Intervento presso la NEL (Nueva Escuela Lacaniana) tenuto via web il 27 giugno 2020. Marco Focchi Capita che alcuni pazienti vengano in seduta lamentando qualche difficoltà della loro vita, aggiungendo però che sembra loro strano trovarsi con questo problema: hanno avuto una famiglia normale, dicono, non hanno subìto traumi, né ci sono particolari conflitti che possano ricordare. Se li si invita tuttavia a rievocare i primi esordi del problema che lamentano, il più delle volte si risale all’inizio dell’adolescenza, nelle prima fasi della soglia che segna l’uscita dall’infanzia. L’adolescenza – è la tesi che vorrei proporre – può essere considerata in effetti un tempo di passaggio più che una fase, la soglia d’uscita dall’infanzia, una soglia che Lacan colloca in un elenco costituito da una successione di momenti di crisi: “Svezzamento, intrusione, Edipo, pubertà, adolescenza, ciascuna della quali [crisi] rifà una nuova sintesi degli apparati dell’Io in forma sempre più alienante per le pulsioni che vengono così frustrate, e sempre meno ideale per quelle che trovano qui la loro via di normalizzazione” (Introduzione teorica alle funzioni della psicoanalisi in criminologia; Lacan, Cénac, 1950). All’inizio degli anni Cinquanta Lacan sta sviluppando una clinica propriamente hegeliana, e la forma a cui si riferisce è quella del processo tesi-antitesi-sintesi, la cui causa Lacan riconosce in quello che all'epoca considera come uno tra i fenomeni più fondamentali scoperti dalla psicoanalisi, cioè l’identificazione. L’adolescenza, in altri termini, appare qui come il tempo di una nuova sintesi dell’Io che supera alcune pulsioni presenti nell’infanzia per incanalarle in una via di sintesi normalizzante in direzione dell’età adulta.
Pur non avendo Lacan sviluppato un’elaborazione vera e propria sul tema dell’adolescenza, questa indicazione è interessante in quanto mostra una via diversa da quella che è stata imboccata nella psicoanalisi IPA, in particolare da Peter Blos con il suo libro del 1962 L’adolescenza. Un’interpretazione psicoanalitica, divenuto un testo di riferimento cruciale sull’argomento. Blos si colloca infatti nella linea di un pensiero evolutivo inaugurato da Karl Abraham, e individua alcuni stadi in cui l’adolescenza può essere secondo lui suddivisa: dopo la fase di latenza, situata tra i 7 e gli 11 anni, Blos pone una preadolescenza, dagli 11 ai 13 anni, un’adolescenza vera e propria, dai 13 ai 18 anni, durante la quale in una prima fase il soggetto rompe il legame con gli oggetti d’investimento primari, genitori o agenti edipici delle cure, mentre una seconda fase vede l’affiorare degli impulsi sessuali. Una tarda adolescenza, dai 18 ai 20 anni, conclude il processo in cui si consolidano le linee di pensiero che accompagneranno il soggetto nell’età adulta. Blos si posiziona dunque in sintonia con un pensiero continuista, dove la progressiva evoluzione segnala i passaggi dovuti a una maturazione la cui sola ragione sta in un’ipotetica spinta biologica presente sin dall’origine. L’essere umano è immaginato crescere come una pianta, che senza soluzione di continuità si trasforma dallo stato di seme a quello di albero. Per Lacan non c’è invece un movimento spontaneo che porta da uno stato all’altro, c’è piuttosto una causa che impone una riformulazione delle pulsioni e degli ideali. Negli anni Cinquanta la causa è individuata nell’identificazione come potente motore per una nuova sintesi dell’Io, ma negli anni successivi Lacan non penserà più a una sintesi: Hegel, già a partire dal seminario sull’angoscia, viene lasciato alle spalle, e nel suo ultimo insegnamento, quando riprende il tema dell’adolescenza nella prefazione a Risveglio di primavera di Frank Wedekind, Lacan non mette l’identificazione al centro dei movimenti psicologici, mette il godimento. Il problema allora non è più la riformulazione dell’io sotto una nuova insegna identificativa, ma piuttosto la rivelazione dell’impossibilità di tenere insieme le cose sotto una sintesi che appaia coerente. L’adolescenza appare allora come la fine della promessa di un Altro coerente, completato dall’ideale come una ciliegina sopra la torta. La rivelazione della sessualità si manifesta infatti per quel che è: un buco nel reale. Non si tratta tanto, in questa rivelazione, della propria sessualità, che il bambino in qualche modo già conosceva, pur segnata dalla colpa, pur vissuta come imperfezione o cercata come trasgressione. Se il mondo adulto ha avuto bisogno di aspettare Freud per farsi un’idea dell’esistenza della sessualità infantile, i bambini hanno sempre saputo che c’era qualcosa fuori posto, qualcosa che nessun significante poteva indicare. Hans sentiva bene che qualcosa in lui si muoveva senza che fosse lui a muoverlo, e cercava di sistemare le cose attribuendo al cavallo le responsabilità di cui il padre mostrava di non sapersi far carico. Non è la propria sessualità che si rivela nell’adolescenza, ma quella dell’Altro, che