![]() Relazione d'apertura del Congresso internazionale La femme n'esiste pas tenuta a Parigi il 31 marzo 2022 Marco Focchi Ernest Jones descriveva l’atteggiamento di Freud nei confronti delle donne come piuttosto antiquato: le vedeva, secondo lui, nella luce di angeli soccorritori, sostanzialmente dedite al benessere degli uomini, come dimostrerebbe anche la sua scelta coniugale, stigmatizzata, ci riferisce Lacan, con il termine uxurious. Certo Jones con il femminile era più disinvolto, tenuto conto dell’epoca. Per quel che sappiamo aveva avuto una ricca amante olandese e due mogli. È sempre lui a riferirci del colloquio di Freud con Marie Bonaparte dove il maestro viennese sostiene di non essere mai riuscito a risolvere l’enigma di cosa vuole la donna. Se questo enigma resiste alla soluzione lungo tutto lo studio che Freud ha fatto della femminilità, è però interessante percorrerne nei suoi testi la genesi, e vedere in che modo il femminile diventi per lui un enigma. All’epoca, infatti, come ben ci spiega Stefan Zweig nel suo straordinario libro Il mondo di ieri, la sessualità femminile non era affatto un enigma: semplicemente non esisteva, al pari di quella infantile. Si considerava che in una donna il desiderio sessuale nascesse solo per per cause esterne: per corruzione, se portata sulla cattiva strada da un seduttore, o legittimamente, grazie alle attenzioni del marito e in conseguenza del matrimonio. Il desiderio femminile sorgeva comunque sempre per induzione, non nasceva mai spontaneamente. L’ombra di un erotismo lascivo non proiettava mai la propria ombra perturbante sull’immagine immacolata dell’angelo del focolare.
Quando leggiamo quindi i Tre saggi sulla teoria sessuale, il primo testo in cui Freud esplora la differenza tra maschile e femminile, dobbiamo tener conto di questo sfondo sociale e culturale. È quindi necessario risvegliare lo spirito di quel tempo per cogliere l’incredibile novità del fatto che Freud parli non solo di sessualità infantile, ma della sessualità infantile nelle bambine. In questa sua prima escursione nel mondo erotico dei due sessi notiamo però che la femminilità non appare affatto come un enigma. In primo luogo perché Freud considera che la differenziazione tra maschile e femminile si presenti solo nella pubertà. In secondo luogo perché nel maschile e nel femminile la manifestazione della sessualità va completamente in parallelo. Leggendo con occhi moderni l’affermazione dell’esistenza di scariche di eccitazione sessuale frequenti nelle bimbe, forse non restiamo particolarmente impressionati. Dobbiamo però considerare appunto il fatto che all’epoca non solo per le bimbe, ma anche per le donne adulte non c’era nessuna idea di una possibile eccitazione spontanea nel femminile. Una volta fatto il gigantesco passo di considerare che anche nel femminile vi è un’eccitazione spontanea, l’analisi che nei Tre saggi segue è lineare e descrittiva, ma introduce un fattore estremamente significativo: questa eccitazione si presenta in contrazioni della clitoride le cui frequenti erezioni permettono alle femmine di giudicare correttamente, senza bisogno di ulteriori informazioni, le manifestazioni sessuali dell’altro sesso: semplicemente trasferiscono le sensazioni dei propri processi sessuali nei maschi. Vi è dunque un parallelismo perfetto: maschi e femmine hanno esattamente lo stesso tipo di eccitazione, per cui si capiscono senza problemi. Questo significa che prima che la femmina diventi donna c’è una corrispondenza che quasi adombra l’esistenza del rapporto sessuale. Il problema si pone infatti nel divenir donna, il Weibwerden, processo in cui la rimozione colpisce per l’appunto la sessualità clitoridea. Siamo qui però già in età puberale. Cosa succede allora? In conseguenza della rimozione si rafforzano nella donna le inibizioni, la donna diventa più neghittosa, sich weigernde, in quanto rinnega, verleugnen la sua sessualità. Questo sottrarsi della disponibilità femminile ne innalza il valore, come come quando nel mercato cresce il valore di una merce fattasi rara, e porta il