Conferenza tenuta a Valladolid il 14 marzo 2015 presso l'Escuela lacaniana de psicoanalisis Marco Focchi Il caso dell’Uomo dei lupi è un testo che continua a interrogarci e che costituisce uno degli esempi fondamentali della psicoanalisi da cui continuiamo ad attingere idee, concetti, direzioni, spunti per la conduzione della cura. Fu steso nel 1914, tre mesi dopo il termine dell’analisi di Sergei Pankeieff, durata dal febbraio 1910 al luglio 1914. Il testo ha quindi ormai più di cent’anni e tuttavia ancora lo studiamo, perché resta attuale per affrontare i problemi posti dalla nostra clinica oggi. Malgrado lo spazio che abbiamo dato ai nuovi sintomi, alle modalità della psicanalisi applicata, allo sviluppo di una pratica senza standard ma non senza principi, di nuovo torniamo a interrogare un caso scritto cent’anni fa per rispondere a quesiti che, in forma diversa, ci si ripresentano. Ci torniamo perché il caso dell’Uomo dei lupi naturalmente è un grande classico, e come ogni classico si presta alle molteplici letture e alle diverse interrogazioni che le epoche successive possono man mano formulare e stratificare su esso. Si tratta tuttavia di capire qual è lo specifico livello di interrogazione da cui procede ogni epoca. La stratificazione degli interrogativi Il livello originario, quello in cui Freud interroga il caso, riguarda la sua controversia con Jung, sostenitore di un ruolo determinante nel fantasma di rinascita e assertore delle funzioni decisive dell’eredità filogenetica a scapito degli elementi infantili nella vita del paziente. Sono concetti presenti anche nella teoria di Freud ma che, isolati dal resto, si ergono come obiezioni all’impostazione freudiana della psicoanalisi. La grande cura messa da Freud nel ricostruire l’oggettività e la realtà dalla scena primaria a cui si riferisce il sogno centrale del caso – che ne è diventata l’icona rappresentativa – viene proprio dalla necessità di rispondere a tali obiezioni. Freud è preoccupato di dimostrare l’effettiva realtà dell’episodio della scena primaria, e con questo intende reagire alla presa di posizione di Jung. Lacan interroga il caso dell’Uomo dei Lupi nel suo seminario zero, del 1952, per chiarire la funzione della traslazione, per interrogare il residuo irrisolto di traslazione che porta Sergei Pankeieff, dopo il termine dell’analisi con Freud, a consultare Ruth Mack Brunswick. Jacques-Alain Miller, molti anni dopo, si rimette allo studio del caso nel seminario di DEA del 1987-1988, cioè quasi trent’anni fa. Il problema di cui si occupa, e che lo porta a lavorarci, è di natura completamente diversa. La questione riguarda la clinica differenziale delle psicosi, e Miller procede esplorando il panorama delle psicosi dal punto di vista lacaniano, cercando di non appiattirlo immediatamente sotto il termine di preclusione. Parte anzi con il suo lavoro mettendo esplicitamente tra parentesi la preclusione. Dice infatti nella prima lezione “Per non ritrovarci subito sulla preclusione del Nome del Padre, e renderci conto di come questo termine abbia svuotato di tutto il resto i nostri studi sulla psicosi, dobbiamo opacizzare un po' le cose, renderle un po' più difficili, ricondurci a un contesto molto diverso dal nostro, per renderlo un po' più estraneo”. Il termine di preclusione ritorna tuttavia all’attenzione del seminario dopo che i partecipanti hanno discusso un articolo di Jacques Chazaud pubblicato nella Révue française de psychanalyse. Chazaud critica l’utilizzo che Lacan fa del termine preclusione e lo banalizza, sostenendo che Lacan gli dà un’estensione concettuale abusiva, la quale non rispecchia quel che in realtà intendeva dire Freud. Questo porta l’attenzione dei partecipanti al seminario verso lo studio dettagliato che Miller dedica nelle lezioni successive all’Uomo dei lupi, giacché è questo il testo a partire dal quale Lacan propone la sua interpretazione del termine Verwerfung, e la sua traduzione come forclusion, ovvero con il concetto originariamente giuridico di preclusone. Nelle lezioni immediatamente precedenti era inoltre emerso il problema della nozione di borderline, categoria