Intervento alla Conversazione Zadig tenutasi al Convegno SLP di Palermo il 18-19 maggio 2019 Marco Focchi La lettera di invito per aprire questa conversazione chiede fare un bilancio di quella che è stata la stagione dei Forum in Italia e a considerare le linee di avanzamento che se ne possono trarre per la movida Zadig. Per il Forum di Milano tenutosi a febbraio direi che il punto significativo è stato rendere possibile un dialogo tra noi ed esponenti di altre discipline che hanno riconosciuto il valore della psicoanalisi e che la utilizzano nelle loro pratiche. È stata un’esperienza significativa perché il nostro incontro con il sociale è più spesso difficile, e conosciamo la difficoltà di affermare i nostri concetti in un mondo orientato dal pensiero unico delle pratiche fondate sulle evidenze. Mi sembra che il momento del Forum segni dunque una via in quella che può essere una direzione di intervento della psicoanalisi, perché indica una linea per battaglia di pensiero che ha significative ricadute politiche, e che va in direzione della desegregazione. A più riprese, alla fine degli anni Sessanta, Lacan ha sottolineato come la cicatrice dell’evaporazione del Nome-del-Padre fosse la segregazione, una segregazione ramificata e rinforzata che moltiplica le barriere.
L’universalismo, anziché facilitare la comunicazione e omogenizzare i rapporti fra gli uomini li separa e li divide in quelle che abbiamo imparato a conoscere nella nostra epoca come le comunità identitarie o le camere di risonanza dei social, facilmente sfruttate, come abbiamo visto, per distorcere i meccanismi della democrazia. Il caso di Cambridge Analytica è recente e chiaro nella memoria di tutti noi. Noi stessi subiamo un effetto di segregazione quando incontriamo i muri comunicativi imposti da una forma di razionalismo dogmatico che tende a divorare tutto e a non lasciare margini esterni al proprio dominio. La scienza, di per sé, è un fatto di straordinaria spinta democratica quando, come faceva Galileo, invita a guardare con i propri occhi nel cannocchiale piuttosto che affidarsi all’autorità di una maestro giurando sulle sue parole. Anche Cartesio, sosteneva che per affrontare un problema bisogna scomporlo nei suoi elementi più semplici, e che disposto in questo modo non occorreva un genio per risolverlo: un medio buon senso sarebbe stato più che sufficiente. Così facendo apriva le porte del sapere a chiunque voglia cimentarvisi. Guardare con i propri occhi è una possibilità aperta a tutti, e la democrazia è il regime politico in cui un cittadino informato può fare la scelta migliore. Il problema è: come viene informato il cittadino? Quale regime d’opinione viene presentato, sostenuto propagandato? L’informazione degradata a propaganda è la deformazione maggiore della democrazia, e attualmente l’opinione dominante è quella che solo le discipline evidence based sono degne di attenzione. Questo dominio del pensiero unico è il problema epistemologico e politico della nostra epoca, e noi abbiamo nella psicoanalisi le armi concettuali più affilate per far saltare i grimaldelli di un sovranismo del pensiero la cui sola ricaduta è l’apartheid mentale. Non a caso la solitudine è una delle problematiche cruciali dell’epoca. Vediamo poi i risultati di questo apartheid sul tema dell’autismo, con l’effetto di rigetto della psicoanalisi che produce. È un rigetto che ha colpito proprio in questi giorni i nostri colleghi di Ancona nel momento in cui, organizzando delle giornate di studio che avevano come tema l’autismo, si sono visti recapitare una lettera di intimazione da parte di un’associazione estremista, paladina di approcci all’autismo mimetici della scienza. È tempo ormai di uscire dalla posizione semplicemente difensiva, dove l’idea di difendere la psicoanalisi ci mette nell’angolo del vittimismo. Non siamo noi, non è la psicoanalisi a dover essere difesa, giacché la coerenza dei suoi concetti e la sua tenuta storica di per sé ci mostrano una posizione di solidità. È la democrazia a dover essere difesa, perché è messa a repentaglio dal pensiero unico specchiantesi nel fascismo che sta risollevando la testa. C’è un dibattito in questo periodo sul problema se dobbiamo chiamare fascismo o no la forma di prepotenza reazionaria e razzista che la politica italiana sta attualmente esprimendo. Direi: non facciamo della filologia! L’idea che solo la posizione di forza sia una soluzione è fascista nella sua essenza, e si riflette perfettamente nella scienza elevata al rango di ideologia, sostenuta dalla forza schiacciante della tecnologia. Si tratta quindi per noi di creare delle oasi di riflessione nel deserto del pensiero, e noi siamo, allo stato attuale, nella posizione migliore per farlo. Tutto il nostro programma politico non deve più farsi fuorviare dalle finte dispute epistemologiche, che partono con un vizio di forma insito nelle loro premesse, dove il pensiero unico si erge a giudice di qualsiasi altra forma di coerenza. Perché la scienza, ovvero una forma coerente di pensiero, orientata dal logos, non è solo quel che oggi viene chiamato scienza, restringendo il campo dell’episteme a una piccola isola, una roccaforte bene armata di dispositivi sperimentali nel vasto oceano di un mondo dove chi non risponde all’imperativo di mostrare i documenti in regola con le richieste di una burocrazia alleata dello scientismo viene confinato nell’irrilevanza. La psicoanalisi ha altri documenti, di diversa portata che non la regola, e siamo ben decisi a farli valere perché la democrazia, quella autentica, non corra davvero il rischio di estinguersi.
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Sul pensiero unico o mainstream
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