Conferenza tenuta presso la New Lacanian School a Tel Aviv il 12 gennaio 2014. di Marco Focchi Nelle prime lezioni del seminario VI Lacan, dopo aver presentato le strutture del linguaggio sulle quali fonda l’interpretazione, passa a presentare alcuni esempi concreti, che attinge dal repertorio freudiano dell’Interpretazione dei sogni. Il sogno da cui parte è quello famoso del padre che era morto ma non lo sapeva, e che si trova nel capitolo che tratta in particolare dei sogni assurdi. Introducendo il capitolo, Freud nota che questi sogni trattano, in generale, del padre morto, e aggiunge che questo può apparire casuale solo a uno sguardo superficiale. Freud non spiega perché non gli appaia casuale, ma lo si capisce molto bene quando si vede la chiave di lettura che dà dei sogni assurdi e dell’elemento dell’assurdo in generale. Il lavoro onirico infatti produce sequenze assurde quando si tratta di rappresentare elementi di critica, di ironia e di sarcasmo espressi dai pensieri del sogno. I sogno assurdi sono dunque quelli che mettono in discussione la figura del padre, che non la prendono sul serio. Abbiamo quindi qui un aspetto particolarmente interessante se consideriamo il modo in cui Miller ha letto questa esemplificazione di Lacan, cioè come uno sviluppo che pone le basi per articolare l’al di là dell’Edipo, per definire un’interpretazione del desiderio che non si limiti alla chiave di lettura edipica. Il testo del sogno esposto da Freud è: “Un uomo ha curato il padre nel corso della sua malattia e ha gravemente sofferto per la sua morte, sogna che suo padre è di nuovo in vita e parla con lui come una volta, però continua a essere morto e non lo sa”. Il sogno, apparentemente insensato, perde il suo carattere assurdo se viene integrato con due clausole. La prima è che dopo “continua a essere morto” si inserisca: “in conseguenza del desiderio del sognatore”; la seconda è che si prolunghi “ma non lo sa” con “non sa che il sognatore aveva questo desiderio”. Freud spiega la sua interpretazione dicendo che il figlio, assistendo il padre durante la malattia, aveva più volte desiderato la morte del padre perché potessero finire i suoi tormenti. Nel lutto successivo alla morte questo pensiero, apparentemente pietoso, diventa per il figlio un rimprovero inconscio, come se il pensiero avesse effettivamente contribuito ad abbreviare la vita al padre malato. Bisogna inoltre aggiungere che il desiderio attuale aveva attinto ai primissimi desideri infantili rivolti contro il padre. L’interpretazione freudiana è dunque integralmente edipica: odio verso il padre e desiderio per la madre. Come si produce il senso
Come affronta Lacan la struttura di questo sogno? La domanda che si pone è se le due clausole mancanti costituiscano una rimozione o un elisione, se cioè costituiscano oppure no quel che Freud chiama Real Verdrängt, quel che è effettivamente rimosso. La risposta che dà è che le due clausole non sono affatto rimosse, sono elise. Si tratta di un’elisione che produce senso. Le riflessioni che Lacan fa su questo sogno vengono come prolungamento degli interrogativi suscitati in lui da un aneddoto di Darwin riferito nelle lezioni precedenti. Darwin racconta di aver partecipato a una serata dove era presente un certo Sydney Smith, scrittore e umorista, che aveva detto, molto tranquillamente, di aver sentito dire che la cara Lady Cork era stata trascurata, non era stata vista. Ma da chi?: “I hear that dear old Lady Cork has been overlooked!”