rifiutata dal punto di vista della struttura, ma valorizzata da Miller come qualcosa che contiene l’idea di una psicosi senza esordio. C’era stata infatti un’esposizione di Leo Bleger sul problema del borderline a partire dalla quale i partecipanti avevano discusso, e sicuramente nulla meglio del caso dell’Uomo dei lupi si presta a studiare questi effetti clinici di frontiera, di diagnosi non esattamente definibile. È una linea di riflessione proseguirà poi con la conversazione di Arcachon del 1997 sui casi rari e inclassificabili, per sfociare nel 1998 ad Antibes, dove si produrrà il concetto di psicosi ordinaria. Questo è lo scorcio – in un quadro storico molto più ampio che ha impegnato l’intelligenza di molti analisti – in cui si pongono la questione e la linea di riflessione sull’Uomo dei lupi nelle principali scansioni storiche dell’orientamento lacaniano. Prendiamo ora un ulteriore livello di interrogazione, quello nostro attuale. Cosa chiediamo oggi al caso dell’Uomo dei lupi nel momento in cui lo interroghiamo a partire in particolare dalle lezioni del seminario di Miller che mettono in particolare in questione il concetto di preclusione nel testo freudiano? Credo che questo testo possa essere interrogato a partire da due concetti che reinquadrano e reinterpretano la nozione di preclusione. Il primo è quello di preclusione generalizzata, che Miller elabora nel corso Ce qui fai insigne del 1986-1987, l’anno cioè che precede il seminario di DEA La clinica differenziale della psicosi di cui ci stiamo occupando. Il secondo riguarda la differenza tra la nozione di mancanza e quella di buco, che Miller precisa nel suo corso del 2005-2006 Illuminations profanes. La preclusione generalizzata La preclusione generalizzata sgancia il concetto di preclusione dal Nome del Padre, e fa leva su quel che viene definito come il delirio generalizzato, il fatto che tutti delirano. La preclusione generalizzata deriva dall’impossibilità in ultima istanza per il simbolico di rendere conto del godimento. La nozione di preclusione generalizzata dà già un’idea della nozione di buco, un buco che c’è per tutti, e l’interessante è, per l’appunto, considerare la differenza tra buco e mancanza. Mancanza e buco Il buco e la mancanza sono concetti fondamentalmente diversi. La mancanza in primo luogo è relativa all’ordine, e la si può esemplificare con il gioco del quindici. Una tavoletta con sedici caselle e quindici tasselli mobili numerati da uno a quindici lascia una casella vuota. I tasselli sono mescolati alla rinfusa e il gioco consiste nel mettere in ordine la numerazione in modo che la casella vuota si trovi a essere al sedicesimo posto. Una concezione dell’esperienza psicoanalitica fondata solo sulla nozione di mancanza, come quella di Lacan fino agli inizi degli anni Sessanta, si fonda in effetti su un attraversamento delle combinatorie possibili del significante, fino a che la mancanza non va al posto giusto, ovvero fino a che non si manifesta come mancanza fallica, portando il soggetto al riconoscimento della castrazione. La mancanza è inoltre mancanza di qualcosa, di un oggetto, di un significante, di un’immagine. Anche quando, esaurite le possibilità combinatorie, la mancanza è mancanza in quanto tale, mancanza che va al posto giusto, mancanza fallica, resta comunque mancanza di qualcosa che da una parte c’è e da un’altra no. La mancanza femminile ha sullo sfondo il possesso maschile. È il tema che si sviluppa con tutta la sua potenza nell’Uomo dei lupi. Per avere il padre come oggetto erotico, il bambino Uomo dei lupi deve riconoscere la condizione annessa a queste possibilità: la ferita femminile. La nozione di buco invece non è relativa ad un ordine, giacché non si può ordinare un buco in una superficie topologica, e non implica nessuna perdita. Se la mancanza è modulata sulle negatività, nel buco non c’è negatività, il buco è solo positivo, non vi manca niente, esso è costitutivo della ciambella, se così possiamo dire: il buco fa parte della definizione di ciambella, perché senza di esso la ciambella non è riuscita. Questo aspetto è messo in luce che Miller nelle