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Il buon uso dell'inconscio

Conferenze, seminari, interventi e testi del dott. Marco Focchi
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Chirurgia estetica trasformista

17/2/2014

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Immagine
di Marco Focchi

Nella psicoanalisi conosciamo i molteplici valori strutturali che assume il taglio: come scansione, come incidenza significante, come castrazione, come fattore di trasformazione di una superficie topologica, e l’elenco è evidentemente aperto.
Per altro verso conosciamo il valore del taglio nella fenomenologia clinica: i cutters ci raccontano, in modo molto diretto, di come la ferita sul corpo e il dolore fisico leniscano, per un momento, solo per un momento, l’angoscia che li attanaglia. I tatuaggi, le scarificazioni, i buchi nella carne, quelli fatti per infilarvi gli orecchini o quelli fatti con il mozzicone di sigaretta, delimitano non tanto il corpo immaginario, contenitore inefficace che viene deturpato senza riguardo, ma il corpo pulsionale, tracimante  e incontenibile, fomite d’insondabili inquietudini.
Il taglio reale del cutter supplisce la mancanza di un taglio simbolico in grado di delimitare, di mettere in dovuta forma un corpo in cui l’angoscia trabocca senza argine.
L’attuale medicina dell’enhancement, cioè del potenziamento, del miglioramento, dell’accrescimento, e in particolare la chirurgia estetica, quando prende questa china, va in direzione esattamente opposta, puntando a cancellare il limite, a ignorare l’impossibile, a inseguire forme transumane di uomini progettati in modo ingegneristico.


Il linguaggio transumanista parla oggi da luoghi istituzionali e da cattedre che riescono a ottenere, se non credibilità, quanto meno un certo ascolto, come quella di Anders Sandberg, uno scienziato specialista in Human Enhancement and New Technology. Sandberg ha in programma la realizzazione – che sarà possibile a suo parere nel giro di una decina d’anni – dell’ablazione chimica dal cervello di ricordi legati a traumi o in qualche modo dolorosi. “Perché dovrebbe essere un problema? – ha sostenuto in un’intervista alla BBC – Perdiamo ogni giorno una gran quantità di ricordi. Perché non liberarsi di quelli spiacevoli? Non usiamo antidolorifici per ragioni analoghe quando si tratta del nostro corpo? Dobbiamo solo perfezionare la capacità tecnica di mirare ai ricordi spiacevoli per non rischiare di gettar via più cose di quanto non vorremmo”.
In questa prospettiva la corrente transumanista e la chirurgia estetica hanno di mira lo stesso obiettivo: separare il grano dal loglio, inventare un’esistenza senza il dolore di esistere, cercare un piacere di insipida tinta New Age senza punti di contrasto, migliorare una prestazione, atletica o intellettuale, senza che il soggetto debba implicarvisi con la fatica, l’impegno, la tenacia, l’invenzione. Se la chimica persegue il ricordo negativo per cancellarlo, come se l’uomo fosse una lavagna senza storia, il bisturi affonda nel corpo in cerca del kakon dell’essere per far nascere una sorta di Bene platonico, un Bene identico  solo a se stesso, che sia solo Bene e nient’altro.
Affilare un naso, snellire una coscia, modellare un gluteo, sono altrettanti modi di inseguire, in una ricaduta empirica, il punto nodale dell’odio di sé. L’estrema prospettiva oggettivante dell’ideologia contemporanea tratta il male di vivere come un cancro da estirpare, e cade nel cortociruito di frugare nel corpo con uno strumento disponibile, come il ferro chirurgico, per raggiungere un punto dell’essere indisponibile, un das Ding in cui il Bene e il Male, l’amore e l’odio sono inseparabilmente la stessa cosa.
Il lato delirante del progetto di quella che vorrei chiamare “chirurgia morale”, più che estetica, è straordinariamente ben disegnato dal film di David Cronenberg Dead ringers, che in italiano è andato nelle sale con il titolo Gli inseparabili. Eliot e Beverly, due chirurghi gemelli, vivono in simbiosi dividendo tutto, casa, lavoro, esperienze, donne con le quali sono perfettamente sostituibili uno all’altro senza che nessuna se ne accorga. Un giorno però Beverly, visitando Claire, una sua paziente ginecologica, ne scopre una caratteristica malformazione, che è però, agli occhi del protagonista, un’intima ineguagliabile bellezza. Claire ha l’utero triforcuto, che a Beverly appare come una sorta di straordinario agalma, e si innamora perdutamente di lei. Questo rompe l’equilibrio tra i due gemelli. Claire non può essere condivisa come le altre, Beverly ha bisogno di lei solo per sé. In una scena chiave del film, un incubo di Beverly mostra Claire che dorme tra i due fratelli e con i denti lacera il cordone ombelicale che li unisce. Beverly si sveglia di soprassalto, sconvolto, e inizia da lì una discesa che man mano si fa rovinosa caduta, fino a sfociare in un delirio su donne mutanti, per le quali occorrono strumenti chirurgici particolari di sua invenzione, gli stessi con cui, alla fine, dopo aver devastato la propria vita, lacererà il ventre del fratello, che consenziente lo accompagna in un vortice di reciproca distruzione.
Neppure l’amore può separare l’inseparabile, sceverarsi dall’odio, da quel che Freud chiamava l’ambivalenza, e in fondo la chirurgia estetica è il tentativo meccanico di fare quel che nemmeno l’amore può fare: separare, con un gesto di precisione, il narcisismo dall’odio di sé, dal lato insopportabile che solo in modo derivato si fa rappresentare dall’immagine del corpo. L’amore non opera chirugicamente, non toglie il nucleo d’odio di sé, ma lo rende accettabile attraverso lo sguardo dell’altro
Anche nella clinica dei cutters si possono trovare due lati opposti: quello che funziona come tentativo terapeutico, dove il taglio reale surroga un taglio simbolico che non si è inciso con la dovuta forza, e quello chirurgico-estetico, che insegue il male morale nella carne per separarlo con una lama, o una lametta, purificatrice. La psicoanalisi non opera evidentemente attraverso la via chirurgica – eliminazione del sintomo – ma attraverso l’esperienza di traslazione che ridisegna la via dell’amore.
 
 .
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