Conferenza tenuta via zoom il 12 marzo 2022 per la Escuela lacaniana de psicoanalisis, comunità di Palencia. Marco Focchi Tornare al Seminario I, che si è svolto nel biennio 1953-1954, ci porta a un Lacan diverso da quello a cui siamo abituati, più discorsivo, più comprensibile, niente a che vedere con i lampi fluorescenti che troviamo nei seminari degli anni ’70, più dialogico: si confronta con i partecipanti, risponde alle domande, le sollecita . Si presenta insomma in tutt’altro stile del monologo proposto di fronte a una platea estasiata e ammutolita degli ultimi anni. È un altro Lacan anche perché è un Lacan che precede l’introduzione della nozione di Altro maiuscolo che, sappiamo, compare solo partire dal Seminario II. I grandi concetti di riferimento sono quindi quelli presentati nella parte precedente del suo lavoro, e riguardano principalmente la topica dell’immaginario. Al centro di questa sta la presentazione dell’apparato speculare, costruito per spiegare il narcisismo e la centralità che assume in questa fase del pensiero di Lacan la distinzione tra io ideale e ideale dell’io. Sono già presenti evidentemente la funzione della parola e il campo del linguaggio, ma non sono ancora costituiti come l’insieme dell’Altro, che permetterà poi tutti gli sviluppi logici e matematici fondati sulla teoria degli insiemi, che troviamo in particolare in un seminario come Ou pire… La funzione della parola: patto piuttosto che comunicazione
La parola è qui la parola che suggella il patto, è la parola della fiducia o dell’inganno, e questo già la distingue dalla parola della comunicazione, tema che si è invece imposto oggi come paradigma che risponde all’esigenza di scientificità e di pensiero evidence based del mondo contemporaneo. Lo ha mostrato e spiegato chiaramente Hervé Castanet nel suo bell’articolo uscito su Lacan Quotidien n° 930 Undici osservazioni sulla tesi neuro. Si tratta della tesi che fonda il linguaggio sulla circuiteria neuronale, e la sua premessa è nel topos filosofico che presuppone un’ipotetica lingua dello spirito. Questa ipotesi implica un’indipendenza del pensiero dal linguaggio che riduce il linguaggio a vettore neutrali di contenuti ideativi che risiedono non si sa bene dove, ma verosimilmente nel cervello. Questa tesi, ci racconta Castanet, è oggi autorevolmente affermata al College de France da Stanislas Dehaene e da François Recanati. Recanati è stato in giovinezza un seguace di Lacan, e ha tenuto qualche conferenza in alcuni suoi seminari, nel XIX e nel XX. Oggi ha preso completamente distanza dalla sua esperienza prima esperienza con la psicoanalisi per abbracciare senza riserbo la filosofia analitica. Questo mostra, direi, quanto Lacan fosse in anticipo con i tempi criticando un concetto di linguaggio fondato sulla comunicazione e mettendo in risalto, con il patto, la funzione di legame. Oppure fa apparire quanto i tempi sono regrediti verso forme rivisitate di un positivismo ottocentesco che si spaccia per novità scientifica. La parola intesa come mediazione del patto è qualcosa di completamente diverso dalla parola come strumento di comunicazione. Questo, in fondo, nel misurare la distanza temporale che ci separa da questo seminario, ci fa sentire anche l’attualità di un pensiero che pone in quel momento i primi mattoni costituenti di cui si nutrono, in forma diversa, i concetti clinici del Lacan successivo La tecnica ci dà il senso del tempo Quel che ci dà il senso della distanza temporale dagli anni del seminario sono piuttosto i riferimenti alla tecnologia e alla rarità estrema di cose che allora non si trovavano e di cui oggi disponiamo in abbondanza. Questo aspetto riguarda, nel caso particolare, l’industria editoriale. Lacan infatti apre la lezione dicendo che sta cercando di far tradurre il libro di Schreber, sottolineando come non sia un’impresa non