conclusioni delle giornate Ecole de la Cause freudienne del 2005, con una tavola dove da un lato sono collocate le negatività: mancanza, desiderio, soggetto, verità; dall’altro le positività, e qui troviamo la pulsione, il sintomo, il godimento, il buco. Lacan comincia a parlare del buco nel suo ultimo insegnamento, a partire dal Seminario XX, e ritornerà poi su questo tema fino alla fine. Siamo abituati a considerare il buco a partire dalle strutture topologiche, in particolare dal toro. Questo tipo di topologia si presta però all’immaginarizzazione: possiamo sempre pensare a un buco su una superficie come a quando guardiamo un quadro di Fontana. I più conosciuti sono i quadri con i tagli, ma ne esistono diverse serie con dei buchi. Il versante dell’arte è senz’altro una via affascinante per esplorare il tema, ma Lacan nel Seminario XX ci dà una definizione molto più formale, dà una definizione che si appoggia alle matematica. Il buco è, dice, il salto tra il finito e l’infinito. Quando Cantor sigla la cardinalità dell’infinito con la lettera dell’alfabeto ebraico ℵ0 facendone un numero, nell’ordine della numerazione – l’ordinale infinito è indicato con ω0 – si produce un buco, perché non c’è nessun numero finito, per quanto grande, a partire dal quale possiamo raggiungere l’infinito. Non c’è quindi nessun predecessore di ω0. Non c’è un ordinale che preceda l’ordinale dell’infinito, e quindi al tempo stesso ω0 non è successore di nessun numero. Questo è anche il motivo fondamentale per cui il buco non è articolabile con un ordine. Non c’è nessun punto infatti in cui possiamo situarlo nella successione della numerazione. È quindi essenzialmente diverso dall’insieme vuoto siglato Ø con cui possiamo connotare la mancanza, perché l’insieme vuoto sta all’origine della numerazione, che da esso procede. Reinterrogare la preclusione Si capisce quindi come, a partire da queste premesse la nozione di preclusione possa essere radicalmente reinterrogata nella nostra clinica. L’Uomo dei lupi è un esempio particolarmente chiaro di come questa funzione del buco appaia sul piano clinico. Se consideriamo la sua seconda analisi, quella condotta da Ruth Mack Brunswick, vediamo che Pankeieff viene dalla nuova analista lamentando una lesione nasale provocata dall’elettrolisi con cui un dermatologo aveva cercato di curargli un’ostruzione delle ghiandole sebacee. La lesione consisteva, secondo lui, in una cicatrice, in un vero e proprio buco che gli rovinava il profilo del naso. Non c’è quindi qualcosa che manchi, non c’è un oggetto perduto, c’è un buco che deturpa il corpo. Ruth Mack Brunswick dice che sul naso del paziente non si vedeva nulla, ma ciò non toglie che per l’Uomo dei lupi si trattasse di una lesione sfigurante, un buco reale di cui si faceva un’ossessione, al quale sentiva che non si poteva porre rimedio. Non chiedeva infatti di essere guarito dal buco, ma dall’ossessione che questo provocava in lui. È interessante anche il modo in cui l’Uomo dei lupi presenta il problema alla seconda analista: non si tratta di una negatività che può essere compensata, non è la richiesta di tornare allo stato precedente, come spesso chiede chi viene, per esempio, con un attacco di panico. L’Uomo dei lupi presenta il buco come un fatto, come reale, come inaggirabile, come positivo. Noi siamo abituati a pensare la preclusione come qualcosa che contrassegna una negatività nella struttura soggettiva. Nell’elaborazione che Lacan ne dà nel quadro della Questione preliminare la preclusione è l’assenza d’inscrizione di un significante chiave come il Nome del Padre. Tutta la clinica freudiana è in fondo basata sulla modulazione di una mancanza: la Verdrängung, la rimozione per le nevrosi, abbiamo la Verlengnung, la smentita per la perversione, e Lacan aggiunge la Verwerfung, la preclusione per la psicosi. Credo quindi che la clinica dell’ultimo insegnamento di Lacan richieda un ripensamento a partire dalla nozione di buco. Ma vediamo come Miller affronta il problema della preclusione nelle due lezioni del seminario, dove fa un commento dettagliato del capitolo VII del testo di Freud, e in particolare