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Domande e risposte

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Quando mi trovo da solo provo un senso di vuoto e inquietudine

9/6/2025

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Gentile Dottor Focchi,

sono un uomo di 42 anni e da qualche tempo mi accorgo di avere sempre più difficoltà a gestire i momenti di solitudine. Pur avendo una famiglia e amici, quando mi trovo da solo (cose che inoltre ricerco) provo un senso di vuoto e inquietudine che mi porta spesso a cercare distrazioni continue, come guardare la televisione saltando da un canale all'altro o navigare sui social, senza però sentire di avere veramente voglia di fare qualcosa.

Mi domando come si possa imparare a vivere la solitudine in modo più sereno, dato che sento comunque il bisogno di avere questi momenti tutti per me, magari trasformandola in un’occasione di crescita personale. È normale sentire disagio nei momenti di solitudine? Ci sono strategie o esercizi che consiglia?

La ringrazio per l’attenzione,  
A.

>​Gentile A.,

La solitudine è uno dei grandi problemi della nostra epoca e dei paesi di benessere economico, dove l’individualismo è diventato prevalente a scapito di una dimensione comunitaria. Ricerche sul senso di felicità soggettivamente provata mostrano una maggiore felicità in paesi e villaggi africani dove prevale il senso di solidarietà tre le persone e dove la vita sociale ha una tessitura più significativa.
Non stupisce dunque quel che lei sente e il problema che denuncia. 
Abitualmente non suggerisco strategie o esercizi, perché il modo di applicazione – non trasmissibile – è più importante delle formule che si possono illustrare.
Le direi tuttavia che il senso di solitudine si allevia immergendosi in un’attività con un significato. Ora, saltare da un canale all’altro guardando la televisione o navigare sulle reti sociali non sono certo qualcosa che dà senso alla vita.
Occorre che lei possa trovare qualche attività che accende il suo desiderio, ma questa non posso essere io a suggerirla: occorre che si sondi, trovi cosa sente congeniale, e vi si immerga senza remore. Il solo e vero antidoto alla solitudine è il desiderio, perché solo il desiderio protende verso l’altro, anche quando si è soli
Marco Focchi 
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Tendenza a essere una perfezionista

16/4/2025

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Gentile Dottor Focchi,

Mi chiamo Giulia e ho 28 anni. Recentemente ho iniziato a riflettere su un aspetto della mia personalità che mi sta creando non poche difficoltà: la mia tendenza a essere una perfezionista in ogni ambito della vita.

Fin da piccola, ho sempre cercato di eccellere in tutto ciò che facevo, dagli studi al lavoro, passando per le relazioni personali. Inizialmente, pensavo che questa caratteristica fosse un pregio, ma ora mi rendo conto che sta diventando una gabbia che mi impedisce di vivere serenamente.

Mi ritrovo costantemente insoddisfatta dei risultati che ottengo, anche quando oggettivamente sono buoni. Passo ore a ricontrollare il mio lavoro, temendo di aver commesso errori. Lo sto facendo anche nello scrivere questo testo. Nelle relazioni, tendo a essere ipercritica sia con me stessa che con gli altri, rovinando spesso momenti che dovrebbero essere piacevoli.

Questo atteggiamento sta influenzando negativamente la mia vita professionale e personale. Mi sento sempre sotto pressione e fatico a godermi i momenti di relax. Ho notato che sto sviluppando sintomi di ansia e, a volte, di depressione.

Come posso imparare ad allentare questa morsa del perfezionismo? Esistono tecniche o approcci che possono aiutarmi a essere più indulgente con me stessa senza perdere la motivazione a fare bene? Come posso trovare un equilibrio tra il desiderio di eccellere e la necessità di vivere una vita più serena e appagante?

La ringrazio in anticipo per il suo aiuto,
Giulia

>Gentile Giulia,
Lei ha ben individuato il fatto che il perfezionismo anziché una risorsa è piuttosto un problema. Mi chiede però delle tecniche per superarlo, e devo confessarle che la richiesta di tecniche in campo psicologico è sempre piuttosto imbarazzante. Le tecniche sono infatti una modalità di controllo, e le manifestazioni della psiche sono quanto di meno controllabile vi sia, e per fortuna, giacché sono espressione dei desideri più profondi, che sono da liberare più che da governare. Ma la volontà cosciente, per mille ragioni, si oppone proprio a questo. I conflitti psichici all’’origine dei sintomi nascono precisamente da questo contrasto. Inutile dunque cercare di forzare la volontà. Meglio affidarsi a un buon psicoterapeuta in grado di aiutarla a traversare il labirinto dei suoi conflitti facendole trovare il filo dei suoi desideri inconsci, senza reprimerli né comprimerli.