. Darwin si mostra stupito che nella piccola cerchia in cui Sidney Smith ha proferito il suo discorso, il senso sia stato subito assolutamente chiaro. Nessuno aveva il minimo dubbio sul fatto che il soggetto che Smith non aveva menzionato, e che avrebbe dimenticato Lady Cork, fosse il diavolo, The Devil, e che per colei che il diavolo aveva trascurato di portare con sé nella tomba, cioè per Lady Cork, la tomba in quel momento, a quel piccolo pubblico, doveva sembrare la sua collocazione naturale. Ciò a cui punta Lacan in questo aneddoto è che c’è qualcosa, un termine eliso, che entra in gioco e che viene capito proprio in quanto eliso. Un termine che ci si sarebbe aspettato nel discorso, per esempio un riferimento alla malattia di Lady Cork, non si presenta, se ne presenta un altro, inatteso, overlooked, e questo rende presente la morte, a cui il soggetto può, o meno, sfuggire. Attraverso questo, dice Lacan, il personaggio della battuta rivela una certa familiarità con quel che nel linguaggio è velato, e quel che è velato è il significante del fallo, cioè il significante delegato in particolare a indicare i rapporti del soggetto con il linguaggio. Lacan sta insomma introducendo in queste lezioni l’idea della sostituzione significante, l’idea che un significante possa prendere il posto di un altro, che “overlooked”, nel caso in questione, possa prendere il posto di “ill”, di malattia, e che questa sostituzione crea un senso. Ma come si crea senso? Come funziona che un significante rimandi a un valore referenziale? Non funziona come un sistema di etichette applicate alle cose, ma attraverso la produzione di un vuoto nel linguaggio. Qualcosa deve mancare perché si possa produrre senso, e ciò che manca sempre è il fallo. Lacan lo definisce come metonimia del soggetto nell’essere. Credo che per un verso questa definizione debba essere interpretata in base allo schema della metafora paterna, che Lacan ha sviluppato nel seminario nell’anno precedente: il bambino si sottrae, attraverso l’operazione della metafora paterna, dalla posizione che lo fa coincidere con l’oggetto di desiderio della madre, e questo produce la castrazione dell’Altro, l’Altro materno resta decurtato dall’oggetto di desiderio, ma il prezzo che il soggetto paga per questo è la libbra di carne: offre la parte per il tutto, sottrae la totalità del proprio essere alla divorazione materna, dando però in pasto il resto fallico dell’operazione. Attraverso questa sostituzione, questa metonimia, il soggetto riprende su di sé la castrazione che originariamente è dell’Altro. Nel seminario VI questa dialettica è ripresa negli schemi del grafo che, come ha fatto notare Miller, non riproducono i termini della metafora paterna, e quindi possiamo dire che sono riformulati sulla via di un cammino che proietta questo scambio in una logica al di là dell’Edipo, una logica che vedrà il proprio pieno sviluppo solo con il seminario X sull’angoscia, dove non è l’intervento paterno a sottrarre il bambino dalla posizione di oggetto del desiderio dell’Altro, perché la mossa di sottrarsi avviene attraverso una cessione da parte del bambino: è il bambino a cedere spontaneamente una parte. Questa cessione è l’antesignano dell’operazione di separazione. C’è quindi tutto un percorso che va dalla metafora paterna, ai grafi, all’angoscia, ad alienazione e separazione, in cui gli elementi di questo scambio vengono ripresi in termini sempre diversi. Nel seminario VI il problema è formulato nei termini di uno scambio significante. Ma la presenza del fallo come passaggio necessario per realizzare la funzione referenziale profila il fantasma come ciò che costituisce la cassa di risonanza del senso, come ciò a cui rimanda ogni interpretazione che faccia sorgere un senso per il soggetto. Se torniamo allora al sogno del padre morto capiamo allora, con queste premesse, perché Lacan considera che le due clausole aggiunte per interpretare il sogno non siano il materiale rimosso ma piuttosto delle elisioni. Le clausole elise non sono materiale rimosso perché quel che Freud restituisce a quanto il testo del sogno ha sottratto produce qualcosa che il soggetto già conosce. Il figlio è infatti consapevole di aver augurato la morte al padre davanti alla malattia, e questo desiderio è perfettamente accessibile. È dunque l’elisione in quanto tale l’aspetto significativo, perché non si tratta di un puro e semplice annullamento o di una cancellazione, si tratta piuttosto di una