della frase da cui Lacan estrapola il termine Verwerfung facendone il concetto chiave che conosciamo per la struttura delle psicosi. Il capitolo VII è quello in cui si definisce la complessa architettura del caso in rapporto alla castrazione e alla posizioni differenziate che il soggetto prende rispetto a questo problema. Miller segnala queste diverse posizioni già dalla prima lezione. Il rifiuto della castrazione Di base per l’Uomo dei lupi c’è il rifiuto della castrazione, espresso da Freud con il termine Verwerfung, e che corrisponde alla teoria del coito anale. Non è riconosciuta la vagina, che Freud legge come ferita femminile, e l’intestino è considerata come la parte del corpo che accoglie il pene nel coito. A questa posizione di rifiuto della castrazione si sovrappone una seconda posizione in cui la castrazione è invece riconosciuta, e il riconoscimento porta a due atteggiamenti opposti: prima quello di resistere alla castrazione, e poi quello di cedervi. Inizialmente l’analisi di questa architettura di strutture ci serve per riflettere sulla diagnosi, giacché l’Uomo dei lupi ha il tratto caratteristico – su cui Freud torna più volte – di mantenere investimenti libidici diversi e contrastanti. La diagnosi dipende dall’accento e dall’ordine che diamo a questi diversi investimenti, dai quali può risultare una nevrosi con tendenza psicotica, un caso limite con tendenza all’acting out, un’ossessione con colorazione paranoide. Procedendo con le lezioni del seminario di Miller tuttavia questo problema viene rovesciato, e la prospettiva metodologica è completamente cambiata. Non si tratta più di seguire le tracce del testo freudiano per definire una diagnosi, partendo dal presupposto di sapere cosa sia una nevrosi e cosa una psicosi ma, al contrario, di entrare nei meandri del caso per capire attraverso esso cosa siano la nevrosi e la psicosi. Credo che dovremmo appropriarci di questo metodo e domandarci – a partire dalla nostra prospettiva attuale – non tanto dove s’inscrive la Verwerfung – problema che tuttavia è importante considerare, se seguiamo gli sviluppi delle lezioni, ma che idea possiamo farcene a partire da una clinica del buco e non da una clinica della mancanza. La clinica della mancanza Il concetto di preclusione in Lacan ha il proprio posto in una clinica della mancanza, e Miller situa molto bene questo aspetto quando dice che “La nozione stessa di Verwerfung presuppone ci sia un elemento del linguaggio – e non un senso – sottratto al circuito. Se non fosse così, come dimensione fondamentale avremmo solo la rimozione del significato. Cos’è infatti il sintomo nel discorso di Roma? Per l’appunto il significante di un significato rimosso, e quando sono i significati a essere rimossi, la Verwerfung è impensabile.” Sia per quanto riguarda la rimozione, sia per la preclusione, si tratta quindi di una clinica della mancanza. Già però all’interno di questa prospettiva c’è qualcosa che porta verso un quadro dove le cose sono più sfumate, dove non si ha più una divisione in bianco e nero, e si va verso il punto limite, presente in Lacan a partire dal seminario RSI e valorizzato negli ultimi anni da Miller, costituito dall’affermazione che tutti sono pazzi, che tutti delirano. Convinzione della realtà della castrazione: UWK Questo aspetto si presenta nel trattamento di quel che nell’Uomo dei lupi appare come la convinzione della realtà della castrazione, e che Miller sigla UWK, come acrostico dell’espressione tedesca di Freud Überzengung der Wirklichkeit der Kastration, cioè convinzione della realtà della castrazione. Sappiamo che per l’Uomo dei lupi ci sono tre tempi della castrazione. Il primo è quello della seduzione da parte della sorella, a tre anni e tre mesi, dove la castrazione ha un valore puramente intellettuale, riguarda solo la possibilità e non l’esistenza. Il secondo tempo è quello del sogno dei lupi, dove dal possibile si passa all’esistente – e qui entra in gioco la UWK. Il terzo tempo è quello della fase religiosa, dove la castrazione è assunta nel simbolico. La differenza interessante per noi intercorre tra la prima e la seconda tappa, dove