Buongiorno,
sono uno studente di psicologia e approfitto della sua disponibilità perché vorrei farle una domanda "tecnica" sugli attacchi di panico. L'attacco di panico può essere considerato una psicosi? O meglio, anche se il soggetto non è un soggetto categorizzabile come psicotico, lo è nei momenti delle crisi di panico? Sono dei "momenti psicotici"? Grazie mille se potrà rispondermi, Cordiali saluti, F.N. >Buongiorno, gli attacchi di panico sono dei momenti soglia dove, in presenza di una psicosi latente, può verificarsi un esordio, ma solo se l’attacco di panico si verifica in un paziente psicotico, anche se la psicosi non si è manifestata precedentemente. L’attacco di panico è però presente con frequenza anche in pazienti nevrotici, e non è di per sé indice di psicosi. dott. Marco Focchi
0 Comments
[continuazione di questa domanda]
Ok dottore perfetto quello che invece vorrei sapere (partendo dal presupposto che si tratti di filofobia o comunque paura d'amare !)e'se il filofobico quando si allontana ,si chiude ,non riesce più a relazionarsi normalmente con questa persona (ovviamente dopo aver dimostrato affetto premura interesse !!!)significa che prova sentimenti d'amore?e'questo il concetto sul quale vorrei chiarimenti .Grazie T.R. >Gentile T.R., come le ho illustrato nella precedente risposta ci sono molti modi di arrivare al sintomo della filofobia, e ogni via diversa presuppone una costituzione psicologica diversa. Non c’è dunque una maniera tipica di comportarsi, ma ogni volta specifica e relativa alle ragioni che hanno portato quel determinato paziente a sviluppare una filofobia. Credo che lei abbia in mente una persona precisa, e voglia sapere se questa, malgrado il sintomo che manifesta, provi ancora sentimenti d’amore. Non posso quindi dirle, senza conoscerla, se la persona che lei ha in mente provi o no questi sentimenti, soprattutto se ciò mette in gioco scelte fondamentali della sua vita. La cosa migliore in questo caso è che lei, insieme alla persona, consulti uno specialista con il quale poter esprimere il proprio disagio e farne emergere le ragioni. Solo a partire da un quadro completo della personalità si può avere una risposta corretta alla sua domanda. Un saluto cordiale dott. Marco Focchi Salve dottore!
Mi piacerebbe capire di più la filofobia. Cosa la scaturisce ,come si manifesta e se si manifesta solo verso persone per cui proviamo un forte sentimento. ????? E soprattutto l'allontanamento avviene proprio perché si prova amore verso quella persona? ed i sintomi fisici correlati si potrebbero manifestare in presenza di quella stessa persona? spero di essermi spiegata e soprattutto spero in una sua risposta. Cordialità! T.R. >Gentile T.R., la filofobia, ovvero la paura dell’amore, deriva dalle esperienze primarie che nell’infanzia hanno modellato le relazioni, ma soprattutto dal modo in cui il soggetto risponde a queste esperienze. All’origine può esserci il timore dell’abbandono, che porta a una presa di distanza mirata a prevenirlo. Ma un aspetto significativo è che dare se stessi in una relazione d’amore significa presentarsi all’altro come mancante, in stato di povertà. Non dimentichiamo che nel mito platonico riportato nel Simposio Eros, cioè amore, nasce da Penìa, la povertà, e da Poros, che è l’espediente. Ma è Penìa a prendere l'iniziativa, è lei che, visto Poros addormentato nell’ebbrezza su un prato, approfitta della situazione per unirsi a lui. Concedersi all’amore significa presentarsi all’altro nella “povertà”, cioè come mancanti, desideranti, e per alcuni questo stato è inaccettabile, urta contro la barriera del narcisismo, o contro l’angoscia di castrazione, giacché implica una perdita della propria completezza e autosufficienza. Ci sono però anche altre ragioni e altri percorsi mentali che possono portare alla paura dell’amore. La relazione d’amore può essere vista implicare una sorta di imprigionamento. Nella Certosa di Parma Fabrizio del Dongo cede all’amore, dopo mille scorribande, quando è imprigionato nella torre, e dalla finestra vede Clelia, la figlia del generale. Alcuni temono il legame proprio perché lo vedono come una cattura, una limitazione del possibile. Anche in questo caso sullo sfondo sta il timore della perdita: realizzare una possibilità significa perderne altre di potenziali. Come vede a un sintomo si può arrivare per strade molto diverse, e quel che è interessante sul piano terapeutico è seguire la traccia del percorso individuale, che ha sempre peculiarità irriducibili ai casi generali. Cordiali saluti, dott. Marco Focchi Gentile Dottore,
