Conversazione tra Violaine Clement e Marco Focchi. La conversazione ha avuto luogo in francese via Skype il 1 maggio 2021. L'originale è pubblicato sul blog dell'ASREEP della New Lacanian School Violaine Clement : Grazie per aver accettato questa intervista, dopo la traduzione che ha accordato del testo pubblicato in Lacan Quotidien n° 928. È un testo che ho trovato formidabile senza averlo capito prima di averlo tradotto. Lei è il primo a dire, per me, che la sessualità non è più un sintomo oggi, che non si va dallo psicoanalista per questo. Marco Focchi: Non so se lo è mai stato. Sì, per Freud, la sessualità era la causa dei sintomi. Nei suoi ultimi scritti Freud vede la pulsione come la causa ultima di tutto ciò che riguarda le attività umane. Per Freud il sintomo era il conflitto tra questa spinta, questa pulsione, e le esigenze dell’Io. In questo campo di battaglia era necessario un compromesso, ed era il sintomo. Credo che anche adesso il sintomo sia il segno della sessualità. Miller lo sviluppa in modo da allontanarlo dall'idea di conflitto, e alla fine il sinthome, ridotto all'osso, è il segno del godimento. È ancora legato alla sessualità, ma in modo diverso. La sessualità nell'epoca vittoriana, ai tempi di Freud, era qualcosa che le donne non potevano esprimere. Oggi le donne possono fingere l'orgasmo, nell'epoca vittoriana dovevano fingere di non averlo. V.C. : Freud era anche molto disturbato dalla sua stessa sessualità, senza mezzi contraccettivi, non poteva impedirsi di far fare figli a sua moglie... questo era un problema. Oggi non è più un problema.
M.F.: Sì, in un certo senso questo scarica dalla responsabilità. La sessualità è separata dalla responsabilità della filiazione, della famiglia, ecc. Questo costituisce un’ampia parte della rivoluzione sessuale degli anni '60 e '70. Queso ha aperto l’orizzonte e ci sono oggi libri straordinari di donne che hanno avuto l'esperienza della prostituzione, come per esempio Emma Becker, Virginie Despentes, Nelly Arcan. Sono donne che hanno traversato esperienze estreme nella sessualità, e le hanno descritte nei loro libri. Ho visto alcune interviste in video di Emma Becker dove, senza alcun imbarazzo, diceva che quando lavorava in un bordello a Berlino, era un piacere per lei, e con i clienti a volte raggiungeva l’orgasmo. V.C. : Ha detto che era la maison. M.F. : Sì, è così. La maison è il titolo del suo libro. V.C.: L’Heim, che Lacan ha ripreso come la dit-mansion. Sarebbe la casa in questa pandemia a essere interessante. Emma Becker ha detto che stava proprio là, ad aspettare, con le altre ragazze. M.F.: Prendiamo questo tema della casa, su cui i filosofi hanno riflettuto, per esempio Heidegger, dicendo che noi abitiamo il linguaggio. Lacan lo ha ripreso. Credo che il linguaggio sia la casa dell'uomo da cui sessualità è esiliata, è esiliata dal linguaggio. L'esilio del rapporto sessuale deriva da questo, dal fatto che noi abitiamo il linguaggio. L'animale si identifica con il suo corpo, mentre l'uomo deve, proprio perché è un essere di linguaggio, acquisirlo. Deve appropriarsene. In Lacan, ci sono due linee in questo senso. La prima è la relazione speculare: a partire dall'immagine dell’altro ci si fa un'immagine del proprio corpo. La seconda è il simbolico, il segno sul corpo. Lacan parla in diversi punti del tatuaggio. Ricordo nel Seminario XI dove ne parla nel senso di segnare sula pelle come una zona erogena. Vediamo molto bene questa marcia di appropriamento del corpo nei disegni dei bambini: il bambino disegna inizialmente il cefalopode, la grande testa da cui escono delle linee che sono le braccia e le gambe. Perché i bambini iniziano con questa grande testa, se non perché i sensi primari, gli occhi, le orecchie, la bocca, si trovano nella testa? È il punto centrale da cui si irradia la conoscenza del mondo per il bambino. V.C. : È divertente che mi sia stato offerto, quando ho lasciato la scuola, un buono per un tatuaggio. Come analista in formazione ho sentito spesso colleghi fare il collegamento tra il tatuaggio e la psicosi. È un