maschio a intensificare le proprie prestazioni e i propri sforzi per ottenerla. Siamo quindi in una situazione opposta a quella che incontreremo negli ultimi saggi di Freud, dove vediamo come il confronto fallico induca svalutazione e disprezzo nei confronti della donna. Ma la differenza è appunto questa: nei Tre saggi l’esame del femminile non mette in gioco ancora il fallo, e si sofferma piuttosto sui movimenti libidici. Quando infatti ci troviamo nella situazione in cui per la donna l’atto sessuale è permesso – dobbiamo quindi supporre, nella prospettiva dell’epoca, una donna legittimamente maritata – allora la clitoride eccitata, e senza più le precedenti restrizioni, estende l’eccitamento alle parti femminili vicine, e qui Freud usa un paragone di immaginifica espressività: la clitoride funziona all’occasione come una scheggia di pinastro che può essere utilizzata per incendiare la legna più dura. Oggi non useremmo più il pinastro, piuttosto un accendifuoco come la Diavolina, nome che in questo senso è ancora più espressivo: la clitoride ha la diabolica e tentatrice funzione di infiammare libidicamente quelle parti femminili che nella descrizione freudiana non appaiono certo enigmatiche come quella che oggi cercheremmo di individuare nel misterioso punto G. Quando la traslazione – Übertragung – dell’eccitabilità esogena dalla clitoride all’ingresso della vagina si è compiuta, la donna ha cambiato la zona direttiva per la successiva attività sessuale, mentre l’uomo ha conservato sempre quella dell’infanzia. L’analisi della femminilità nei Tre saggi si concentra dunque sugli spostamenti di libido e sulle zone di eccitabilità, adombrando in fondo quel che Lacan chiamerà l’Altro godimento, il godimento supplementare, il godimento al di là del fallo. Ma l’interesse in questo primo excursus di Freud è proprio che il fallo non è in gioco, c’è solo una dinamica del godimento che non implica nessuna gerarchizzazione o giudizio di valore. In questo primo quadro la donna non appare sminuita dallo spostamento dalla clitoride alla vagina, e non pare soffrire di invidia di alcunché. Freud non rimette mano per quasi vent’anni a questa prima analisi, che traversa dunque inalterata le svolte maggiori del suo pensiero, come la messa in gioco della pulsione di morte o l’introduzione della seconda topica. Sul problema torna nel 1923 nel suo saggio L’organizzazione genitale infantile. Qui il panorama cambia completamente, e il fattore determinante di questo mutamento di prospettiva è per l’appunto l’entrata in scena della fallo. Freud non sente più sufficiente l’analisi dell’eccitazione sessuale e dei suoi spostamenti. Considera infatti che quando lo sviluppo della sessualità infantile raggiunge il proprio culmine, l’interesse per i genitali assume un’importanza quasi pari a quella degli anni della maturità, con la differenza che nell’organizzazione genitale infantile c’è un solo genitale a svolgere un ruolo, ed è quello maschile: non siamo più in presenza – afferma Freud – di un primato dei genitali, ma di un primato del fallo. Passiamo dunque da una pura considerazione dei movimenti libidici a una valorizzazione simbolica dell’organo. Quel che prima era visto come uno sviluppo parallelo nei due sessi, dove la bambina attraverso le sue sensazioni poteva capire quel che succede nel maschietto, comincia a prendere vie divergenti. Nel momento in cui s’impone il valore fallico si produce una gerarchizzazione. Freud ci spiega che il bambino – ma questo è un neutro che comprende bambini e bambine – pur rendendosi conto che c’è una differenza tra uomini e donne, attribuisce la presenza del fallo a tutti i viventi, e anche agli esseri inanimati, come Hans che, quando vede uscire acqua dalla locomotiva lo interpreta come un “fapipì”. L’attribuzione universale del fallo è, in un certo senso, ciò che nobilita l’esistente, ciò che lo innalza a dignità ontologica facendolo uscire dal marasma indifferenziato del caos primordiale. Si capisce quindi come a partire dalla posizione del primato del fallo cominci anche a stabilirsi una gerarchia. Se