ho 34 anni e sono intenzionata ad intraprendere finalmente un percorso di psicoterapia. Dico finalmente perché da poco dopo i 20 anni la mia vita non è serena, nulla di grave ma spesso avverto un vuoto che a tratti appare incolmabile e cado in una sorta di disperazione. Ci sono alti e bassi e nonostante alcune volte ciò abbia pregiudicato l'organizzazione della mia vita, ho sempre rimandato il tentativo di occuparmene seriamente. Qualche settimana fa mi sono messa al computer e ho incominciato a cercare informazioni su vari terapeuti che avrei potuto contattare, siccome non ne conosco direttamente e non ho voluto chiedere a qualche mia amica (si.. forse avrei dovuto chiedere). Mi sono trovata di fronte una miriade di siti e di annunci e sinceramente non so su cosa fare affidamento per la mia scelta. Non conosco i tipi diversi di terapia e non so quale possa fare al caso mio. Vedo che si parla molto di terapie comportamentali che possono risolvere i problemi anche in tempi brevi, così come trovo siti di professionisti che invece dicono che ogni lavoro implica dei tempi più lunghi e un'analisi più approfondita (sono la minoranza però). Devo dire che la maggior parte delle volte guardo la foto del professionista e cerco di capire se mi ispira fiducia, anche se non credo sia questo il modo giusto di scegliere. C'è un modo di capire se per il mio problema è meglio rivolgersi a terapie brevi oppure a terapie che comportano tempi più lunghi? Sarà il terapeuta a capire cosa va meglio per me oppure sarà la mia scelta a comportare il tipo di terapia che affronterò? Grazie mille per la disponibilità, un cordiale saluto F.N. >Gentile signora, la sua domanda va a toccare un nodo estremamente peculiare della psicoanalisi, e anche della psicoterapia. La scelta di uno psicoterapeuta o di uno psicoanalista non è infatti analoga a quella di un buon medico, o di un buon avvocato, la valutazione dei quali può in fondo basarsi su risultati almeno relativamente oggettivatili, come un disturbo guarito e una causa vinta. Nella psicoanalisi, e nella varie forme di psicoterapia che ne derivano, gli obiettivi e i criteri con cui valutare i risultati sono molto diversi tra loro, e soprattutto sono correlati al senso di soddisfazione che il paziente trae dall'esperienza, che non è riconducibile a termini statistici. Il consiglio di un'amica che si è trovata bene con un determinato psicoterapeuta può non essere interessante per lei perché le sue aspettative e i suoi obiettivi e la sua sensibilità sono completamente diversi, senza che questo tolga nulla al valore di quello psicoterapeuta. Il “bravo” psicoterapeuta o psicoanalista è quello con cui si riesce a stabilire una buona relazione di transfert che permette di entrare nei labirinti della propria più intima disposizione, nell’architettura profonda del proprio essere. Il transfert è però, per l’appunto, una relazione, e non è dunque qualcosa che sia valutabile con criteri oggettivabili. Il suggerimento che le darei è di considerare psicoanalisti che abbiano avuto una formazione in una delle migliori scuole, quelle consolidate da una sicura tradizione e da una significativa esperienza clinica. Le scuole riconosciute in Italia sono elencate nel sito del MIUR. Si tratta delle scuole istituzionali, che hanno superato il vaglio di severi criteri di convalida. Ma questo è ancora solo un primo passo, per quello può essere utile poi