entra in gioco la UWK. Abbiamo qui il fenomeno delle Überzeugung, che è la convinzione, ovvero una sfumatura della certezza. Nella fase del riconoscimento intellettuale della castrazione abbiamo il pensiero senza la credenza (Gedanke senza Glaube) mentre nella convinzione al pensiero si aggiunge la credenza. La convinzione è però qualcosa di più della credenza. Si tratta di sfumature importanti dal punto di vista clinico. Pensiamo infatti a quel che Miller riferisce trasmettendo la sua esperienza della presentazione dei malati, quando sottolinea che Lacan incitava a cercare nella psicosi il punto di certezza. Credenza e certezza A partire da qui nella nostra clinica si era sedimentata una ripartizione secondo la quale la certezza è un fenomeno psicotico, e la credenza un fenomeno nevrotico. È questa un’idea che andrebbe riconsiderata. Come infatti dice Lacan, ma come la nostra stessa esperienza ci mostra, non si interpreta il fantasma nelle nevrosi. Perché? Per un verso perché il fantasma, più che essere qualcosa da interpretare, è la base dell’interpretazione, è la sua cassa di risonanza semantica. Per altro verso però, non interpretiamo il fantasma perché il fantasma contiene in sé una certezza che nessuna operazione significante può modificare. Il fantasma contiene una risposta alla domanda enigmatica su cosa vuole l’Altro da me, contiene l’indicazione dell’oggetto che sono per l’Altro, anche perché proprio grazie al fantasma quest’oggetto è collocato nell’Altro. Esiste, possiamo dire, una topologia della certezza piuttosto diversificata. Ma la certezza, in quanto tale, appartiene sia alla psicosi sia alla nevrosi, e questo ci porta verso l’idea di una clinica sfumata. Studiamo ancora, dopo cent’anni, il caso dell’Uomo dei lupi proprio in virtù della particolare complessità e ricchezza che presenta nell’introdurci a questa clinica sfumata, e vi cerchiamo risposte ai nostri attuali quesiti diagnostici e, in un certo senso, per cercare di superare la mera categorizzazione diagnostica La UWK è ancora ciò che permette di rendere conto di un altro fenomeno che Miller studia in queste lezioni, e cioè il passaggio dalla soddisfazione all’angoscia. È un passaggio che segna una forte discontinuità nello sviluppo del caso, la seconda dopo la trasformazione da bambino amabile in bambino cattivo. La UWK nasce insieme al sogno dei lupi e segna una divisione tra l’aspettativa di un soddisfacimento e il risveglio con angoscia. I regali mancati Il sogno è correlato con l’aspettativa dei regali di Natale. Sappiamo che il compleanno dell’Uomo dei lupi coincideva con il giorno di Natale, e questo faceva sì che si attendesse una doppia dose di regali. Si tratta comunque dell’aspettativa di una soddisfazione che Freud caratterizza come anale, per via dell’equivalenza regalo = feci. Si verifica invece una trasformazione della soddisfazione in angoscia che è all’origine della successiva repressione, e sulla cui causa Freud si interroga. La soddisfazione, secondo lo schema costruito da Freud, è quella che l’Uomo dei lupi si aspetta di ricevere dal padre, e si fonda sulla posizione passiva acquisita a partire dall’episodio della seduzione della sorella. Dopo aver rifiutato infatti gli approcci della sorella inizia la fase della cattiveria che si declina in modo masochista per farsi picchiare dal padre. Ci deve essere dunque un fattore, un operatore che – nella prospettiva causalista assunta da Miller – deve motivare il passaggio dalla soddisfazione all’angoscia. Questo operatore causale è per Freud una Bild, un’immagine, e per noi è un significante. Dovremmo tornare su questa equivalenza tra immagine e significante, qui data per intesa, ma sulla quale sarebbe necessario fare qualche riflessione. Questa immagine, o significante, comunque sia, riguarda la castrazione e la sua Wirklichkeit, la sua realtà. Se il contrasto tra passività e posizione virile produce nella prima fase un’inversione e un atteggiamento aggressivo, nella seconda la condizione della castrazione provoca la rimozione della condizione omosessuale, come condizione in cui il piccolo Uomo dei lupi riceve soddisfazione