po' sbrigativo, credo, ma mi fa pensare al rimprovero di Miller a noi, agli psicoanalisti della sua Scuola, di essere indietro rispetto alla soggettività dell'epoca. Ecco perché ho trovato interessante il suo testo: la gente viene a parlarle di problemi, ma raramente pone domande sul proprio sesso. M.F. : Infatti, non è la prima cosa. C’è stato per esempio un paziente che veniva a parlarmi dei suoi problemi da molto tempo, era uno dei miei primi pazienti, forse più di quarant’anni anni fa. A un certo punto cominciò a riferirsi alla sua omosessualità. All'epoca non avevamo dell'omosessualità la stessa idea che abbiamo ora, non c'era ancora stato il Gaypride a Roma... Così rimasi sorpreso, domandandomi perché non me ne avesse parlato prima. Oggi si direbbe, beh, non importa... Uno può essere eterosessuale o omosessuale, non ci si aspetta che lo dichiari dall'inizio. Ce ne siamo fatti una ragione. C'è stata progressivamente una svolta a partire dai moti di Stonewall di cui ho parlato nell'articolo, in America nel '69, con la pressione esercitata dai movimenti omosessuali per rimuovere il marchio diagnostico dal DSM. V.C. : Un marchio d’infamia, che oggi è sostituito dal luccichio dell'orgoglio, agalmatico. M.F. : Sì, ci sono due fasi, credo. Prima c'è l'accettazione dell'omosessualità come modalità propria di godimento, e poi, per altro verso, c’è l'idea di rivendicarla, come una bandiera identitaria È qui, nell’identitarismo, che c'è un limite, è questo il problema: siamo in un'epoca in cui si vogliono incontrare persone simili a sé. Ci si chiude nell'identitarismo, che è un modo di evitare la differenza e di difendersi dalla relazione sessuale. È un po' un segno dei tempi, e lo vediamo amplificato nelle bolle di risonanza su internet. Ne riscontriamo l’incidenza anche nella politica. Cambridge Analytica ha influenzato la politica americana. Penso che abbiamo bisogno di un fare ancora passo per uscire da questi recinti, perché qualcuno LGBT, o qualcuno gay possa incontrare qualcuno di diverso. Ci sono femministe radicali, le TERF (Trans-exclusionary radical feminism), che rifiutano le persone transgender accusandole di assumere solo gli aspetti esterni della femminilità, che loro considerano come indotti, forzati dal mondo esterno. In un certo senso, tuttavia, la femminilità è sempre una mascherata, ma anche la mascolinità. È la mascherata del soldato che, al passo di parata, deve mostrare il suo potere, e questo lo espone sempre un po’ al ridicolo. La mascherata femminile è piuttosto nell'idea di seduzione, di entrare nel fantasma dell'uomo. È comunque un modo di indossare una maschera. V.C. : Lei ne parla dal lato del gioco, del piacere. Ma, con questa affermazione, siamo in una forma di godimento... Difficile farlo passare per la lingua con l'altro. M.F. : Sì, è vero, oggi la seduzione sta diventando un'attività pericolosa (ride)! Quando nelle università americane devi firmare un documento che stipula l'accettazione dell'atto sessuale, risulta un po' diserotizzante. Nella seduzione, c'è l'idea della sorpresa, c’è un po' il furto, qualcosa un po' laterale di illegale. Se mettiamo tutto questo sotto il manto della legalità, diventa solo sesso matrimoniale. V.C. : Senza considerare che non è certo che anche per “lui” funzioni. M.F. : La posizione maschile sta diventando difficile oggi. Lo direi soprattutto per questi ultimi anni, perché non è da tanto tempo, almeno in Italia, che abbiamo cominciato ad uscire dalla logica patriarcale. In Italia, il diritto di voto è stato concesso alle donne nel 1946. V.C. : In Svizzera nel 1971, siamo ancora molto lenti! M.F.: Ancora dopo (ride)! Sì, è solo da ieri che abbiamo iniziato a uscire dalla logica patriarcale. Il gioco prima era ben definito: l'uomo aveva la sua posizione, e la donna era l'oggetto inseguito. Ci sono i cacciatori e i cacciati. Oggi, se si pensa al movimento #metoo, vediamo che le donne non accettano più questa logica, e gli uomini non sanno più cosa fare. Vedo giovani pazienti spesso in imbarazzo di fronte alle loro ragazze, che sono molto evolute, molto