sostituzione. L’elisione è qualcosa che va presa come un valore 0, che è comunque una cifra e che entra nei calcoli. Elidere significa sostituire uno spazio vuoto a qualcosa che viene eliminato, e questo produce senso, rende presente qualcosa che non potrebbe essere reso presente in altro modo, che non è derogabile. Cos’è l’interpretazione in senso psicoanalitico? È interessante tenere presente questo passaggio ripensando a quanto, molti anni dopo, Lacan fisserà, ne l’Etourdit, in una formula lapidaria, dicendo “L’interprétation est du sens et va contre la signification”. Vediamo come prende corpo la nozione di interpretazione: nell’interpretazione non si tratta di riferimento a dei codici. Tutta la psicoanalisi postfreudiana in fondo l’ha concepita così: il repertorio immaginario dei fantasmi kleiniani, i codici del Self nella psicoanalisi kohutiana, o semplicemente il codice edipico freudiano. Con il semplice movimento di legare la produzione di senso a un’operazione di sostituzione, l’interpretazione viene così ricalibrata diversamente. Non è più un movimento alla ricerca di significanti già presenti seppur nascosti, non è più qualcosa la cui freccia è puntata verso il passato, alla ricerca di elementi già dati, che costituirebbero la significato di simboli che li indicano, ma diventa qualcosa orientato a un senso che si produce. Non abbiamo più una concessione statica, come quella di un deposito di significati a cui attingere, di sacco dell’inconscio da svuotare nella coscienza del paziente, perché il senso è considerato in un processo dinamico, in cui si produce. Il processo, il motore di questa produzione, è l’operazione di sostituzione, dove quel che si tratta di trovare non è un elemento positivo identificabile ma, come Lacan si esprimerà nel seminario XI, piuttosto una differenza pura. Questo aspetto è importante perché nella prima parte del seminario VI vediamo che Lacan getta le basi per una radicale riformulazione, per un radicale ripensamento della nozione di interpretazione. Nel titolo abbiamo il “desiderio”e “l’interpretazione”, e il tema del desiderio è quello in maggiore evidenza, è quello che lo stesso Lacan mette in primo piano, che interroga direttamente ed è il più accentuato, ma se si guarda solo dal lato del desiderio si perde di vista il grande lavoro di ripensamento del concetto di interpretazione. Non dobbiamo aver paura di vedere che, prima di Lacan anche in Freud, il concetto di interpretazione è fortemente legato a un codice. Non voglio dire che si riduca a questo: c’è una straordinaria ricostruzione storica, specifica, singolare che Freud fa nei casi che ci ha trasmesso, basti pensare alla potente analisi della scena originaria dell’Uomo dei lupi, o alla ricostruzione di materiale che c’è nell’Uomo dei topi. Ma tutta la specificità di questo materiale è stretta nella griglia edipica, è indirizzata su un binario dove ha già una meta destinata. Lacan fa saltare esattamente questa griglia, o meglio, non l’annulla, perché l’Edipo certamente ha senso ancora nella nostra pratica, ma la apre. A partire dal modo in cui riformula le cose l’Edipo non è più l’unica destinazione, l’unico bersaglio dell’interpretazione e del tipo di dinamismo che la prospettiva di Lacan rende possibile. Non si tratta dunque semplicemente di dare un nuovo e più ampio contenuto alla possibilità di interpretazione, ma piuttosto, attraverso la forma e i mezzi ridefiniti da Lacan, di ripensarne il funzionamento stesso. L’associazionismo La forma e i mezzi sono quelli descritti nella lezione in cui Lacan riprende il sogno del padre morto. È lì infatti che Lacan rivisita i primi passi della psicologia moderna e la teoria dell’associazionismo psicologico. Gli esponenti dell’associazionismo in psicologia nel XIX secolo sono sostanzialmente Hermann Ebbinghaus, che ha studiato i meccanismi della memoria, Edward Thorndike, che ha studiato l’apprendimento animale, e possiamo aggiungere Ivan Pavlov, che ha studiato il