di Marco Focchi “Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché in verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo” Giacomo Leopardi, 1824 Nella configurazione simbolica del nostro secolo, il cinismo prende posto in una costellazione dove può essere annoverato accanto all’individualismo, al nichilismo, al relativismo postmoderno. Sono posizioni etiche queste che minano i valori tradizionali socialmente aggreganti, che sospendono la fiducia nell’ideale e che prendono distanza dall’identificazione con i puntelli simbolici dell’autorità, dall’ottimismo di un progresso demolitore della falsa coscienza, dai lumi di un sapere a vocazione universale. L’individualismo, rifiutando i valori sacrificali della società disciplinare e lasciando vuoto il posto di un progetto storico mobilitante, come mostra Lipovetsky, si ritira nel privato edonistico della propria vita, esentandosi dal dovere e dall’impegno nella creazione di un bene comune. Nel nichilismo, che ha la sua forma radicale in Schopenhauer, il mondo è mera apparenza, inganno da cui l’uomo può liberarsi solo abbandonando l’illusione di avere una volontà propria. Il nichilismo concerne la deriva etica che porta alla decadenza della morale tradizionale seguita alla morte di dio, e riduce a nulla i valori fondamentali della vita individuale. Il suo risvolto positivo tuttavia, in Nietzsche, vede nell’annullamento dei vecchi valori una via di superamento per la ricostruzione di un uomo oltre l’uomo. Il relativismo postmoderno decostruisce l’assoluto, risvegliando, per un verso, le inquietudini delle gerarchie ecclesiastiche, e prestando il fianco, per altro verso, alla beffa Sokal, che pretende di smascherare la fumosità del linguaggio e la leggerezza con cui si può dire qualsiasi cosa se si lasciano gli ormeggi dell’oggettività. Il cinismo si distingue da queste tre posizioni etiche ed epistemiche con dei caratteri specifici. Si differenzia dall’individualismo per la sua radicalità: non si rinchiude infatti in un civilizzato edonismo su cui far girare, con il minimo di rischi, il principio di piacere, perché fa entrare in gioco il godimento. Il gesto della masturbazione pubblica di Diogene è la critica più drastica rivolta alla grande narrazione platonica sull’Eros, mentre il potere è messo in scacco perché non c’è nulla che Alessandro possa dare a chi non ha bisogno di nulla, nemmeno della ciotola per bere. Si differenzia dal nichilismo perché la sua demolizione delle parvenze non porta al nulla, ma lascia un resto, quel solde cynique che Lacan riconosce nel momento terminale dell’analisi2. Si differenzia dal relativismo postmoderno perché per contrastare l’ideale si arrocca al reale, e se per il relativismo tutte le parvenze vanno bene perché nessuna conta più delle altre, per il cinismo piuttosto non va bene nessuna, perché tutte, in modo diverso, parlano della cavallinità e non del cavallo. Il cinismo contemporaneo presenta però dei tratti peculiari che lo distinguono da quello antico, e Peter Sloterdijk li ha messi in luce in un’analisi che è rimasta classica sull’argomento3. Il cinismo appare qui come la forma attuale, diffusa, pervasiva, del disagio della civiltà. Se il cinico antico è un solitario, un provocatore, ed esprime pubblicamente e teatralmente la sua critica, il cinismo moderno è un fenomeno di massa. Si è smarrita la fiducia nella capacità del sapere di trasformare le cose, e ci si adatta allo stato di fatto, con perduta innocenza, integrandosi in una realtà sulla quale nessun progetto ideale pare mordere con forza trainante. Il cinismo contemporaneo si presenta, secondo Sloterdijk, come una “falsa coscienza illuminata”. Definizione paradossale questa, in cui si sente l’influenza della Dialettica dell’illuminismo, contenente l’idea di una critica all’ideologia che è un’ideologia a sua volta. Definizione che viene però presentata come indicazione di un approccio sistematico, come una sorta di diagnosi: significa essere rimasti senza illusioni, essere stati trascinati in basso dal peso delle cose, rinunciare a qualsiasi valutazione e inserirsi comunque, per quanto con distacco, nel meccanismo che le cose le fa funzionare. La posizione cinica contemporanea risulta essere dunque quella che ha alle proprie spalle la grande impresa illuminista, tesa a lottare contro i mostri della superstizione, dell’errore, dell’ignoranza, che constata però come lo smascheramento delle false parvenze si manifesta impotente nell’incidere sulla realtà, e che cede di conseguenza alla sfiducia rispetto alla possibilità di instaurare nuovi valori. Il cinismo contemporaneo risulta così essere, in ultima istanza, analogo a quello dell’ateo disincantato che promuove la religione come instrumentum regni, perché serve a governare. Questo modo di vedere ha in sé però il presupposto implicito che l’epoca dei lumi, rivelando gli ideali come parvenze, avrebbe dovuto instaurare un regno della verità, e che non avendolo potuto fare ha condotto il funzionamento delle società occidentali sul binario morto di una rassegnazione malinconica, diventando la “scienza triste” a cui Sloterdijk vuole opporre un cinismo gaio e scanzonato. In questa prospettiva c’è un’evidente sottovalutazione del ruolo delle parvenze, solo attraverso le quali, come suggerisce Miller4, si stabilisce e si mantiene quella routine che tiene insieme le società, quella routine che aggancia significante e significato stabilizzando il senso. Palesare gli ideali come parvenze non implica la malinconia delle illusioni perdute, ma il fatto di prendere le misure del loro funzionamento come parvenze. Il mago di Oz, alla fine della fiaba, è smascherato, nessuno più crede al suo potere, è un ciarlatano e lui stesso lo ammette. Ma quando il leone, il taglialegna di latta e lo spaventapasseri vogliono il coraggio, il cuore, l’intelligenza che pensano di non avere, lui glie li fornisce con dei trucchi banali e i tre personaggi si sentono rinfrancati, e agiscono di fatto coraggiosamente, generosamente e in modo intelligente. Perché le parvenze funzionino non occorre credervi, basta lasciarle al loro posto senza confonderle con le cose in sé, senza prenderli per sostanze. Da questo punto di vista, tra il saldo cinico di Lacan e il cinismo malinconico o dissacratore di Sloterdijk c’è un abisso di cui la clinica psicoanalitica, che fa vacillare le parvenze senza aver bisogno di scardinarle, permette di prendere le misure.
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