semplice. A quanto riferisce, infatti, esistono in Europa solo due copie di quel libro. Oggi tutti abbiamo in mano il libro di Schreber, che viene costantemente ristampato, è una sorta di best-seller. Al tempo invece bisognava scovarlo in qualche remota biblioteca tedesca. Appena Lacan entra in possesso di una di queste due preziosissime copie, cosa fa? Ne fa un microfilm! Capite? Al tempo dei seminari pirata di Lacan, negli anni Settanta e Ottanta, noi andavamo nella libreria di rue Claude Bernard a Parigi a farci fare delle fotocopie. Si tratta, con le fotocopie, di un tecnologia già più evoluta del ciclostile con cui realizziamo i volantini da diffondere al tempo in cui eravamo all’Università. Oggi siamo a Internet: chi farebbe più il microfilm di un libro? La tecnologia evidentemente si muove in modo molto più rapido del pensiero concettuale. Se vogliamo considerare anche quel che siamo soliti chiamare tecnica psicoanalitica – questo seminario è infatti sugli scritti tecnici di Freud – dobbiamo credo attenuare un po’ l’accento. Oggi, il termine tecnica psicoanalitica è infatti un po’ caduto in desuetudine nel nostro modo di parlare. Valorizziamo più l’etica, con tutto quel che riguarda la posizione dell’analista, il desiderio, la traslazione. Sicuramente è stato l’insegnamento di Lacan a liberarci dagli standard e anche dagli schematismi tecnici dell’analisi dell’Io, che metteva in sequenza l’analisi delle resistenze solo dopo la quale avrebbe potuto dispiegarsi l’analisi del materiale. La ridefinizione dell’io Lacan, già in questi primi seminari, ci porta in un orizzonte completamente diverso, ci parla piuttosto dell’altalena del desiderio. Riprende infatti il dispositivo a due specchi, uno concavo e uno piano grazie al quale ha mostrato che il soggetto – ma qui parla ancora di essere umano – che l’essere umano vede la propria forma realizzata, vede il miraggio di se stesso solo al di fuori di se stesso. Detto altrimenti: l’immagine reale formata dallo specchio concavo può essere colta dal soggetto, miticamente posto vicino allo specchio concavo, solo come immagine virtuale nello specchio piano che gli sta di fronte. Questo schema gli permette di segnare all’interno del dispositivo due punti, che Lacan sigla con O e O1. A partire da questa costruzione, da questo dispositivo, Lacan spiega la formazione dell’Io al di là delle formulazioni che ne ha dato la psicologia. Quando parla di psicologia Lacan ha qui in mente la funzione psicologica di sintesi dell’Io, che la concezione di base delle psicologie del Novecento. È un’idea che ha tuttavia origini più nobili, perché risale al tema che ci porta Kant nella definizione del processo di unificazione del molteplice, al culmine del quale troviamo l’io preso come principio di unità sintetica. Lacan quindi qui sovverte non solo la psicologia accademica novecentesca, che trae alimento tra l’altro dalla psicologia positivista ottocentesca, ma mina le assise psicologiche kantiane, cioè una colonna portante della psicologia filosofica. Lacan parte dall’acquisizione linguistica dell’io, che avviene sempre in riferimento al tu. Il bambino inizialmente ripete la frase con cui ci si rivolge a lui, usando ancora il tu, senza operare il rovesciamento nell’io. Lacan considera questo punto come un’esitazione nell’apprendimento del linguaggio. In realtà, se consideriamo gli sviluppi che questo aspetto ha avuto nelle sue elaborazioni successive, vediamo che si tratta di qualcosa di più. Si tratta del fatto che il bambino non è ancora costituito come soggetto dell’enunciazione, quindi semplicemente riprende l’enunciato come lo ha sentito. È un fenomeno che diventa evidente, come sotto una lente d’ingrandimento, nei bambini autistici, che ripetono le frasi sentite in casa senza farsene soggetto dell’enunciazione. In questa fase, quel che Lacan vuole mettere