condizionamento attraverso il meccanismo dell’associazione. L’associazionismo ha però le proprie origini nobili nella filosofia moderna, dove trova la piena formulazione in Hume, e sullo sfondo dell’analisi di Lacan c’è per l’appunto Hume, perché Lacan ne riprende le leggi fondamentali da lui descritte, che sono quelle di somiglianza, di contiguità e di causalità. Lacan reinterpreta queste leggi, che per Hume prescindono da ogni a priori categoriale e definiscono un funzionamento naturale della mente. Per Hume, la mente è un prolungamento della natura, è qualcosa di radicalmente diverso dalla res cogitans, dal soggetto cartesiano a cui Lacan si appoggia in questa lezione per definire il soggetto dell’enunciazione. Lacan riprende queste leggi di Hume reinquadrando però completamente il problema. E la sua interpretazione si basa su questa frase che troviamo a pag. 62 “ La teoria associazionista ne fait rien d’autre, en realité, que doter d’emblée le champ du réel du caractre frequenté et structuré de la chaine signifiante”. Quindi praticamente Lacan rilegge l’associazionismo accentuando l’aspetto atomistico, di discontinuità, e riconoscendovi il tipo di articolazione e frammentazione presentata dalla catena significante. Questo gli permette di considerare le leggi fondamentali dell’associazionismo come leggi della catena significante dove la contiguità presenta i caratteri della metonimia, e la somiglianza presenta i caratteri della metafora. L’istinto punta al reale Trovo sia una prospettiva particolarmente interessante rispetto alla rilettura che è possibile fare dell’articolazione tra processo primario e processo secondario in Freud. Nel processo primario, che domina nello stato onirico, il desiderio onirico viene allucinato –dice Freud – e nell’allucinazione il soggetto trova modo di credere alle realtà del proprio appagamento. Che il sogno rappresenti un desiderio come appagato significa per Freud la realizzazione di un soddisfacimento allucinatorio. Il processo primario segue infatti un cammino regressivo e poiché la via verso la motilità si trova sbarrata, nel ritorno appare una rappresentazione che offre all’eccitazione che è stata stimolata una forma di soddisfacimento allucinatorio. È su questo che si punta la critica di Lacan, che considera incongrui il fenomeno allucinatorio e quello del soddisfacimento. In nessun modo un bisogno può trovare soddisfacimento per via allucinatoria, e per trovare soddisfacimento l’uomo deve passare per il processo secondario che riafferisce alla motilità, che tiene conto del principio di realtà e cioè del labirinto, della gimcana di ostacoli che si interpongono tra la spinta verso il piacere e l’oggetto che può appagare. L’osservazione significativa di Lacan a questo proposito è che se è necessaria un’articolazione tra due processi perché l’uomo possa raggiungere il proprio soddisfacimento, è perché si è volatilizzato l’istinto, è perché l’istinto non è più la guida sicura di un comportamento. Cos’è infatti l’istinto? Secondo quel che insegna l’etologia moderna è un comportamento che nell’animale viene attivato da dei segnali d’innesco, un comportamento che può essere predatorio o sessuale e che conduce l’animale a seguire determinate sequenze di azioni, fino a che non interviene uno stimolo di cessazione, che è l’equivalente della soddisfazione. Lacan sottolinea che l’istinto è sempre orientato verso il reale. Lo stimolo o il segnale d’innesco avviano la motilità, e la motilità porta il predatore verso la preda, il maschio verso la femmina, e comunque sempre verso un oggetto ben collocato nel mondo reale. Ci possono poi essere modi per ingannare l’istinto, ci possono essere degli abbagli, e l’animale può scattare per appropriarsi di uno straccio che si agita, ma resta tuttavia che questo straccio è stato individuato nel reale. Per questo, dice Lacan, nell’uomo è il processo secondario che fa le funzioni che per l’animale fa l’istinto, perché il processo secondario