dal padre. Essere come una donna che subisce l’accoppiamento del padre implica la castrazione, e questo desta l’angoscia che provoca la rimozione. La posizione femminile Ci sono quindi tre tempi: l’aspirazione alla soddisfazione sessuale da ricevere dal padre, la comprensione della condizione di castrazione che questo implica, l’angoscia, la paura del padre, che si esprime come fobia dei lupi. Questo passaggio, nella lettura di Miller, si proietta verso la teoria dell’angoscia che Freud espone in Inibizione, sintomo, angoscia, cioè verso la sua seconda teoria dell’angoscia, quella per cui non è la rimozione a causare l’angoscia, ma l’angoscia a essere causa della rimozione. Nella concatenazione che Miller mette bene in luce questo risulta chiaro. La posizione femminile, che l’Uomo dei lupi dovrebbe occupare per ricevere soddisfacimento dal padre, implica la castrazione che nel sogno si presenta nella sua realtà. Questa condizione entra in conflitto con il narcisismo genitale, con l’investimento libidico del pene, che Freud gioca a chiamare con i termini di Adler protesta virile, e il conflitto viene risolto con la rimozione della posizione femminile. Solo che l’angoscia, messa in posizione di causa, produce in questo caso un duplice effetto: in primo luogo una rimozione relativamente al fine sessuale (quello di essere soddisfatto dal padre) e in secondo luogo una preclusione della nuova scoperta, cioè della castrazione come condizione. L’autosoppressione della convinzione A questo proposito Miller nota un particolare meccanismo, certamente presente nel testo freudiano, ma non evidente e non immediatamente afferrabile senza la sua indicazione: si tratta di un meccanismo di autosoppressione della UWK. C’è una strana catena qui: la UWK produce l’angoscia di castrazione, che conduce alla preclusione – e alla rimozione – e questo porta alla cancellazione, in modi differenziati, della convinzione della realtà della castrazione. Mi sembra importante notare che questa autosoppressione si produce in due modi diversi: uno è radicale, dove non resta niente, ed è la Verwerfung, l’altro, possiamo dire, si verifica in modo hegeliano, è una soppressione che conserva. A questo punto però della lettura che Miller fa del testo di Freud, le due modalità di negazione hanno due punti di applicazione diversi, giacché la preclusione cade sui termini che riguardano il sapere, individuabili nel testo freudiano come Aufklärung, Verständnis, Erkentnis, cioè delucidazione, comprensione, conoscenza. In altre parole: la preclusione ricade sul significante, mentre la rimozione tocca gli investimenti degli oggetti libidici. Ciò coincide con quanto Miller aveva sostenuto già nelle prime lezioni, dove aveva indicato che la rimozione si applica al significato. Evidentemente la prima affermazione si basava sul Lacan del discorso di Roma, la seconda si basa sul testo freudiano. Su questo aspetto c’è una certa variabilità. Riprende infatti poco più avanti dicendo che la rimozione riguarda anche il cambiamento di atteggiamento, Verdrängung der Einstellung, per cui si passa dalla sicurezza alla fobia, dall’amabilità alla cattiveria, e così via. A questo punto s’introduce un’osservazione particolarmente importante, che si fonda sulla differenza tra preclusione e ritorno del rimosso, ed è qui che la nozione di Verwerfung prende il suo valore specifico. La questione riguarda l’identificazione con la donna, che evidentemente entra in contrasto con la protesta virile. L’identificazione con la donna, che avviene attraverso l’intestino, è in conflitto con la libido genitale narcisistica. Dal momento in cui vi è un riconoscimento UWK, la posizione del soggetto dovrebbe essere passiva omosessuale, dovrebbe essere protesa verso un fine sessuale femminile, e indurre un’assunzione omosessuale della femminilità. Ma è proprio questo fine femminile che soccombe alla rimozione. In tal modo, invece di una Verwerfung c’è una Verdrängung, e il soggetto non fa suo il fine femminile. Il soggetto lascia cadere quindi la posizione e il fine femminili di lasciarsi prendere come una donna, perché coglie che il senso della posizione