in luce è che il tu si manifesta sotto forma di ordini e desideri che si rivolgono al bambino e che lui deve riconoscere. Il contraltare della verità non è la falsità ma l’ignoranza Il riconoscimento di questi desideri è la matrice di quel che vediamo nell’esperienza clinica, dove l’adulto stesso ha il problema di riconoscere i propri desideri altrimenti, dice Lacan, non sarebbe in analisi. Il fatto che non ne sappia nulla fa emergere la funzione dell’ignoranza. Sappiamo che in seguito Lacan ne farà una passione dell’essere. In questa fase, dove sta sviluppando quel che potremmo definire una clinica hegeliana, ignoranza è un termine messo in tensione dialettica con verità. È interessante notare dunque che Lacan pone come negazione della verità non la falsità, ma l’ignoranza. Tra vero e falso non ci sarebbe infatti opposizione dialettica, ma semplicemente opposizione logica. Con l’ignoranza la questione è diversa perché l’ignoranza è plasmata sull’idea del diniego freudiano, cioè su sul modello di una verità che viene acquisita ma respinta, e su questa premessa s’innesta la funzione di misconoscimento dell’io. Accanto al tema del misconoscimento dell’io sta evidentemente quello del riconoscimento. La verità che il soggetto deve riconoscere, e che l’io vela misconoscendola, è la verità del desiderio. Il cammino analitico, per il paziente, si muove infatti in direzione di togliere man mano i veli con cui l’io occulta la verità del desiderio per farlo apparire e riconoscere. L’uomo si conosce come corpo La premessa di questa struttura, che implica l’io e il tu, ovvero implica la parola, è data dall’immaginario. Per spiegarlo Lacan si lancia in un confronto con l’animale. L’animale conosce il mondo e vi si adatta attraverso l’immaginario, strutturando il suo Umwelt, il suo ambiente circostante, in base alla proiezione di alcune Gestalten, immagini che lo organizzano e che sono specifiche per ogni animale. Nell’uomo tutto questo non funziona. Perché? Perché l’uomo ha un’immagine del proprio corpo. Lacan porta qui l’esempio del filmato di Arnold Gesell, un allievo di Stanley Hall, lo psicologo che invitò Freud in America. Il filmato mostra il bambino davanti allo specchio e lo slancio di giubilo che ha nel riconoscersi. Conosciamo l’idea di fondo che Lacan presenta nello stadio dello specchio: attraverso l’immagine dell’altro il bambino riceve l’anticipazione grazie alla quale acquisirà la padronanza del proprio corpo. Prende però qui risalto, e questo costituisce la differenza fondamentale rispetto alla psicologia animale, che l’uomo si conosce come corpo, che ha cioè una rappresentazione del proprio corpo, in quanto il soggetto assume e fa sua l’immagine che si forma nell’altro. L’altalena del desiderio Lacan fa leva a questo proposito, pur prendendolo con le pinze, sul termine introiezione. Ed è qui il movimento di altalena, lo scambio con l’altro dove l’uomo impara a conoscersi come corpo. Qui è anche il primo movimento in cui riconosce il proprio desiderio. Quel che infatti prima era sentito in modo confuso e incostituito, può essere riconosciuto cogliendolo rovesciato nell’altro. Vediamo quindi cosa intende Lacan per desiderio. Non è la casella vuota del linguaggio, il segno della mancanza di cui parlerà negli anni successivi, ma un coacervo indistinto di aspirazioni e bisogni che prende figura attraverso l’altro. C’è un tempo, logicamente anteriore, in cui il desiderio prende forma sul piano immaginario grazie al riflesso dell’altro e che, in un tempo logicamente successivo, l’uomo impara a riconoscere attraverso il simbolo, attraverso la parola. Su questo fa leva la prima distinzione tra immaginario e simbolico messa in gioco da Lacan. Sul piano immaginario il desiderio può essere riconosciuto solo in concorrenza e in rivalità con l’altro – e qui ricorre la famosa immagine di