afferisce al reale. Ma afferisce al reale sullo sfondo del processo primario e della sua dimensione allucinatoria, quindi per arrivare al reale deve riconoscerlo, deve discriminarlo, deve distinguerlo dall’allucinazione, e quindi deve esercitare un giudizio. L’uomo – diversamente dall’animale – deve discriminare tra allucinazione e realtà prima di accedere alla motilità, quindi l’accesso alla realtà non può essere diretto, ed è sempre mediato dal giudizio che, sostiene Lacan, è l’ultima parola di Freud su questi temi. Quel che per Freud è giudizio per Lacan si traduce in termini di significanti, e qui Lacan prende il termine Niederschriften, le iscrizioni, le registrazioni, che si accumulano in diversi strati nell’apparato psichico. Il processo primario non funziona cercando un oggetto nuovo, ma un oggetto ritrovato, un oggetto che corrisponde alla traccia, e la lampadina si accende quando viene rievocata la Vorstellung che corrisponde al primo frayage: si accende la lampadina da diritto al premio. Il premio viene però consegnato solo se c’è una riserva accumulata, e la riserva è accumulata nel processo secondario. Il desiderio è mediato dal significante Vediamo quindi chiaramente le linee di pensiero che Lacan sta sviluppando in queste prime lezioni del seminario, che consistono nel mostrare come tutto ciò a cui abbiamo accesso dal punto di vista del soggetto sia mediato dal significante. Hume punta a fondarsi soltanto su ciò a cui l’uomo ha diretto accesso sensibile, Lacan riprende sostenendo che il fatto stesso che il sensibile si presenti con delle leggi in qui è articolato e frammentato indica che già è contrassegnato dal significante. Vediamo poi analogamente la differenza tra l’istinto e la pulsione, dove il primo mira direttamente al reale, e la seconda, appunto, per via dell’articolazione tra processi primari e secondari, per raggiungere la propria meta deve passare attraverso l’Altro, deve cioè ricodificare in forma di domanda la spinta inizialmente nata dall’urgenza del bisogno. Il fatto che non ci sia rapporto sessuale viene proprio dall’impossibilità di codificare la relazione tra uomo e donna. Lo stesso passaggio necessario attraverso il significante vale per il sogno e per il desiderio che il sogno esprime, e per esemplificarlo Lacan prende il sogno emblematico di Anna Freud. Si tratta di un sogno che Freud presenta per mostrare il desiderio nella sua natura più essenziale, l’osso del desiderio spogliato di qualsivoglia rivestimento rappresentativo, il desiderio nudo, come si esprime Lacan. È un sogno che Freud raccoglie infatti dalla bocca della figlia addormentata all’età di un anno e mezzo. Alla bambina sono state proibite le fragole e il desiderio rimasto trova modo di esprimersi per via onirica. La mia figlia più piccola, che all’epoca aveva diciannove mesi – scrive Freud – un mattino aveva vomitato, ed era stata messa a dieta. Nella notte seguita alla giornata di carestia, la si è sentita dire nel sonno, “Anna Freud, fragole, fragolone, frittata, pappa”. È dunque un sogno, dice Lacan, che si oppone alla alle misure di “polizia sanitaria” prese in casa, ed è un’osservazione interessante perché mostra già l’articolazione del desiderio con la legge. L’interessante di un frutto è di essere un proibito. Nessun sogna un frutto pienamente accessibile, a disposizione. Le fragole della piccola Anna diventano oggetto di desiderio onirico perché sono l’equivalente della mela del paradiso terrestre*. Questo già va nel senso della mediazione simbolica, già questo basterebbe a costituire un’obiezione alla “nudità” del desiderio perché nessun animale è guidato verso un oggetto di desiderio proibito, e parlando di interdizione Lacan spezza il termine inter-dit, per esprimere l’idea di un oggetto che si trova tra le parole o, meglio ancora, possiamo dire di un oggetto rispetto al quale le parole costituiscono al tempo stesso un accesso e un ostacolo. Costituiscono un accesso perché fanno apparire la cosa nel