guardare il curriculum personale dell’analista prescelto. Il momento chiave è però quello dell’incontro: è lì che si può capire se nasce quella corrente di fiducia che permette l’instaurazione del transfert e con esso la possibilità del lavoro terapeutico. Quando acquista una casa quel che guarda è se i muri sono solidi, il tetto ben costruito, gli spazi opportunamente distribuiti, le imposte ben ristrutturate. Quando sceglie uno psicoanalista la domanda che è interessante farsi è: sento di poter affidare i miei più intimi segreti, la parte più delicata e più vulnerabile del mie essere a questa persona? Un cordiale saluto Dott. Marco Focchi Domanda
grazie mille dottore di avermi risposto,noi la stiamo portando in un centro di adolescenti seguita da opsicologa già da 7 mesi ma la bimba non riesce nè a smettere di strapparsi i capelli e nemmeno a diminuire rischiando di rimanere pelata gli son rimasti pochissimi capelli e questo gli stà procurando un sacco di problemi,si sente brutta osservata dagli altri che la fissano in testa.le dottoresse che la seguono non hanno ancora capito la causa che ha portato mia figlia a iniziare questa bruttaazione,sto pensando vista la situazione di mia figlia che peggiora ogni giorno di fare qualcos altro ma cosa???stò pensando in più al percorso pscologico di portarla da una dottoressa e provare a curarla con ipnosi lei che dice?abbiamo bisogno di credere che mia figlia troverà persone capaci a aiutarla e a farla smettere.noi stiamo malissimo e stiamo vivendo male e soffriamo a vedere nostra figlia ridotta a questo modo fino ad arrivare al pensiero che da qui a due mesi se peggiora ancora ricorrere a una parrucca ma abbiamo paura di far peggiorare situazione di nostra figlia a confronto con gli altri che purtroppo abbiamo paura la porterebbero in giro e la isolerebbero ancora di più.confido nei suoi consigli abbiamo bisogno di tornare al più presto a una vita serena e non vivere ogni giorno con tristezza e demoralizzati solo nel guardare nostra figlia che è la nostra vita Risposta Gentile Angela, capisco la sua situazione di attesa e di impazienza, quando dice che avreste bisogno di tornare quanto prima a una vita serena. Consideri però che una terapia di sette mesi, per un problema serio come quello che mi descrive, è molto breve, e che è molto probabile che le dottoresse a cui si è affidata abbiano bisogno di più tempo. È normale che lei morda il freno, e che non veda l’ora di uscire dal tunnel. Consideri però che anche la sua ansia si riflette in quella della bambina, e tanto più lei fa pressione, quanto più si allontana dall’obiettivo. Non sono situazioni semplici, e anche lei è sottoposta a una tensione che può essere insopportabile. Non ha considerato di avere anche lei un aiuto psicologico? Data la situazione che descrive sarebbe più che opportuno, e probabilmente, alleggerendo la sua ansia, avrebbe una ricaduta positiva anche su sua figlia. Un saluto cordiale dott. Marco Focchi Domanda
salve sono la mamma di una ragazza di 16 anni che ha 13 anni gli è stata diagnosticata l'artrite reumaoide cronica.da li la nostra vita e la nostra serenità si è bloccata di colpo,e in più dopo un anno di dolori fisici e medicinali la bimba ha iniziato a perdere i capelli,i primi segnali zona tempie e fronte da capelli lunghi e tanti ad averli corti come se glieli avessero tagliati,all'inizio pensavamo fossero le medicine che prendeva come terapia per la malattia dopo 2 anni abbiamo avuto un'altra botta al cuore era mia figlia che se li strappava e ci è cascato il mondo addosso.ora sono 8 mesi che la portiamo in un centro adolescent i dove una pschiatra e il suo staff si prendono cura di mia figlia e devo dire che emotivamente la stanno aiutando ma non a riuscire a smettere questa assurdità e mia figlia rischia di rimanere pelata in un età già difficile da vivere,essendo al centro delle attenzioni negative degli altri che si accorgono che ha dei problemi e anche nel vedersi esclusa perchè non bella come le