padrone di sé, difficili da avvicinare… o che vogliono essere loro ad avvicinarsi. Nella relazione sessuale, nell'amore, il gioco tuttavia non è essere padroni di sé. Pensiamo per esempio a quel che si racconta ne L’Orlando furioso. Angelica è l'oggetto del desiderio di tutti i cavalieri, che sono nobili, forti invincibili, e che combattono tra di loro per conquistare questa fanciulla che tutti vogliono proteggere, armati come sono della loro ricchezza e del loro potere. E di chi si innamora Angelica? Di un povero giovane fante, ferito, che non può certo proteggerla. È lui piuttosto che ha bisogno della protezione di lei, del suo accudimento. La maestria del poeta mostra poi che più si rimargina la ferita di Medoro, più si apre la ferita d'amore di Angelica. L'amore si presenta attraverso la ferita. Oggi invece, ognuno è armato nella propria identità. Questo non favorisce l’incontro. V.C. : Quello che mi preoccupa oggi è che, per trasgredire, i giovani non hanno molto spazio, se non dichiararsi non-trans... M.F.: Sì, la trasgressione. Lacan ne parla nell'Etica, dice che quando il desiderio va in panne, non c'è niente di meglio della trasgressione per farlo ripartire, la trasgressione è il caterpillar che rianima il desiderio. Nell’Etica Lacan ha l'idea dell'Altro, l'insieme dei significanti, con al centro la Cosa, e non c'è relazione tra i significanti e la Cosa. Quindi bisogna forzare il passaggio. Con il suo ultimo insegnamento però questo cambia. Nel Seminario XX, il godimento è del bla, bla, bla, è articolato con il linguaggio. Si ha allora un altro modo di far sorgere il godimento. La trasgressione oggi, visto che ci manca la seduzione, ricade nella violenza. Lo vediamo a partire dal nuovo ruolo delle donne, che oggi hanno un lavoro, che possono parlare perché studiano, che hanno mezzi di sussistenza e possono divorziare se le cose non vanno bene. Ai tempi di mia madre non era così. C'era una maggioranza di donne che restava a casa anche se il matrimonio non funzionava, perché non avevano alternative. Vedo invece oggi che gli uomini, quando non hanno più modo di trattare i problemi attraverso il linguaggio, passano all’atto. Spesso la violenza nasce da questo, dall'impossibilità di trattare le situazioni difficili con le parole, e l’impotenza della parola porta alla forzatura attraverso il passaggio all’atto. V.C. : Lei è d'accordo che è difficile dire pubblicamente che una delle cause dell'aumento della violenza maschile sulle donne è l'autonomia delle donne. Ricordo che mia madre diceva: mi chiedo se ho fatto bene a lottare per i diritti delle donne quando vedo tutte le cose che ora le donne devono fare... Tutti questi diritti sono diventati infatti obblighi. Mia madre si domandava: “Abbiamo trascurato qualcosa quando abbiamo chiesto l’uguaglianza?" Mi ricorda la storia di Eos, che, invaghita di Titone, aveva chiesto per lui l'eternità, ma nella sua ingenuità d’innamorata aveva dimenticato di chiedere per lui l’eterna gioventù... M.F. : Ricordo l’articolo di una giornalista americana che aveva vissuto per un po' a Parigi, e che sosteneva che le battaglie del femminismo in America avevano ottenuto molto per le donne, ma che ora le donne, oltre a occuparsi dei figli e della casa, dovevano andare a lavorare, e fare mille altre cose... A Parigi invece, secondo lei, le donne erano più identificate con i ruoli femminili e questo consentiva loro di far più conto sull’appoggio maschile. Vedeva insomma il vantaggio dell’indipendenza, ma anche quello di una posizione più tradizionale quando non coincide più con la schiavitù della donna. C'è oggi, in Occidente, una maggiore libertà delle donne. In relazione a #metoo, c'è anche da considerare la risposta di alcune donne, tra cui Catherine Deneuve, che difendono il diritto di essere molestate. Può sembrare paradossale, ma cosa significa per una donna essere molestata? È difficile a volte segnare in modo netto la differenza tra corteggiamento e molestia. Ci sono, certo, a volte modi di corteggiare un po' volgari, pesanti, dipende… V.C. : È come la canzone