vi fa apparire il buco, il significante di una mancanza l’S(A/). È questo il trauma, o il troumatisme, come lo scrive Lacan, il buco che non occorre sia manifestato da eventi eccezionali per inscriversi nella soggettività, e che risulta invisibile al soggetto il quale può anche non ricordare grandi eventi catastrofici nella storia della sua vita, e ciò nonostante essere, come tutti, traumatizzato dalla sessualità. La rivelazione della sessualità dei genitori: quello è il vero trauma nel passaggio dell’adolescenza. Un paziente, non certo inibito nei suoi rapporti con il mondo femminile, e con una sorella maggiore che aveva giocato con lui nell’infanzia come con un bel bambolotto erotico, ricorda che un giorno, poteva avere 16 o 17 anni, era in vacanza in una località marina con i genitori ormai anziani, quando sente la madre osservare che probabilmente il mare faceva uno strano effetto sul marito, risvegliando in lui una fiamma che da tempo non ardeva più nella loro vita intima. Queste parole dette a mezza voce, sentite di sfuggita, il cui senso si fa strada in lui solo a stento, quando arrivano a segno lo sconvolgono come la rivelazione che anche i suoi genitori hanno una sessualità. Non che pensasse di essere nato sotto un cavolo, ma la percezione viva dell’erotismo espresso dalla madre ha una valore evidentemente ben diverso dalla conoscenza intellettuale di come si fanno i bambini. Un altro paziente, intorno ai 14 o 15 anni un giorno rovista in un ripostiglio in cerca di qualcosa che apparteneva alla sua infanzia e muovendo uno scaffale piuttosto in alto fa cadere ai suoi piedi una pila di giornali. Quando li raccoglie si rende conto che sono una raccolta di giornali pornografici appartenente senza dubbio al padre. La sua reazione è qui di indignazione: suo padre, che ha sempre esibito una posa di moralista, si rivela essere il contrario di quel che vuole apparire. Quella sera a tavola trattiene a stento la rabbia e il desiderio di fare una scenata rivelando a tutti la sua scoperta. Questo paziente, che era arrivato da me intorno all’età di trentacinque anni, con una separazione alle spalle, mentre conviveva con una ragazzina di vent’anni più giovane di lui. Non era certo un bigotto né un perbenista. Ha tuttavia dovuto passare attraverso una lunga fase iniziale della sua analisi per riconciliarsi con il padre, nei confronti del quale nutriva ancora rancori inconsci che non si erano da allora mai risolti. Alla luce di questo caso vediamo come in fondo possa esserci una sorta di adolescenza prolungata nella vita pubblica, quando ci troviamo con un personaggio come Benjamin Griveaux scalzato dall’arena politica francese per la diffusione di un video che lo mostra in un momento di vita intima erotica. Nessuno naturalmente pensa che un candidato al posto di sindaco di Parigi non debba avere una vita sessuale, ma quando questa entra nella visibilità ne appare subito il lato illegale, perverso, incompatibile. D’altra parte l’argomento di Piotr Pavlenski, l’artista russo che ha messo in circolazione il video, è che sua intenzione era di colpire le menzogne e l’ipocrisia di un candidato che, avendo sempre fatto leva sui valori della famiglia, ha osato inviare dei video di contenuto sessuale a una donna che non era sua moglie. L’apparire della sessualità al visibile è il punto centrale. Ne ha fatto argomento di uno dei suoi più bei romanzi Giorgio Bassani ne Gli occhiali d’oro. Il protagonista è un otorinolaringoiatra affermato e rispettato, benestante, di vasta e raffinata cultura e con una posizione eminente a Ferrara dove vive dopo il suo trasferimento da Venezia. Ha tutto, gli manca solo una moglie, e questo in città comincia a essere notato. La gente, parla, corrono voci sulla sua omosessualità, ma tutto resta contenuto fino al momento in cui la relazione con uno studente bellimbusto mette sotto gli occhi di tutti la sua condizione provocandone la rovina. Non è quel che si sa a provocare lo scandalo, ma quel che si vede. Un altro grande romanzo illustra la soglia che l’adolescenza deve superare: I turbamenti del giovane Törless. Un collegio militare vi è rappresentato come teatro di sevizie, di perversioni e di giochi omosessuali perpetrati da due allievi maneschi e tracotanti contro un allievo succube e più debole. Törless partecipa, pur con disgusto, a queste violenze, ma è una prostituta a fargli conoscere la sessualità e a rivelargli, con il suo volto degradato, quel che di torbido, distruttivo e dissoluto vi sia dietro la razionalità e l’apparentemente tranquilla quotidianità del suo mondo. Törless deve scoprire la falsità degli ideali dell’esistenza borghese in cui vive, la turpitudine del sesso dietro la facciata di pubblica rispettabilità della famiglia. L’adolescenza è, in questo senso, la caduta delle parvenze, lo svelamento del nulla dietro gli ideali infantili, dietro gli eroi e i cavalieri delle fiabe. Nei riti iniziatici delle società tradizionali l’infanzia terminava