Sant’Agostino del bambino preso da struggente gelosia per il fratellino attaccato al seno della madre. Sullo sfondo c’è però la figura hegeliana della lotta tra servo e padrone, dove l’esito per lo sconfitto è la subordinazione o la morte. Questa tensione immaginaria trova una risoluzione solo nel mondo del simbolo, nel mondo in cui si parla, ed è questo il motivo per cui il desiderio è passibile di quella mediazione che porta al riconoscimento. Se così non fosse ogni funzione umana si svilupperebbe solo in direzione della distruzione dell’altro. Ma di fatto non c’è solo il lato aggressivo o distruttivo. Nel rapporto con il miraggio della propria immagine riproiettata nell’altro si determina la condizione fondamentale dell’innamoramento. La traslazione Questo ci mette sulla rotta di cosa significa la traslazione nell'esperienza analitica. Attraverso la modalità d’esercizio della psicoanalisi, “rompendo gli ormeggi della parola”, dice Lacan, ovvero dando corso all’associazione libera, si tratta di ottenere “la proiezione narcisistica massima”. È un’espressione interessante, ma cosa significa questa massimizzazione che si risolve in una rivelazione narcisistica sul piano immaginario? Lacan lo spiega con il caso di Dora, che è quello in cui Freud si rende conto del valore della traslazione nella relazione analitica. Freud tenta in tutti i modi di convincere Dora che è innamorata del Sig. K. Considera che sia nella sua figura che Dora debba riconoscere il proprio desiderio. Indica cioè nel punto O1 il Signor K, mentre invece lì per Dora sta la Signora K. L’errore dunque nell’analisi di Dora sta, secondo Lacan, nell’avere mal denominato il punto in cui si situa il desiderio di Dora. Questo ci fa però capire l’idea della massimizzazione narcisistica. Se l’io è infatti costituito, a mo’ di cipolla, da diversi strati che si tratta man mano di sfogliare per arrivare al punto essenziale, questo punto essenziale è costituito da O1, cioè dal miraggio primario in cui si sostiene l’immagine del corpo per il soggetto. Per Dora in questo punto c’è l’enigma della femminilità. Dora vuol sapere cos’è una donna, per questo in O1 mette la Signora K. e non il Signor K. La massimizzazione narcisistica si situa dunque nel punto O1 che sostiene tutte le successive identificazioni, i diversi strati immaginari che avvolgono e celano, misconoscono il punto del desiderio. Nell’analisi infatti si tratta di andare – dice Lacan – da O a O1, da ciò che per il soggetto è sconosciuto all’immagine in cui riconosce i propri investimenti immaginari, all’immagine cioè che risveglia nel soggetto il sentimento di “un’esaltazione senza freni, della padronanza di tutti i risultati” (p.231), un’immagine che è data all’origine nell’esperienza dello specchio. L’obiettivo dell’analisi Tutto il processo dell’analisi si fa nel movimento di alternanza tra O e O1, in un percorso di andata e ritorno, in un al di qua e un al di là dello specchio attraverso cui passa l’immagine del soggetto. In ogni passo verso il completamento di quell’immagine, il soggetto sente crescere dentro il senso di realizzazione e di dominio descritto da Lacan nel suo punto culminante per l’appunto come esaltazione senza freni. Mi sembra interessante questo passaggio perché indica come Lacan pensi l’obiettivo della psicoanalisi in quegli anni, cioè come un recupero di padronanza, dove integrazione del desiderio e padronanza coincidono. Deve ancora venire l’idea che il discorso del padrone è il rovescio di quello psicoanalitico. Non tuttavia c’è da stupirsi di questa concezione del termine dell’analisi, perché in fondo anche la linea freudiana va in questa stessa direzione. È vero che nella sua esegesi successiva Lacan piega l’aforisma freudiano Wo es war soll Ich werden a una lettura in cui fa spazio all’evento del soggetto diviso, ma è innegabile che in Freud ci sia