passiva è la posizione femminile, e dà così luogo alla rimozione. Il fine sessuale e il problema sessuale Ci si può domandare allora perché Freud non si accontenta di trattare l’identificazione con la donna come un ritorno del rimosso, concetto di cui disponeva già dal tempo delle Nuove osservazioni sulle neuropsicosi da difesa e delle Minute a Fliess del 1895. Miller trova sorprendente che Freud non si accontenti delle nozioni di ritorno dal rimosso e considera che evidentemente questa nozione non inquadra sufficientemente il tipo di identificazione in gioco. Per questo si apre lo spazio per la Verwerfung. Se Freud avesse sentito di poter localizzare l’identificazione con la donna attraverso il ritorno del rimosso, non sarebbe stata necessaria l’idea di un rifiuto della convinzione della realtà della castrazione. La nozione di Verwerfung diventa quindi necessaria nel caso proprio in questo passaggio, dove entra in gioco il problema dell’identificazione con la donna. Freud considera tuttavia che l’atteggiamento femminile non viene annullato. Respinto dalla rimozione, trova modo di esprimersi nel quadro dei sintomi intestinali, e si manifesta con le frequenti stitichezze e diarree. L’atteggiamento femminile, accantonato dalla rimozione, si esprime spostandosi nell’intestino: c’è quindi anche un ritorno del rimosso. Il motivo per cui Freud non se ne accontenta concernente la distinzione tra il fine sessuale, che riguarda il soddisfacimento, e il problema sessuale, che non si pone nel quadro della teoria sessuale. Accanto alle problematiche confuse del comportamento, all’interno del quadro c’è la questione del fine sessuale. Si tratta del fine sessuale passivo, che avrebbe dovuto trasformassi in femminile e venire represso. Il problema sessuale, per altro verso, non è influenzato dalla rimozione in cui incorre il fine sessuale. Il problema sessuale è inerente a quello che Freud chiama “teoria sessuale”, ed è un registro che riguarda il sapere, un sapere distinto dal comportamento e relativo alla conoscenza, alla convinzione, alla spiegazione, alla rimozione. La convinzione, Überzengung, rimane in questo ambito. Al piano del sapere sessuale il soggetto può avere accesso oppure no, e riguarda il registro significante, dove non ci sono sfumature, è questione di tutto o niente, di antico o nuovo. La contraddizione Qual è infatti il problema per cui Miller entra in questa complessa e sottile distinzione? È che non è soddisfatto della soluzione data da Freud alla contraddizione sussistente tra l’antica e la nuova teoria che l’Uomo dei lupi si formula relativamente alla posizione sessuale. La nuova teoria è quella che implica il riconoscimento della vagina e della sua funzione nel rapporto sessuale. Questa prospettiva risveglia il soggetto in stato di angoscia dalla “sua infatuazione amorosa”. La vecchia teoria è invece quella che implica la scelta dell’intestino per dare appoggio all’identificazione con la donna. Queste due teorie sono evidentemente inconciliabili, ma Freud non se ne lascia turbare. Dice che la contraddizione esiste sul piano logico, ma solo se omologhiamo i processi psichici inconsci a quelli consci e se accantoniamo la profonda differenza esistente tra i due sistemi psichici. La contraddizione indicherebbe anzi un modo tipico di funzionamento dell’inconscio. Al momento del risveglio a un anno e mezzo, all’Uomo dei lupi si presenta la scena del coito genitoriale, e la prima concezione che si affaccia per spiegare questa situazione è quella antica, quella per cui la parte del corpo femminile che riceve il membro virile è l’orifizio anale. All’epoca del sogno però il bambino ha quattro anni e le esperienze vissute nel frattempo, oltre al fatto di aver sentito parlare della castrazione sotto forma di minaccia, lo portano a dubitare della teoria anale e a riconoscere la differenza tra i sessi e il ruolo della donna. Come si comporta allora? Respinge il nuovo e si attiene al vecchio, decide per l’ano contro la vagina. La nuova concezione, tuttavia, non rimane senza effetti: risveglia infatti l’angoscia che provoca la rimozione. La nuova concezione, tuttavia, non