momento in cui la nominano, ma costituiscono un ostacolo perché nominando la cosa fa fanno sparire, il Niederschrift, l’iscrizione resta la traccia di qualcosa che è svanito, che si è sottratto. Ma non semplicemente questo Lacan vuol mettere in evidenza, quello su cui punta l’attenzione è piuttosto l’articolazione della sequenza della piccola Anna, che nomina cibi prestigiosi come oggetto di desiderio, ma che soprattutto comincia nominando se stessa, la propria posizione come colei che trasmette il messaggio. E Lacan mette bene in evidenza che per quanto si possa imputare all’animale di avere dei desideri (“le cochon rêve les glands, l’oie rêve du mais”), nessun animale si nomina come emittente del messaggio quando esprime il proprio bisogno o desiderio. Abbiamo quindi nella catena di Anna una differenziazione di luoghi. Non si tratta di una catena lineare. Il nome posto all’inizio connota l’enunciazione, mentre l’elenco successivo dei cibi è la stringa dell’enunciato. Topologia Si tratta di una differenziazione di luoghi ed è per questo che Lacan comincia qui a parlare di topologia. Il grafo, con la sua differenziazione di piani, dove si distribuiscono il piano dell’enunciato e quello dell’enunciazione, è già una prima forma della topologia di Lacan che si sviluppa poi nel seminario sull’Identificazione. Perché troviamo proprio qui i primi accenni di quello che sarà il pensiero topologico di Lacan? Per le ragioni, direi, che Miller ha messo ben in evidenza nella sua relazione ad Atene. Lacan inizia la sua riflessione cercando di articolare la psicoanalisi con la scienza, e questo lo porta a privilegiare la nozione di legge. C’è evidentemente la ricerca di qualcosa di analogo alle leggi della scienza, e la legge in Lacan si declina in molti modi: leggi linguistiche, leggi dialettiche, leggi matematiche, leggi sociologiche, legge freudiana o edipica. La legge è correlativa alla funzione che Lacan delinea nel seminario precedente a questo, il V, come la funzione dell’Altro dell’Altro. Il nome del padre è definito come Altro dell’Altro, che è l’Altro della legge. È una posizione che Lacan critica già a partire dal seminario successivo, il VI, già qui Lacan comincia a prendere una via diversa. La lettura che ne dà Miller è che se Lacan ha cominciato con il Nome del Padre e la legge, si è poi trovato a un bivio: da una parte il Nome del Padre, dall’altra il desiderio, e ha seguito la via del desiderio. Questo seminario quindi già traccia la divisione in questo senso, allontanandosi dalla legge del padre e andando verso il desiderio. Il grafo costruito nei seminario V è infatti il grafo del desiderio. L’interessante è per l’appunto che a più riprese qui Lacan si riferisce alla topologia. Il grafo del desiderio è anche infatti il primo passo verso la topologia. La topologia implica una definizione delle proprietà e della posizione di una superficie con elementi interni alla superficie stessa e senza riferimento a uno spazio assoluto come quello definito dalla coordinate cartesiane. Il riferimento alla topologia entra in gioco dunque in questo seminario perché si tratta di differenziare diverse posizioni del soggetto, ma anche e soprattutto perché s’inaugura qui un modo di pensare topologico, cioè un modo di pensare che non fa ricorso alla funzione trascendente del Nome del Padre. Si passa così da una clinica che ha l’obiettivo di mettere in ordine le cose e l’ordine simbolico dà la garanzia di questa possibilità di ordine, a una clinica che segue le capacità, le tendenze, le inclinazioni del soggetto. Il punto non è più arrivare alla rivelazione di una mancanza ma toccare il fantasma. La funzione del fantasma Miller insiste molto nella sua lettura di questo seminario su come Lacan metta in primo piano il fantasma, su come l’interpretazione sia coordinata con il fantasma, e questo significa seguire un cammino contrario a quello che porta verso un principio d’ordine coordinato alla realtà, perché fa piuttosto emergere