altre.la nostra famiglia ha smesso di vivere serena,siamo sempre tristi e giù di morale e non abbiamo trovato nessuno che veramente è riuscito a aiutarci per uscire da questo orrore col nome di tricollomania.ma è possibile non aver trovato un medico onesto e bravo che sia riuscito a ridare speranza a mia figlia e a noi di poter rivivere normalmente a riuscire a fermare questa cosa tremenda,io non riesco più a vivere felice ,guarda mia figlia e mi stringo sempre una mano al cuore non ce la faccio più.e se aspettiamo ancora senza risultati dovrò mandarla in giro pelata?o rinchiuderla in casa? Risposta Gentile Angela, già in altre risposte ho avuto modo di esprimermi sul problema della tricotillomania, che lei ora mi sottopone per sua figlia. Quel che possiamo dire, in linea generale, è che la tendenza a strapparsi i capelli, o altre parti pelose del corpo, è un sintomo che nasce da una situazione soggiacente di angoscia e che si manifesta attraverso questo comportamento autolesivo e automutilante. Le ragioni per cui il sintomo prende questa via possono essere molte: ci può essere una tendenza all’autopunizione, a contrassegnare il corpo con un marchio che è una sorta di lettera scarlatta, oppure la manifestazione di una profezia che si autoavvera: “Pensate che sia brutta? - dice inconsciamente tra sé il soggetto - ecco, sono io stessa che mi deturpo”, o può trattarsi di un’aggressività che si ritorce sulla persona stessa, o ancora di un modo di generare apprensione nelle persona care intorno per avere compensativamente la loro attenzione. I motivi possono essere molti, e il solo modo di disinnescare questo comportamento è entrare nel merito specifico di cosa lo muove in sua figlia, e ci sono sicuramente psicoterapeuti validi in grado di aiutarla, poiché non si tratta solo di un problema medico, come lei sembra suggerire nella sua lettera, ma di un serio problema psicologico di cui va trovato il filo. Con i miei migliori auguri. dott Marco Focchi Domanda
Egr. Dott. Marco Focchi, la mia più che una domanda, è la necessità di un consiglio. Sono un papà disperato, mia figlia è entrata nel mondo della tossicodipendenza circa sei anni fa, da allora ci sono stati molti alti e bassi con entrate e uscite dalle comunità che gli psicologi del S.E.R.T. gli proponevano, per me molte di queste comunità non sono state del tutto professionali nell'affrontare questo grave e delicato problema.la comunità che gli era sta consigliata, nel primo ricovero che ha fatto in clinica a Modena (Villa Rosa) è stata la comunità di San Patrignano, che per il mio profano parere è quella giusta per mia figlia, ma purtroppo quando lei capì che ci volevano quattro anni di comunità per risolvere il suo problema la scartò a priori. Nel frattempo il Sert gli consigliò una comunità di Como, dove passò solo dieci giorni prima di andarsene.Da allora sono passati cinque mesi e lei , come se nulla fosse ha ricominciato a fare la vita che faceva prima, si sveglia a mezzogiorno va al S.E.R.T. a prendere il metadone, torna a casa pranza e dopo aver dormito qualche ora esce e va col suo compagno di merende a farsi di cocaina e eroina, torna verso le due o tre di notte, ed e pronta per il giorno dopo, noi cerchiamo di parlargli ma non abbiamo risposta, ora io e mia moglie ci sentiamo in un vicolo cieco, non sappiamo propio cosa fare, lei non parla più di comunità e sta disertando i colloqui con gli psicologi del S.E.R.T. Io volevo solo sapere come mi devo comportare in una situazione del genere, in attesa di una sua risposta le invio i miei più cordiali saluti P.S.dimenticavo mia figlia ha 22 anni. Risposta Gentile signore, lei mi descrive una situazione piuttosto complicata, perché sua figlia apparentemente non desidera farsi curare, non vuoi instaurare un dialogo con lei e con sua moglie, e non intende entrare in una comunità. Inoltre ha ventidue anni, è cioè maggiorenne, quindi responsabile di sé e non può essere costretta a curarsi contro la sua volontà. La cosa che si