fondamentalmente l’idea di riportare le pulsioni sotto il controllo dell’Io. È il Freud illuminista e razionalista. Questo obiettivo di padronanza appare ancora più chiaramente quando Lacan commenta il caso dell’Uomo dei lupi dove, dice, la rimozione è legata a un’esperienza traumatica, che sarebbe il fatto di aver assistito al coito dei genitori. Nel momento dell’osservazione tuttavia ha luogo non tanto l’effrazione traumatica, quanto una Prägung, un conio, l’imprinting che resta strettamente circoscritto al campo dell’immaginario e che non si integra nella dialettica simbolica. Solo più tardi, circa due anni dopo l’esperienza, secondo Lacan, il trauma che “possiede un’azione rimuovente” (p.239) emerge intervenendo après-coup, e una parte del mondo simbolico che sta per essere integrato “si stacca dal soggetto” e non può più essere integrato, quindi resta lì, “parlato da qualcosa di cui il soggetto non ha controllo” (p.238). Va così a costituire il primo nucleo di quelli che saranno i sintomi. Anche qui vediamo dunque che l’inconscio, il rimosso, è presentato come ciò che sfugge al controllo e non è messo alle redini del soggetto. Vediamo quindi una concezione molto diversa del desiderio da quella che Lacan sviluppa in seguito, una concezione secondo cui il desiderio si realizza con la presa di possesso di sé da parte del soggetto. Il soggetto Non dobbiamo tuttavia farci sviare, perché neanche il soggetto significa quel che significherà in seguito. Lacan qui distingue il soggetto dall’ego, che è una funzione immaginaria, ma cosa indica quando parla di soggetto? “Precisamente ciò che nello sviluppo dell’oggettivazione è al di fuori dell’oggetto” (pag.241). Come riferimento e come modello è preso qui il discorso della scienza, perché solo per la scienza c’è un oggetto, in quanto la scienza lo costruisce definendolo come il punto di applicazione di un sistema di forze controllabili. Il soggetto non è altro che lo scienziato che si adopera a ridurre tutto a un gioco determinato di simboli che definiscono tutte le interazioni tra gli oggetti. Lacan non cede mai però nell’epistemologia ingenua che punta ad assimilare il modello della psicoanalisi puramente e semplicemente a quello delle scienze fisiche. “Quando si tratta di essere organizzati – aggiunge infatti – lo scienziato è sempre costretto a implicare che ci sia l’azione. Un essere organizzato lo si può certamente considerare come un oggetto, ma fintanto che si suppone un valore di organismo, si conserva, fosse anche implicitamente, la nozione che si tratta di un soggetto” (p.241) Cosa significa? Gli oggetti di cui si occupano le scienze fisiche sono oggetti inerti, che permangono cioè nello stato di moto in cui si trovano fino a che non intervengono forse esterne. Gli organismi, cioè gli esseri biologici, non hanno la stessa passività, non soggiacciono passivamente al principio d’inerzia. Si muovono, prendono iniziativa, prendono decisioni, e quindi definirli come soggetto ha qui per Lacan il senso di indicarli come centri da cui emana attivamente un’azione, punti dell’universo che non sono meri recettori passivi di forze. La nozione di soggetto che usa qui Lacan è quindi molto estesa, comprende l’animale e potremmo anche dire le piante. Per il soggetto parlante però c’è una peculiare specificazione: il soggetto parlante infatti è capace di mentire. Il soggetto parlante può ingannare. Finché consideriamo il soggetto nell’ambito della scienza, lo scienziato è considerato meramente sul piano della coscienza, come riflesso, come specchio del mondo oggettuale. Con Freud, con il soggetto che parla, c’è invece la possibilità di mentire con cognizione di causa o al di fuori del campo della coscienza. Abbiamo qui i primi tratti che delineano la nozione, peculiarmente lacaniana, di soggetto dell’inconscio come distinto dall’ego. L’io non è