di Boris Vian cantata da Magali Noël " Fais-moi mal, Johnny! "(ride) Per quanto riguarda le donne svizzere, abbiamo un modello di femminilità che si chiama Marthe Keller, che racconta quanto sia stata fortunata a lavorare sempre, a fare quello che voleva. Ma siamo curiosamente indietro rispetto alle donne francesi, e questo fa sì che possiamo interrogare le nuove femministe in modo diverso. Nel mio caso, con (o contro) ciascuna delle mie tre figlie, che vedono il femminismo ognuna in modo diverso... La femminilità non si trasmette, si coglie e si inventa. M.F. : Sì, è così! In Italia, per esempio, c’è molto l'idea di femminilizzare le parole. Ricordo una volta Laura Boldrini che, durante un'intervista, al giornalista che le si rivolgeva con il titolo di “ministro” chiese, con piglio energico, di essere chiamata ministra. La parola esisteva solo nella forma maschile, ma da allora in poi si è imposta anche al femminile. È divertente, perché ci sono parole femminili , come la guardia, o la sentinella, che sono abitualmente ruoli maschili, ma dove a nessuno verrebbe in mente di chiedere di essere chiamato "il guardio” o “il sentinello”. A parti rovesciate c’è il soprano, ma nessuna cantante lirica vorrebbe essere chiamata “la soprana” (ride). V.C. : Per me, che insegnavo latino e greco, i nomi dei lavori femminili erano senza problemi di un sesso e dell'altro. Ho l'impressione che abbiamo perso molta di questa libertà con la creazione di un'Accademia che ha fissato le regole della lingua. Non so per l'Italia. M.F.: Noi abbiamo l'Accademia della Crusca... Sì, il linguaggio è la culla della creatività. Ciò che disturba un po' è la forzatura ideologica, un tentativo che sento come la volontà di farsi padrone della lingua e, attraverso questo, di far esistere il rapporto sessuale nella lingua, come fosse un rapporto giuridico. Se devono esserci ministri e ministre, allora è come cancellassimo ciò che fa la forza del linguaggio, il fatto di attraversare le differenze. I totalitarismi hanno sempre cercato di dominare il linguaggio. Lo vediamo mirabilmente spiegato in Orwell, 1984. Il tiranno ha sempre cercato di dominare il linguaggio, o di riscrivere la storia, come quando Stalin cambiava le fotografie per ragioni politiche, cancellando quelli che aveva fucilato... Quando l'intervento sul linguaggio è forzato e ideologico, vedo profilarsi l'ombra del totalitarismo. V.C. : Ho fiducia, ingenuamente, o forse ho un desiderio forzato, anche forzato, di mantenere la fiducia nella lingua alla quale si tratta di dare un piccolo svolta... C’è un brusio di lingue risuonanti e consonanti nella nostra APA, che è anche quello che ha causato il nostro blog... Ho l'impressione che non sia così facile forzare la lingua, con tutte queste traduzioni. Barbara Cassin mostrava ciò che si perde nella traduzione. È un po' come la posizione che assume la persona trans, per ricordarci che manca sempre qualcosa... Si fa l'oggetto che manca alla lingua. Reinventa il neutro che è scomparso. M.F.: Lo vedo nei prestiti dalle lingue straniere. Per esempio, i nostri colleghi spagnoli traducono tutto. Il piccolo Hans diventa Juanito (ride), il che è abbastanza divertente quando lo senti per la prima volta. L'italiano invece è molto più permeabile alle altre lingue, all'inglese soprattutto. Magari abbiamo un termine molto chiaro in italiano ma, non so perché, introduciamo l’equivalente inglese, forse per non starci a pensare, perché l'invenzione, adesso, è in inglese, la lingua veicolare nel mondo. Quindi introduciamo termini inglesi perché sono a portata di mano. La mescolanza è tuttavia sempre produttiva. Dipende ovviamente dalla misura. C'è il rischio di soffocare sotto l'inventiva della lingua in cui siamo. In Italia, ci sono diversi dialetti, che sono formidabili fonti d'invenzione. I dialetti sono incredibilmente creativi. È la televisione che ha standardizzato l'italiano in una certa forma. Io vivo a Milano, che non è una città molto dialettale, e la famiglia di mia madre veniva da Bergamo, una città senz’altro più dialettale. Avevo