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Il buon uso dell'inconscio

Conferenze, seminari, interventi e testi del dott. Marco Focchi
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Comfort e panico

21/2/2018

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Marco Focchi

intervista di Giulia Guzzini

In base a che cosa si forma nella nostra mente il concetto di comfort?



Per capire come si forma sul piano psicologico la zona di comfort bisogna interrogare chi soffre  di attacchi di panico, perché abbiamo qui una lente d’ingrandimento che rende visibile quel che succede normalmente a tutti, anche se in modo meno clamoroso,. La persona che soffre di attacchi di panico, dopo i primi momenti cruciali, tende a evitare i luoghi che evocano in lei i fattori associati a quel che ha dato avvio alla crisi. Per esempio se la crisi si è scatenata in un luogo di mare preferirà senz’altro i rifugi di montagna, se si è verificata in un’ascensore cercherà gli spazi aperti e, viceversa, se è esplosa in una piazza la protezione sarà data da un luogo chiuso. Si rifugia così in spazi sempre più selezionati, dove si sente sicura. Finché si trova nella zona di confort sa che nulla può succedere, mentre fuori da questi limiti c’è il senso di un pericolo indefinito e incontrollabile.

Il comfort comincia dunque come rovescio dell’insicurezza, tracciando dei limiti dove ci si sente a proprio agio perché ci si sente protetti. Naturalmente la normalità della vita chiede poi che dalla zona di comfort si possa uscire, per rientrarvi ad esempio alla fine della giornata di lavoro.
Il senso di comfort datoci dal nostro appartamento, dalle persone che amiamo, ha la stessa matrice. Ci piace tornare a casa dopo una giornata in cui abbiamo dovuto confrontarci con una quantità di problemi, abbiamo dovuto lottare per affermare le nostre posizioni, affrontare dei rivali. Nella nostra abitazione, arredata con oggetti che ci piacciono e frequentata dalle persone con cui abbiamo legami affettivi, siamo al sicuro, ci sentiamo bene, ci rigeneriamo per affrontare la giornata successiva. C’è, nella nostra zona di comfort, il senso di una protezione uterina, la certezza di non essere messi in discussione, di non aver bisogno di inscenare una rappresentazione di noi stessi, di non doverci stringere nel colletto della cravatta o di non dover camminare su dei tacchi a spillo. Il senso di sicurezza infatti non è dato solo dalla percezione di protezione fisica, ma anche dal non sentirsi valutati, giudicati, soppesati, dal poter essere quel che siamo senza calcare la scena, anche se, per esempio, un attore potrà trovarsi al suo massimo agio proprio sul palcoscenico, perché sa che lì può dare il meglio di sé.
La psicoanalisi ha scoperto poi quelli che si sono chiamati oggetti transizionali, il cui esempio più citato è la coperta di Linus. Nell’infanzia la sicurezza dataci da questa oggetti deriva dal fatto che possono sopravvivere ai nostri attacchi pantoclastici. Ci sono momenti in cui è come se la rabbia che si scatena dentro potesse distruggere il mondo e con il mondo noi stessi. L’orsacchiotto di peluche che è ancora lì, con lo stesso sorriso cucito sulla bocca dopo essere stato sbattuto a terra e calpestato, è come un gancio che ci riconnette con il mondo, che ci fa sentire che non è stato spazzato via. Anche da adulti abbiamo oggetti che sono eredi degli oggetti transizionali. C’è chi colleziona dischi, chi ama i libri, chi fa raccolta di francobolli, chi vuol ritrovare il suo cuscino preferito sul divano. Il prolungamento degli oggetti transizionali che troviamo nell’età adulta sono un altro importante aspetto del comfort.


L’idea di comfort è influenzata da sensazioni percettive o piuttosto da condizionamenti sociali, culturali, economici?


Sicuramente le sensazioni fisiche hanno un ruolo importante. Non c’è un benessere psicologico che sia separato da quel che i nostri sensi percepiscono intorno a noi. Ci si rende conto tuttavia che le sensazioni fisiche sono molto soggettive. Se io sto bene quando ascolto Rossini, mia figlia impazzisce per lo hard rock. Io potrei passare un giorno intero su una spiaggia a trenta gradi, mia moglie si sente bene in una baita sotto la neve a meno dieci.
In realtà anche il nostro corpo ha una storia, e seleziona alcuni stimoli piuttosto che altri in base alle esperienze che sono state piacevoli soprattutto per ragioni affettive. Il nostro corpo stesso quindi non è semplicemente natura, recettore passivo di stimoli positivi o negativi. Il nostro corpo è fatto della propria storia. Se a partire da qui ci riferiamo poi a quelli che possono essere dei condizionamenti sociali o culturali stiamo aggiungendo qualcosa in più rispetto alla nozione di storicità del corpo, stiamo cioè inserendo l’idea che senza queste forme di costrizione – giacché un condizionamento implica una forma di sottomissione alla volontà del condizionatore – ci sarebbe una sorta di risposta spontanea, e non un riflesso condizionato come per il cane di Pavlov dopo essere stato sottoposto all’esperimento.
Parlerei quindi piuttosto di condizioni sociali, culturali, economiche, che sono quelle che plasmano in profondità il cammino del gusto. Una volta il gusto era più standardizzato, era considerato privilegio di un’élite, passava per dei canoni. Oggi il gusto passa per mille canali e non si esercita più nel senso dell’esclusione. C’è spazio per tutti. La modernità, facendo trionfare il molteplice, ha aperto svariate possibilità di godere delle cose che piacciono, e questo senz’altro fa parte del comfort. Esiste ancora la nozione di “cattivo gusto”, ma non va più sotto lo stigma di una censura sociale, e spesso quel che posso considerare cattivo gusto è semplicemente un gusto diverso dal mio, in un campo che ha però i suoi estimatori e i suoi cultori.
Possiamo quindi dire che senz’altro il comfort passa per le sensazioni del nostro corpo, ma queste sono filtrate, e presuppongono delle condizioni che ci rendono godibile quel che accogliamo come prolungamento del nostro corpo. Perché in fondo il punto è che il comfort dipende da quel che accettiamo o no come estensioni del nostro corpo, come propaggini, come aggiunte. C’è chi cerca una conversazione con gli amici, chi gode di una cena particolare, chi fuma una sigaretta, chi riesce a spegnere i pensieri guardando la televisione, chi ha bisogno di alimentarli andando a teatro. Non siamo mai soli con il nostro corpo. Il nostro corpo è un corpo con altri, è un corpo nel mondo, e ci studiamo di arredare questo mondo per renderlo il più confortevole possibile, a partire dal materiale che troviamo a nostra disposizione. 

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