più il titolare esclusivo della qualifica di soggetto perché è ridotto a miraggio, e a non essere altro che un elemento delle relazioni oggettuali del soggetto. È qui anche che Lacan ci dà una sua prima lettura dell’aforisma freudiano Wo Es war soll Ich werden. Non si tratta, dice, semplicemente di condurre un’analisi con l’obiettivo dell’allargamento della coscienza, ma piuttosto di uno spostamento, giacché l’Es non è in un punto solo, è in molti posti. Ed è interessante vedere dove Lacan colloca l’Es nel suo schema degli specchi, perché lo identifica con il soggetto che osserva il gioco nello specchio in A e, alla fine di un’analisi ideale, l’ego dovrebbe spostarsi in A, prendere il posto dell’Es. Fino al seminario sulla traslazione Lacan pone come obiettivo, come punto di arrivo di una psicoanalisi il fatto di far andare la mancanza al posto giusto, di riconoscerla non come mancanza di qualcosa, non come inseguimento metonimico e infinito di un oggetto di desiderio, ma come una mancanza tout-court, come castrazione. In questi primi passi del suo insegnamento tuttavia, quando la mancanza non è ancora concettualizzata, perché lo sarà solo nel seminario IV, la fine dell’analisi, il suo coronamento, è posto in una sorta di riempimento libidico dell’ego, che va a sovrapporsi alla posizione dell’Es. La realizzazione e la denominazione simbolica del desiderio vanno insieme a questo riempimento, questa massimizzazione narcisistica che è un riempimento libidico, giacché in questa fase del suo pensiero per Lacan la libido è concettualizzata come aderente all’immaginario. Il Superio È interessante allora vedere come Lacan colloca il Superio, perché vediamo che questo in realtà si pone invece in modo privilegiato sul piano simbolico. Lacan parte dall’idea che l’inconscio è in generale una scissione del sistema simbolico nel soggetto, e il Superio è una scissione analoga sul piano della legge. Per considerarlo in questa prospettiva Lacan respinge l’accezione corrente di Superio come messa in tensione del soggetto che comprime i propri istinti, e si riconduce piuttosto alla nozione freudiana di censura, la quale ha la funzione di ingannare e di mentire. È un’istanza che taglia in due il mondo simbolico del soggetto separando una parte accessibile e riconosciuta da una inaccessibile e proibita. Gli stessi accenti si trovano secondo Lacan nella nozione di Superio che produce una scissione in rapporto alla legge. Lo spiega con l’esempio di un suo paziente con dei sintomi particolari alla mano, che in precedenti tranche di analisi erano state attribuite all’attività masturbatoria. Si dà il caso tuttavia che quest’uomo fosse di religione mussulmana, e la legge coranica, come sappiamo, punisce il furto con il taglio della mano. Ora, il padre, durante la sua infanzia del paziente, era stato coinvolto in un furto. Era un funzionario pubblico e aveva perso il posto e, per quanto questa prescrizione non fosse più messa in pratica, idealmente gli si sarebbe dovuto tagliare una mano. È un po’ come l’uomo dei topi, dove l’uva acerba mangiata dai padri legherà i denti ai figli. L’enunciato del taglio della mano era rimasto così un segmento privilegiato in rapporto al resto della legge e aveva dato origine ai suoi sintomi. Direi che questo scorcio sulla funzione della legge e del simbolico completa la visione del compito dell’analisi secondo Lacan. Non basta infatti compiere più volte il numero di giri tra O e O1, necessari a reintegrare i desideri, le tensioni, le angosce del soggetto. Occorre, accanto a questo, che tutto venga riportato nel sistema dei simboli, sistema che Lacan non chiama ancora Altro, quell’Altro non barrato che terrà banco fino al seminario VI, ma che già si profila in questa discussione di un simbolico con la vocazione a nominare tutto.
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