può fare, in questo casi, è cercare di instaurare un dialogo, senza troppo fare pressione per non provocare un rifiuto, essendo presenti con discrezione senza arrendersi, e dare la propria disponibilità, anche se non incondizionata. Per esempio come si mantiene sua figlia? Ha un lavoro o è lei a passarle del denaro? Come acquista la cocaina che, per quanto sia scesa di prezzo, ha comunque un costo? Questi sono dettagli non secondari, perché se è lei a fornirle denaro, ha anche delle redini per governare, almeno in parte, la situazione. Se invece non è lei a passarle denaro, la prima cosa sarebbe sapere come se lo procura, nel caso non lavori, e se torna tutte le sere alle due o alle tre di notte, mi sembra difficile siano orari compatibili con un lavoro regolare. Per il momento questi sarebbero i primi passi e poi, vedendo come reagisce, si potrebbero fare altre cose, ma occorre fare un passo alla volta, con pazienza e gradualità. Un cordiale saluto Dr. Marco Focchi Girando su internet sono capitata sull’articolo pubblicato sul suo sito “Ridefinire la malattia mentale l’inutilità della diagnosi del 3.3.2015 di T. M Luhrmann, docente di Antropologia presso la Stanford University Capire la psicosi e la schizofrenia
Mi ritengo una persona molto indecisa, con un livello scolastico di III media e con molta difficoltà a capire le cose che leggo. Sono una madre di 66 anni, di Pisa, a mio figlio di 42 anni è stata diagnosticata la schizofrenia all’età di 28 anni, ricorreva l’anno 2001 Nell'ambito di un programma chiamato “Criteri del campo di ricerca”, tutta la ricerca deve cominciare da una matrice di strutture neuroscientifiche (geni, cellule, circuiti) che attraversano diagonalmente i domini comportamentali, cognitivi e sociali (paura acuta, perdita, eccitazione). Per fare un esempio tratto dal sito web del programma, i ricercatori psichiatrici non studieranno più le persone ansiose, studieranno i circuiti della paura. Ho riscontrato che il fattore genetico può essere implicato in quanto anche io ho avuto diversi problemi attribuibili a questi tipi di problematiche. Gli è stato prescritto 3 ml di risperdal al giorno che assume da 17 anni Sentiva voci che gli parlavano e scuoteva la testa Non mostrava più affettività nei confronti di nessuno Non voleva andare a lavorare, ossessionato dalla paura di essere seguito Difficilmente parlava o esprimeva una sua opinione Le voci sono scomparse, ma non parlava mai e non faceva nessun gesto affettuoso Circa due anni fa ho smesso drasticamente il risperdal ed ho iniziato a dargli centrifugati di 3 carote, 3 gambi di sedano, 5 aranci, 4 mele alternando con altri tipi di frutta Migliorò nella comunicazione e nell’affettività ma gli rimasero i tic agitava la mano sinistra in continuazione parla da solo e ripete la stessa frase in continuazione. Ricominciai con il Risperdal dandogli sempre i centrifugati, smise con il tic alla mano ricominciò a parlare e ad essere più affettuoso attualmente prende un integratore di niacina 72Mg e B-6 100Mg al giorno ho notato che il padre riesce a portarlo fuori ogni giorno. Potrò mai riprovare a sospendere il risperdal o dovrà prenderlo tutta la vita? Ha un addome molto gonfio, nasconderà qualche altra patologia? Ha cosa devo stare attenta Crea assuefazione? La ringrazio e mi scuso per il disturbo Risposta Gentile signora, non posso naturalmente darle indicazioni farmacologiche attraverso il sito. A questo scopo occorre parli con lo psichiatra che ha seguito la situazione o con uno psichiatra per lei di fiducia. Quando dice di aver smesso drasticamente il risperdal spero che lo abbia fatto sotto controllo medico, perché si tratta di un farmaco importante che non può essere trattato con leggerezza. Quanto ai problemi che lei si pone sulla genesi della schizofrenia bisogna dire che evidentemente ci sono diverse scuole di pensiero. Quelle biologiste si orientano verso la ricerca di una causalità genetica, quelle psicoanalitiche si orientano sullo studio della complessità