nei Tre saggi, fatti i dovuti spostamenti, poteva esistere una democrazia del godimento, con il testo del 1923 il fallo decisamente introduce una discriminazione. Non essere contrassegnati dall’attributo fallico implica esserne stati privati. E per quale motivo un essere dovrebbe venir privato di un valore così determinante se non per qualche colpa, per qualche ragione che ne implichi l’indegnità? Essere privi del fallo è come essere soldati degradati sul campo, con l’umiliazione e l’abbassamento che ne conseguono. Anche la femminuccia che scopre la propria differenza crede di essere l’unica in tutta l’umanità a non possedere quell’attributo, ed evidentemente questa situazione è dovuta a qualche colpa riconoscibile inevitabilmente nella masturbazione infantile. Quando la bambina scopre di non essere la sola a essere castrata, tutta la categoria femminile allora decade ai suoi occhi. Anche il bambino non generalizza tanto rapidamente l’assenza del pene e crede che ne siano prive solo le donne che hanno commesso qualche colpa. E quale colpa deve essere se non quella di aver ceduto agli impulsi autoerotici che anche lui sente? Così si fa strada la castrazione come minaccia, e appare per la prima volta la ripartizione tra donne rispettabili, come la mamma, che continua a essere pensata fallica, e le donne indegne: unwürige weibliche Personen. Non siamo ancora all’enigma della femminilità, ma se ne sta preparando lo spazio: nel femminile c’è qualcosa che non va, c’è qualche oscura colpa di cui il bambino può riconoscere ancora in sé le premesse, dato che anche lui prova gli impulsi che hanno portato alla condanna. È solo però quando la tematica fallica s’innesta sul problema edipico che l’enigma comincia ad affiorare. Nel saggio del 1924 su Il tramonto del complesso edipico infatti Freud s’interroga su cosa porti al superamento del complesso, e per il maschietto le cose sono chiare. Abbiamo visto quanto il bambino investa sul fallo, e quale importanza erotica e simbolica quest’organo assuma. Al tempo stesso abbiamo visto come si profili il rischio di castrazione, dato che ci sono esseri non privi, ma privati di questo attributo. Nel complesso edipico Freud contempla due possibilità di soddisfacimento: una attiva e una passiva. Nella prima il bambino si mette al posto del padre per avere rapporti con la madre, nella seconda vuol sostituirsi alla madre per lasciarsi amare dal padre. Per quanto in modo vago, il bambino sente che in tutta la faccenda c’è di mezzo il pene, e in entrambi i casi si troverebbe nella condizione di perderlo. Nel primo caso lo perderebbe come conseguenza di un castigo, nel secondo come presupposto, andando a occupare una posizione femminile. Si verifica quindi un conflitto tra l’interesse narcisistico per il fallo, che si troverebbe messo a repentaglio, e l’investimento degli oggetti genitoriali. Normalmente in questo conflitto l’interesse narcisistico prevale, e questo spinge il bambino al superamento del complesso edipico. Ma che dire della femminuccia, che sapendosi già castrata non può avere la stessa spinta? Qui le cose si complicano. Per la femmina – dice Freud – il superamento del complesso edipico è inspiegabilmente – unverständlicherweise – più oscuro. L’enigma, con l’incrociarsi della problematica fallica e dell’Edipo, comincia a connotare la via femminile. Sappiamo la risposta che Freud dà in questo saggio: la bambina non rinuncia facilmente al pene e si aspetta un risarcimento in forma di bambino dal padre. L’Edipo tramonta nel suo caso perché il desiderio non si esaudisce. In pratica nel femminile non c’è soluzione dell’Edipo: tutto resta aperto fino a che non intervenga una rinuncia che nulla però contrassegna né determina. Non sappiamo, in realtà, cosa porti la femminuccia fuori dall’Edipo. Quando nel 1925, nel saggio su Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi, Freud registra infine che la configurazione psichica della vita sessuale infantile, contrariamente a quel che pensava all’inizio, segue due vie diverse per il maschietto e per la femminuccia, compare