grande spallata alle posizioni di autorità viene dalla reazione alle esperienze totalitarie che hanno avuto luogo in Europa, ed è stata elaborata in particolare dai filosofi della Scuola di Francoforte. Nei giorni nostri la destituzione dell’autorità è accelerata alla diffusione della rete. Per un verso, grazie alla rete, il rapporto con il sapere viene completamente separato dal rapporto con la figura di un detentore del sapere, di un maestro. Una volta ̶ nella preistoria come dicevo prima ̶ gli anziani garantivano la continuità e la trasmissione del sapere tramandandola con la memoria. Con la scrittura il sapere diventa retaggio di una classe di saggi, di maestri, di pensatori. Per accedere al sapere occorre ancora tuttavia avere un rapporto con qualcuno dei detentori del sapere che lo ceda, che lo insegni, che lo trasmetta. Il sapere era scritto sui libri, certo, ma i libri richiedevano tempo e dedizione. Oggi il sapere è a portata di clic. Se faccio oggi una conferenza e cito un nome, vedo già nel pubblico qualcuno con l’iPhone che sta cercando i riferimenti, le date che ho menzionato. Seguo in analisi degli adolescenti che dicono di preferire internet ai libri consigliati dalla scuola, perché è più pratico e poi, soprattutto, perché non è imposto. La figura del maestro, dell’insegnante, del professore, soffre di questa progressiva spoliazione di autorità. Per un verso, la scuola nel suo insieme, come istituzione, soffre della generale perdita di autorità che investe tutte le istituzioni nel mondo occidentale. Una perdita di autorità significa una perdita di credibilità. Le pratiche evidence-based, cioè fondate sulla prova, erodono progressivamente lo spazio delle pratiche fondate sulla fiducia, ne invadono il territorio, lo divorano. L’autorità si fonda sulla credibilità, e oggi assistiamo a un progressivo slittamento dall’autorità all’efficacia. Perché? L’efficacia è il tratto caratteristico della scienza e della tecnica. La tecnica ci ha abituati al carattere immediato e automatico delle sue soluzioni. Se vogliamo la luce premiamo un pulsante, non strofiniamo bastoncini né invochiamo divinità arcane. E in un certo senso la scienza, con la sua forza, con la sua potenza, ci vizia, e chiediamo efficacia e automatismo anche a pratiche che non appartengono al campo della scienza e della tecnica, e che sono regolate da altre modalità di funzionamento. Queste diverse pratiche sono la cura, la psicoterapia, l’insegnamento e la politica. Già Socrate sosteneva che non esiste una tèchne politikè, una tecnica della politica, ma è come se ce ne fossimo dimenticati, è come se tutto dovesse rientrare in ciò che è trattabile con la tecnica, con procedure, con automatismi misurati sulla base dell’efficacia. Le relazioni – dove invece del modulo tecnica-efficacia funziona il rapporto di autorità, dove l’autorità è il collante del legame sociale, dove non è la prova ma sono la fiducia e la credibilità il motore che fa funzionare le cose ̶ sono evidentemente penalizzate, e tutti voi, come insegnanti, sentite sulle vostre spalle gli effetti di questa crisi. Uscire dalla crisi non significa, tuttavia, ripristinare gli antichi rapporti di autorità, quelli logorati dal tempo. Bisogna mettere vino nuovo negli otri nuovi, e una riflessione in questo senso riguarda le forme dell’autorità femminile, alle quali ho cominciato a dedicare attenzione a partire dal Congresso di Buenos Aires del 2012, e alle quali vi rimando.
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