quindi una zia da parte di mia madre che parlava il dialetto, e che aveva una grande fantasia nel raccontare favole. Nella mia famiglia era stato deciso che io dovevo parlare italiano, dato che dovevo studiare, quindi il dialetto per me era proibito. Ma amavo straordinariamente il modo di raccontare di questa zia che non poteva parlare dialetto con me, e il cui italiano era un po' traballante e il suo racconto passava in una sorta di lingua inventata. Credo che mi abbia lei reso consapevole dell'opacità del linguaggio, e al tempo stesso della sua potenza creativa. V.C. : Era inoltre una lingua proibita... Credo che sua zia ne abbia approfittato per infilare nella sua lingua delle espressioni proibite. Del dialetto che i miei genitori parlavano tra di loro, noi, i bambini, conservavamo l'essenziale, legato ai fatti sessuali! Sarebbe un peccato se nella nostra AMP dimenticassimo il rapporto con la lingua singolare di ogni regione... Con la scrittura, è abbastanza facile trovare qualcosa da tradurre. La sua storia mi ricorda le Précieuses, chiamate ridicules, che non potevano imparare il latino, e che hanno inventato il francese, non senza seduzione. Con la loro concezione dell’amore hanno inventato una lingua. La psicoanalisi ha la responsabilità di mantenere bolle di sopravvivenza per le lingue... M.F.: Penso sia importante ricordare la responsabilità della psicoanalisi nel mondo in cui viviamo, che è un po' un mondo dal pensiero unico. È il mondo della scienza, e se la scienza è benvenuta con tutte le sue invenzioni, l'elettricità per esempio (ride)... la scienza non è tutta la vita. Vediamo che ciò che oggi viene riconosciuto è solo ciò che passa attraverso il percorso evidence based, cioè fondato sulla prova. Viene così riconosciuto ciò che cancella la soggettività. La medicina, per esempio, prima di Claude Bernard, positivista e fisiologo, non era una scienza. È stato lui che ha fatto il grande sforzo di rendere scientifica la medicina. Dal momento tuttavia in cui la medicina viene inglobata nel discorso della scienza, comincia ad escludere la soggettività. Il medico chiede al paziente come si sente, ma è lui a dirgli cosa oggettivamente ha. È la tendenza all’oggettivazione. Ma credo che la grande responsabilità, e al tempo stesso la forza politica della psicoanalisi, sia quella di preservare lo spazio della soggettività, che nel mondo in cui viviamo è sempre più cancellato. Per esempio nella scuola dove ho fatto consulenza per i bambini con disagio, la direttrice mi aveva chiesto di redigere un protocollo operativo che tutti potessero applicare. È l’universalismo della scienza. Non si tratta di dire no, per non bloccare tutto, ma di sapere che, con il nome di protocollo, viene chiesto un algoritmo, una sequenza che funziona meccanicamente e che cancella il transfert. Quello che si vuole evitare è che tu entri in gioco nella relazione di transfert, cioè in una relazione singolare. Da un lato questo va nel senso della democrazia: c’è qualcosa che vale per tutti. Ma sappiamo che la scienza non va necessariamente in direzione della democrazia. Alla direttrice allora ho risposto sì, d’accordo, vedremo. Era una donna molto intelligente, e ha capito molto presto che le cose in una scuola, dove sono in gioco le relazioni, potevano funzionare solo attraverso il transfert, e allora ho potuto reintrodurlo. Ma il movimento attuale del mondo va verso la cancellazione del transfert, come dicevano prima per a seduzione. Tutto deve funzionare secondo la scansione dell'algoritmo. V.C. : È il discorso del padrone, non è nuovo, il padrone vuole che le cose funzionino. Lei invece arriva e dice di sì, facendo in modo però che non funzionino troppo bene. Si vuole un algoritmo che faccia il bene di tutti. M.F.: Sono buone intenzioni, e questo viene dall'utilitarismo. Bisogna però sfumare un po' quel che riguarda il discorso del padrone. Prima del capitalismo il padrone accettava, implicava la realtà del transfert: la vedevamo nella fedeltà, quella del contadino verso il padrone feudale, che era inscritta a priori nella