un desiderio disomogeneo alla realtà. Quando spostiamo l’accento dalle leggi del linguaggio in cui si articola il desiderio e in cui il desiderio è articolato con la legge, quando ci si sposta da questo a un desiderio che ha il proprio sostegno nel fantasma, si apre la via per mettere in gioco un reale che non si riconduce alla realtà, un reale che non si riconcilia con la necessità d’ordine del simbolico, un reale che Lacan nel suo ultimo insegnamento definisce senza legge. Cosa può fare il soggetto, quali sono le possibilità del corpo, che cosa avviene nel corpo, quali sono le condizioni perché ci sia un evento di corpo? In altri termini, uscendo dalla prospettiva legislativa, di ordine, di determinazione simbolica, si apre lo spazio per interrogare un corpo che non è inerte, un corpo perso in un dinamismo, e questo dinamismo del corpo non ridotto al suo involucro immaginario, è quel che chiamiamo pulsione. Corpo e pulsione Tenere conto della pulsione, nella nostra clinica significa considerare che il corpo non è solo il palinsesto della struttura simbolica, ma è qualcosa che ha delle sue spinte proprie, che ha un suo movimento, che turba l’ordine delle cose, che attraversa la realtà non semplicemente come un organismo che ci si deve adattare. È la differenza tra istinto e pulsione. In fondo riconosciamo a partire da qui un carattere della clinica lacaniana che la differenzia dalla psicoanalisi freudiana e da quella che si è mantenuta nel solco della psicologia dell’io e delle varie forme di ortodossia che si sono prodotte. È il tratto dell’attività, è l’accento che Lacan metterà sull’atto a partire dagli anni Sessanta. La clinica degli standard definiti negli anni Cinquanta è una clinica passiva, fatta di un’ascolto dove l’analista si sottrae, si estrae, si smaterializza. Di fronte alle istanze del paziente la sola risposta è: “Mi porti altro materiale”. Se il paziente s’impunta è perché resiste, e allora bisogna interpretare la resistenza e la sola mossa è quella di interpretare, di dare senso, sempre più senso. Una clinica che mette al centro l’atto psicoanalitico parte dal corpo e dalla forza che lo traversa. La presenza dell’analista è una presenza che si fa concreta, la sua enunciazione ha una forza e un carattere gestuale, vocale ben precisi, e non è indifferente. È il motivo per cui noi non passiamo un paziente, anche in situazione critica, alle cura di un collega, se dobbiamo assentarci. La traslazione è peculiare, è peculiare anche al corpo. Un medico può passare temporaneamente un paziente a un collega se si deve assentare, noi non possiamo fare lo stesso. Ebbene questa tematica dell’atto, questo carattere della clinica lacaniana che fa perno sull’atto è possibile perché Lacan, al bivio, prende la via del desiderio e non quella del Nome del Padre, e la costruzione di questa via, la sua premessa, i primi passi, li vediamo definiti dalle primissime lezioni di questo seminario, che in un certo senso conclude la fase classica della clinica strutturale, e si pone all’incrocio, aprendo la via a quel che sarà poi il seminario sull’Etica e alla fase successiva dell’insegnamento di Lacan. *Quando a Tel Aviv ho fatto questo riferimento alla mela del paradiso terrestre, che per noi in Europa è quanto di più assodato vi sia nella Bibbia, ho sollevato lo stupore dei colleghi israeliani, che hanno evidentemente accesso al testo biblico nella lingua originale. “Non c’è nessuna mela nel paradiso terrestre”, mi hanno detto. In effetti, confrontando poi anche la versione di S. Gerolamo, si parla soltanto, in modo generico, di un frutto proibito. Come mai per noi è moneta comune che il frutto della tentazione – a partire dalla pittura rinascimentale fino al logo della Apple – sia una mela? Una successiva ricerca poi fatta da Liliana Singer ha stabilito che probabilmente questo è dovuto all’omofonia di “malum” nel senso di male, che però significa anche melo.
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