relazionale in cui il paziente si trova e sulle ricadute che questo ha nell’inconscio. Se chiede il mio parere personale ritengo che la soggettività umana sfugga alla misurabilità e al calcolo su cui si basa la ricerca scientifica, che per sua vocazione deve tendere all’universale. La Lo studio e il trattamento della soggettività richiede invece un’indagine approfondita che possa venire a capo dell’assoluta singolarità del caso. Questo è quel che fa la psicoanalisi, a partire da un rigore teorico e pratico diverso da quello della scienza. Ogni forma di pensiero ha le sue peculiarità epistemologiche di cui occorre tenere conto, per non rischiare di usare strumenti potenti, come quelli del discorso scientifico, in un campo che non essendo appropriato, ne risulterebbe distorto. Un cordiale saluto Dr. Marco Focchi Salve Dottore ,
sono Laura e ho 37 anni , le scrivo per chiarirmi un dubbio. Tre anni fa sono stata con un ragazzo molto dotato nello spessore ed è durata circa 8 mesi , il sesso era fantastico, intenso e sempre molto appagante . Successivamente ho avuto altri due partner ma fin dall'inizio della storia successiva a quella notai una differenza nella risposta sessuale. In pratica non provavo più nulla nella penetrazione , non provavo più alcun piacere. Poi cambiai ancora partner dopo quasi un anno e con lui lo stesso problema....nessun piacere , completa insensibilità nella penetrazione!. A questo punto mi chiedo se le dimensioni generose del partner di quel periodo hanno contribuito a questo fenomeno , non so come spiegarmi , è come se mi fossi "allargata" e le pareti vaginali si sono adattate a quella dimensione.I due partner che ho avuto con dimensioni nella media non riescono forse a stimolarmi adeguatamente causa un diametro minore? Mi aiuti a capire . Grazie mille .Saluti Risposta Cara Laura, credo ci siano altri elementi da valutare oltre a quelli che lei mette in luce. Capisco che le dimensioni generose del primo partner potessero favorire il soddisfacimento, ma non mi ha detto nulla su quella che era la qualità della relazione con lui. Come si dice spesso, il primo organo sessuale è il cervello. Se le cose funzionano di testa, se si crea un’intesa – che non necessariamente significa innamoramento, ma semplicemente corrispondenza di gusti, o di inclinazioni erotiche – allora tutto funziona meglio. È forse questo il lato che potrebbe interrogare, oltre a quello dimensionale. Che tipo d’intesa o di complicità c’era con il primo partner a differenza degli altri due? Un saluto cordiale Dr. Marco Focchi Salve dottore,
La mia Mamma mi ha messo addosso troppe aspettative per il mio futuro e per La mia vita che dovrebbe essere perfetta, con un lavoro, con un uomo accanto, con bambini e soldi. Ma io non ho niente di tutto ciò e mi sento sfigata. Odio lei e me. E sono invidiosa degli altri che hanno ottenuto queste cose. Come uscirne?! Risposta Cara Lucia, prima della domanda come uscirne, ce n’è un’altra più fondamentale che è necessario porsi per affrontare la situazione in cui si trova, ed è: come ci è entrata? Un mamma (che lei scrive con la maiuscola, e questo già dà un’idea del posto che le attribuisce) esigente e con troppe aspettative non basta a farla entrare nel labirinto in cui si sente smarrita, senza un suo in qualche modo inconscio consenso. Si tratterebbe dunque di interrogare il complesso rapporto che ha avuto e che ha con sua madre, l’adesione alla sua volontà che ha trovato in lei. L'’odio che ora dice di sentire è verosimile si accompagni, o si sia accompagnato, con un amore e una devozione che probabilmente ora non è immediato per lei riconoscere. Per uscire dal labirinto bisogna capire come ci si è entrati. Questo dipende in ampia misura da lei e, se lo desidera, da un aiuto professionale che le consenta di elaborare gli ostacoli inconsci di fronte ai quali oggi si trova. Un cordiale saluto Dr. Marco Focchi |
Per inviare domandePer inviare una tua domanda, vai a questa pagina Archivio
Maggio 2021
|