relazione. La disuguaglianza, la segregazione, anche il dominio, prevedevano il transfert. È stato il capitalismo a cambiare il discorso del padrone, a renderlo anonimo. Questo avviene nel momento in cui il capitalismo modifica il rapporto di scambio. Prima lo scambio era: ho bisogno di una merce e uso il denaro per comprarla da te vendendotene un’altra. Nel capitalismo è il contrario: ho dei soldi, li investo in un'impresa per produrre merci e ricavarne poi ancora più soldi. V.C. : E c'è bisogno di gente che compri questi beni... È vero che non possiamo tornare ai cacciatori-raccoglitori. Nel nostro tempo il discorso capitalista, con quello del padrone, ha fatto il XX secolo. Ma non siamo forse in procinto di andare verso un altro discorso, verso il il desiderio di qualcosa di meno, che dovrebbe essere letto oggi in questa terribile paura del domani, questo pessimismo in cui vivono tanti giovani? Come lo legge oggi in Italia con il Covid? In Svizzera ci stiamo preparando a un'offerta da proporre ai giovani perché possano incontrare un analista. M.F.: Sì, in effetti, l'esperienza di COVID ha portato alla luce cose che sono sempre esistite e che si sono manifestate con esso in modo impressionante. Come sa la Lombardia è stata la regione più devastata d'Europa all'inizio di Covid. Era la peste. V.C. : Sì, vi abbiamo seguito con orrore! M.F. : È stato un momento terribile, ed è stato l'effetto della politica sanitaria di almeno venti anni: abbiamo scoperto allora la necessità di una medicina territoriale che era stata distrutta. Perché a Milano c’è la medicina d'eccellenza: da tutte le regioni d'Italia si veniva a Milano per curarsi, ma al tempo stesso, con la crescita delle eccellenze, è sparita una sanità territoriale. Ecco perché Milano e tutta la Lombardia sono state devastate dal Covid. Gli effetti psicologici tra i pazienti che seguivo, erano molto diversi: c'erano i pazienti angosciati, che sentivano crescere la loro ansia, perché non avevano più la possibilità di scaricarla, di incanalarla nella routine sociale, dove ci si alleggerisce un po' dalla propria angoscia magari facendola pesare su qualcun altro, su qualcuno che ci sta accanto, o facendola defluire in vari modi nell’attività. E, con mia sorpresa, c'erano pazienti che invece erano felici in questa reclusione. Erano pazienti di solito piuttosto in difficoltà con il desiderio dell'altro. Non erano hikokomori, ma persone molto caute con il desiderio dell'altro, e che nella reclusione forzata si sentivano giustificate nella ricerca d’isolamento. Avevano trovato una buona ragione per ritrarsi. Come tutti gli analisti ho fatto sedute non in presenza, attraverso diversi canali su internet, Skype, Whatsapp, o per telefono, e ora vedo persone che non vogliono tornare alle relazioni faccia a faccia. Per alcuni, che vivono in altre città si capisce, è perché è più comodo il contatto via Skype. Ma altri, che vivono a Milano, trovano semplicemente che la distanza per loro è più favorevole. V.C.: (ridendo) "Decido io la distanza che metterò da te! "Sarà una questione per gli analisti di tornare, dopo le sedute via zoom e i pagamenti via internet, a qualcosa di questo scambio nel reale. Senza il rischio del virus, c'è il rischio che ci sia psicoanalisi? M.F.: Sì, venendo qui stamattina stavo ascoltando un programma radiofonico che parlava del debito immunitario. Avendo vissuto in questo periodo indossando le mascherine, non siamo stati esposti alle altre malattie solite, influenze, raffreddori, per cui il nostro sistema immunitario ha perso allenamento e dovrà riadattarsi, lasciandoci forse in un primo momento esposti ai virus da cui prima eravamo protetti. Questo debito immunitario si può prendere anche come metafora. Psicologicamente è quel che si vede con le persone che vogliono continuare a distanza. È come se avessero accumulato un debito immunitario in relazione al desiderio dell’altro, e volessero mantenere una distanza di sicurezza. V.C. : È un mestiere da reinventare, cosa che già facciamo uno per uno, ma abbiamo ora un'occasione unica per rimettere