il concetto d’invidia del pene, che è una specie di concetto ponte per dire: è comparso qualcosa di enigmatico nello sviluppo femminile, per il quale non abbiamo ancora risposta, ma con la nozione di invidia del pene possiamo cercare di ricondurre tutto alle equazioni precedenti. Tuttavia, come insegna Hegel, un calzino bucato è meglio di un calzino rammendato, e nel 1926, nel saggio su L’analisi condotta dai non medici, Freud riconosce senza più mediazioni che la vita della donna adulta è un dark continent, e che non dobbiamo vergognarci dunque di non sapere molto anche sulla sessualità infantile femminile. La sessualità femminile si manifesta ormai in tutto il suo carattere enigmatico. Nel 1931, nello scritto sulla Sessualità femminile, Freud sonda questo enigma esplorando il grande continente pre-edipico del rapporto con la madre. L’amore per la madre, fa qui da modello e da incubatore al seguente attaccamento al padre, e soccombe a un’ostilità man mano accumulatasi, ma il cui fattore determinante è il rimprovero di averla fatta nascere donna, cioè senza un genitale appropriato, richtiges Genitale. Il distacco dalla madre avviene così sotto il segno della frustrazione e della delusione e rivolgendo la propria attenzione al padre la femminuccia lascia dietro di sé un panorama di rovine. L’ultimo grande scritto del 1932 su La femminilità raccoglie la messe di tutte queste osservazioni. Lasciandosi alle spalle il parallelismo iniziale tra maschile e femminile, nello sviluppo sessuale si apre lo spazio per l’enigma della femminilità, das Rätsel des Weiblichkeit, qui è ormai chiaramente dichiarato. C’è qualcosa di innaturale nel femminile, qualcosa per cui, afferma Freud, la costituzione si adatta solo con riluttanza alla funzione. La strada è accidentata e ci sono due passaggi chiave che al maschietto sono risparmiati: il trasferimento della sensibilità dalla clitoride alla vagina e il passaggio dalle relazione pre-edipica con la madre a quella edipica con il padre. Non si diventa donna senza distruggere qualcosa sul piano del godimento, cioè la sensibilità clitoridea, e sul piano relazionale, cioè il legame pre-edipico con la madre. Diventare donna vuol dire cancellare tutto quel che la natura presenta sul piano erotico in modo analogo al maschile, vuol dire cioè eliminare in sé ogni traccia spontanea di maschilità. Cosa resta? Il merito di Freud è di mostrare che invece del nulla a cui si era fermata tutta la ricerca prima di lui, qualcosa c’è, ma qualcosa di cui non sa parlare, qualcosa che neppure le donne sanno esprimere. L’enigma chiama a una soluzione, e a volte forza una soluzione. Freud non scivola nel passo falso di risolvere l’insolubile, e ci lascia in eredità l’area di un non-detto per dar conto del quale Lacan passerà il testimone alle mistiche, le virtuose dell’inesprimibile. Oggi che le donne raccontano le loro storie senza inibizioni e senza bisogno del rapimento celeste di Santa Teresa o di Santa Caterina da Siena, penso a scrittrici come Emma Becker, Virginie Despentes, Nelly Arcan, Grisélides Réal, ne sappiamo forse di più sul femminile, sui suoi labirinti misteriosi che in alcuni casi costeggiano la disperazione e la morte? Che le donne siano libere di parlare, che la sessualità sia desacralizzata, che attraverso la pornografia sia condotta dal capitalismo nel circuito dei beni disponibili, ce la rende più afferrabile? Credo che il valore della ricerca freudiana su questo aspetto sia di aver prodotto un enigma che, una volta sciolto dalle maglie edipiche, non solo non presenta nessuna soluzione, ma la respinge attivamente facendo apparire un godimento alla deriva non fissato da alcun ormeggio significante. Questo ci salva dalla sessuologia, e dal pensiero unico di una scienza che punta a stringere nel proprio pugno, per sottometterlo, l’arcano ultimo del mondo.
1 Comment
Giovanni Guglieri
30/12/2022 05:34:15 pm
Sembrerebbe che con Lacan la sessualità diventi meno centrale rispetto a Freud mentre accrescerebbe l'importanza del linguaggio.
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