influisce sulla soluzione dei suoi problemi sessuali. È contraddittorio, quindi, che l’angoscia di castrazione possa coesistere con l’identificazione con la donna, ma per l’appunto è questo secondo Freud il modo di procedere dell’inconscio. Ed è alla fine di questo ragionamento che cade la fase cruciale, che Lacan fa sua, dove Freud afferma che una Verdrängung, la rimozione, è qualcosa di diverso da una Verwerfung, una preclusione. Miller dunque non si soddisfa della soluzione freudiana di una compatibilità dell’inconscio con la contraddizione, perché cerca un criterio che renda possibili al tempo stesso due meccanismi diversi come la Verdrängung e la Verwerfung. Credo che la sua idea sia che la tolleranza della contraddizione dell’inconscio riguarda rappresentazioni opposte – posso sognare che mia madre è viva pur sapendo che è morta, oppure posso sognare che mio padre era morto ma non lo sapeva – ma non ammetta meccanismi distinti che intervengono sulle stesse rappresentazioni. Il piano della contraddizione qui riguarda infatti non il contrasto tra rappresentazioni ma il contrasto strutturale da due meccanismi psichici. In altri termini: non posso rimuovere e precludere la stessa rappresentazione, perché per il principio ubi major minor cessat, se una rappresentazione è preclusa, su di essa non è mai stato formulato un giudizio di esistenza, e quindi non può essere neppure rimossa. Per rimuovere qualcosa bisogna infatti innanzitutto considerare che esiste. La questione si formula esplicitamente quando Miller dice: “Freud riprende le cose come se si trattasse, in termini generali, di coesistenza, mentre si tratta invece di situare come sono compatibili, come possono coesistere nello stesso soggetto, un meccanismo di rimozione con ritorno del rimosso e un rifiuto preclusivo”. La soluzione data in questa fase è che tale coesistenza risulta possibile solo se riguarda due piani problematici diversi del soggetto, e questi due piani, nel caso dell’Uomo dei lupi, sono quelli del fine sessuale e del problema sessuale. Su questi due diversi piani possono coesistere, nello stesso soggetto, i due meccanismi, e questo rende possibili due diversi modi di identificazione con la donna: un modo che si collega con la preclusione, dove il coito è concepito per via anale, e un altro collegato con la rimozione, dove la posizione femminile cancellata riappare come ritorno del rimosso. È un passaggio cruciale nel seminario di Jacques-Alain Miller, e lo si coglie solo se si tiene presente questa sua preoccupazione. Tutto ciò funziona sulle premesse della clinica classica di Lacan, quella strutturale, dove i meccanismi di rimozione e preclusione riguardano elementi discreti e quindi siano relativi a una mancanza. La preclusione in una clinica del buco Come funziona allora questo in una clinica del buco, quel buco che appare nella seconda analisi dell’Uomo dei lupi con Ruth Mack Brunswick? È interessante il modo in cui sorge il nuovo problema presentato dal paziente, quello del buco sul naso: la madre viene a visitarlo dalla Russia nel 1923, e ha un neo sul naso che i medici le consigliano di togliere. Lui, che era sempre stato fiero del suo naso senza imperfezioni, comincia a esaminarlo in cerca di ghiandole sebacee ostruite, finché si trova un brufolo, lo gratta via e poi guardandosi vede un buco. Potremmo domandarci se non si ripresenti qui l’identificazione con la donna sul piano del problema sessuale, e se l’accenno alla castrazione dell’altro – il neo della madre da togliere – non scateni in lui un rigetto che va nel senso in cui Lacan, nel seminario XX parla di un “J’en veux rien savoir”, come cioè se il cuore di quel che Miller isola come problema sessuale, il piano relativo al sapere sul sesso, fosse abitato da questo j'en veux rien savoir che si presenta come il buco che all’occasione gli appare sul naso. Troviamo in questo, credo, la possibilità di ripensare la nozione di Verwerfung in base alla nozione di buco piuttosto che di mancanza, e questo apre uno spazio della clinica delle psicosi ancora tutto da esplorare.
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