in circolazione il desiderio in modo diverso. M.F.: Assolutamente. Questo periodo ci ha fatto scoprire la comunicazione a distanza, per esempio la nostra conversazione di oggi, che prima non avremmo immaginato in questa modalità. Vedo che il venerdì, il giorno in cui all'Istituto a Milano apriamo al pubblico e non solo agli studenti, prima avevamo trenta, cinquanta presenze, che non era male. Ora abbiamo, via Zoom, duecento persone, un pubblico che non potremmo neppure contenere nella nostra stanza. Quando ricominceremo a incontrarci di persona dovremo continuare a mantenere collateralmente un canale di partecipazione via internet, altrimenti dovremmo prendere una sala che non possiamo permetterci. Ho visto, per esempio, con i nostri colleghi sudamericani dell'Argentina, del Messico, ecc., per i quali invitare qualcuno dall'Europa rappresentava un costo importante, che con Zoom tutto è molto più facile. Ho fatto una conferenza in Messico – non sono mai stato in Messico (ride) – e ho visto che erano presenti cinquemilatrecento persone! (ride). È incredibile, davvero! C’è un’amplificazione enorme. V.C. : Sì, ma non sappiamo con chi stiamo parlando! Questo è anche quello che ci ha detto Ruzanna Hakobian, della NLS, che dopo l'insegnamento pubblico in inglese, ha ricevuto richieste da ascoltatori di tutto il mondo che chiedevano di fare un'analisi via Zoom. Credo che alcuni diranno di sì, e dovremo interrogarci. M.F.: Sì, avevo visto, per esempio, che nel mondo anglosassone, gia anni fa, alcuni analisti facevano analisi solo via Internet. Questo è possibile per via della grande diffusione della lingua inglese. Io avevo iniziato, prima del Covid, a lavorare via internet con alcuni italiani che vivono all'estero e che volevano fare un'analisi nella loro lingua, e questo ovviamente era possibile solo via Internet. Ho visto che a volte, quando si comincia un’analisi via internet, e poi ci si incontra in presenza, in occasione per esempio di un viaggio, la persona rimane un po' sorpresa, e anche un po' imbarazzata. Non è la stessa cosa trovarsi nello spazio reale. V.C. : È la questione dell'amore, come per gli hikikomori. È possibile ma non è divertente! M.F. : Me lo spiego pensando alla differenza che sussiste tra vedere il Grand Canyon in un western, sullo schermo, dove le immagini sono grandiose bellissime, ma quando vai negli Stati Uniti, e sei lì, sul posto, negli orizzonti splendidi e immensi della Monument Valley, hai una percezione dello spazio che nessuna immagine potrà mai trasmetterti. Questo è lo stupore di tutti i viaggiatori europei che ci vanno. C'è un'immensità di spazio che si può toccare solo quando si è lì. È la presenza che ti dà una percezione fisica diversa. V.C. : Fermiamoci se vuole, a questo Grand Canyon, che illustra bene le sue parole.... Grazie per aver accettato di fare questa intervista in francese. Non si sa mai cosa succede in un'intervista! È stato bello e intenso, grazie per la sua generosità! M.F. : È stato un piacere!
2 Comments
Anna Martinelli
9/5/2021 03:27:23 am
Vorrei brevemente sottolineare un aspetto emerso all’inizio dell’intervista quando Marco Focchi rileva una differenza fra la donna vittoriana e quella contemporanea. Quest’ultima è libera di fingere un orgasmo, mentre la donna dell’ ‘800 deve fingere di non averlo. Non riesco a vedere una posizione sostanzialmente diversa nelle due situazioni. Entrambe mentono sul proprio godimento perché il protagonista della scena rimane, con modalità diverse, il godimento maschile. Il corpo di entrambe è a disposizione del desiderio maschile e deve rispondere in modi consoni alle mentalità vigenti. La seduzione femminile ha assunto nel corso del tempo, forme espressive diverse, spesso opposte fra loro, ma l’obiettivo è immutato, si tratta di soddisfare sempre l’aspettativa maschile. Tacendo o recitando un repertorio di suoni e di gesti.
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Anna Martinelli
27/5/2021 12:44:26 am
Vorrei cancellare il mio commento qui sopra. Grazie
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