con l’ingresso dell’individuo nel mondo adulto, quando il giovane veniva messo a conoscenza dei segreti della tribù, del mondo delle divinità tribali che danno senso alla vita dietro la banalità del quotidiano. L’acquisizione di senso avviene in questo caso tramite la partecipazione al tempo degli inizi, al commercio con le divinità da cui la tribù trae origine Nel mondo desacralizzato togliere il velo magico che copre gli occhi dell’infanzia significa invece semplicemente dissipare l’illusione, svelare la menzogna, smitizzare. Un giovane, dopo le scuole medie, entrando nella prima classe di liceo vive una crisi d’angoscia insopportabile che convince i genitori a portarmelo per un consulto. Sentiva il passaggio all’adolescenza come la sparizione del confortevole mondo dell’infanzia, con l’immediatezza di contatti, l’intimità e facilità delle amicizie, il gioco, l’assenza di responsabilità. Guarda al mondo adulto con diffidenza, e con un senso di rifiuto, anche se sente chiusa dietro le spalle la porta del paradiso perduto. Gli amici cominciano e frequentare delle ragazze e non hanno più la stessa disponibilità di prima, l’ingresso nel mondo adulto gli appare come la prospettiva di un deserto di relazioni. Il suo sintomo, se così possiamo dire, era di essersi bloccato sulla soglia, di non scorgere nell’uscita dall’infanzia l’apertura di un mondo possibile. Mi è capitato a volte di incontrare pazienti adulti i cui sintomi erano legati a un mancato passaggio di soglia dell’adolescenza. Un uomo di trent’anni, per esempio, era rimasto, in un certo senso, al servizio dei genitori, perché non aveva mai traversato il momento di ribellione da cui nasce quel distacco che permette di mollare gli ormeggi per entrare nella navigazione della vita. Oppure una donna che, essendo sempre stata una ragazzina come si deve, non aveva mai creato problemi. Non aveva avuto le sbandate amorose delle sue coetanee, studiava diligentemente, non usciva di sera. Incontra un ragazzo che piace ai genitori ed è quello che sposa, non perché se ne senta particolarmente innamorata, ma perché è il ragazzo che la famiglia considera giusto. È insegnante e si applica al suo lavoro con coscienza e perfino con un po’ di pedanteria. La sua vita scorre regolare sui binari impostati dalla famiglia seguendo ideali fatti suoi senza discussione. L’incontro con un collega che accende il lei una scintilla diversa da quel che aveva conosciuto fino ad allora spariglia le carte, la fa sbandare, e tutta la sua vita deraglia. Ha quarant’anni, e gli amori adolescenziali che si presentano a quarant’anni non hanno lo stesso valore di esperienza formativa, né la stessa fondamentale funzione di temprare alla vita. Tutta la sua ben organizzata esistenza si disgrega, si confonde, va allo sfascio. Anche qui troviamo il sintomo di una soglia non superata, non sperimentata, che non ha aperto al possibile e ha mantenuto il soggetto solo nelle linee famigliari prescritte. Si potrebbero moltiplicare gli esempi: quello tra gli altri di una donna che a tredici anni non sa bene dove collocarsi nella ripartizione sessuale. Vede le compagne e i suoi compagni intrecciare relazioni ma lei resta come in un area di indecisione. La domanda isterica “sono uomo e sono donna?” si traduce per lei in un blocco del tutto concreto, non sa dove rivolgersi: il mondo maschile la terrorizza, in quello femminile si sente estranea ma al tempo stesso si sente meno messa a repentaglio. Convive da anni con una donna con cui ha relazioni sessuali sul cui carattere soddisfacente o meno non è mai entrata nel merito. Possiamo dire che è lesbica? Io direi semplicemente che è una donna che va a letto con le donne perché è la soluzione per lei più economica, perché non ha mai potuto affrontare la decisione implicata dal fatto di superare la soglia. In questo senso direi che la soglia riguarda il passaggio dall’impossibile che domina l’infanzia – una sessualità che non cessa di non scriversi e che non può mai sgorgare nella vita, che è interrogativo senza soluzione, senza nome se non i nomi illegittimi, le parolacce che i bambini fanno circolare tra loro come in una setta segreta – all’incontro contingente, quel che cessa di non scriversi, la sessualità che appare come buco nel reale, svelamento scandaloso che fa apparire le trame inconfessate e furtive del mondo degli adulti. Non è il bambino innocente a gridare che il Re è nudo, è l’adolescente rabbioso, ingannato, insofferente delle favole che hanno tenuto a bada questo grande segreto. Potrà farlo suo, questo segreto, amarlo, o rigettarlo, farne il cardine della sua vita o la spinta sublimata di un rifiuto radicale, ma non potrà più fare come se non fosse accaduto, salvo nei casi di adolescenza incompiuta che ho cercato di descrivere, dove il costo di questa sconfessione costringe la vita in binari da cui il desiderio è generalmente bandito e celato sotto l’insegna del dovere.
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