Un cordiale saluto.
Marco Focchi 
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Vorrei diventare una psicoanalista

28/2/2025

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Vorrei diventare una psicoanalista ma ho paura di essere inadeguata perché troppo instabile. Mi chiedo se esistono delle caratteristiche di personalità che possano rendere difficoltoso tenere quella posizione. Ho sempre la sensazione di chiedere agli altri, misurandomi con loro, se sono abbastanza normale da pretendere di voler essere un'analista

M.R.

>Gentile M.R.
L’accesso alla pratica della psicoanalisi è attualmente regolato da una legge promulgata nel 1989 che prevede una laurea in psicologia o medicina e il diploma di una Scuola postuniversitaria riconosciuta dal MIM (ex MIUR).

Tradizionalmente comunque la formazione, già dai tempi di Freud, aveva la propria colonna portante in un’analisi personale. Se la sua preoccupazione è dunque relativa ad alcune caratteristiche della sua personalità, sono evidentemente aspetti che possono essere messi in gioco nell’esperienza d’analisi.

Marco Focchi
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Parlare in pubblico

21/1/2025

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Buongiorno Dott. Focchi,
da anni mi blocco ogni volta che devo parlare in pubblico o espormi davanti a un gruppo di persone, sia sul lavoro che in situazioni sociali. La sola idea di essere al centro dell’attenzione mi provoca ansia e a volte rinuncio a opportunità importanti per paura di sbagliare. Vorrei capire da dove nasce questa paura e come posso affrontarla per superare questo limite che mi sta condizionando molto.

La ringrazio per il suo aiuto,
M.T.

>​Gentile M.T.

La paura di esporsi pubblicamente può dipendere da molte ragioni diverse, la prima delle quali è l’insicurezza sulle proprie capacità, sulla propria preparazione, con conseguente timore del giudizio degli altri. Queste però sono solo ragioni superficiali, e in genere si tratta di un fenomeno che ha radici più profonde.

Esporsi in pubblico significa salire su una scena teatrale, anche se non si è attori, e recitare un ruolo. Chi sa entrare nel ruolo, chi sa staccarsi dalla propria immediatezza per indossare una maschera pubblica, in genere non ha difficoltà.
Se però una persona, e può essere il suo caso, si sente vista nell'anima ai raggi x, si sente penetrata nell’intimo più intimo, allora ha tutte le ragioni per sentirsi in difficoltà.

Ci sono lati di noi stessi che non esporremmo neanche a noi stessi, se così vogliamo dire. E non perché siano in qualche modo biasimevoli per qualsivoglia ragione, ma perché l’intimo più intimo è irrappresentabile, e l’impressione di mostrarlo può mettere solo in imbarazzo.
È l’analogo spirituale del pudore fisico: normalmente non ci si mostra nudi in pubblico. E così, se una persona non ha gli schermi necessari per mostrarsi pubblicamente vestito di un ruolo, di una maschera sociale, per sentire la propria intimità protetta, allora può intervenire la difficoltà che lei dichiara.
​
Per affrontare il problema si possono prendere molte via: dalla più superficiale, come fare un corso di teatro, alla più profonda, come fare un’esperienza psicoanalitica.
Un cordiale saluto.

Marco Focchi  
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Lasciare i miei genitori anziani

9/1/2025

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Buongiorno Dott. Focchi,

le scrivo perché sono profondamente turbato da un forte senso di colpa dopo una decisione importante che ho preso di recente. Ho scelto di trasferirmi per seguire una nuova opportunità lavorativa in un’altra città, pur sapendo che ciò avrebbe implicato lasciare i miei genitori anziani senza il mio supporto quotidiano. Mio fratello ora si occupa di loro da solo e, nonostante la mia decisione sembrasse giusta per il mio percorso personale, non riesco a liberarmi dal rimorso di aver abbandonato la famiglia. Vorrei capire come gestire questo senso di colpa e se esistono modi per trovare equilibrio tra le mie esigenze e quelle degli altri.

La ringrazio per il suo tempo e la sua attenzione,

F.M.

>Gentile F.M.

La situazione che mi descrive non sembra implichi particolari conseguenze pratiche. I suoi genitori sono anziani, ma autosufficienti. Naturalmente richiedono probabilmente un minimo di assistenza, ma sono attenzioni che, mi dice, suo fratello può dedicare loro. Si tratta dunque del suo senso di colpa, che sorge in modo indipendente da una situazione reale che ne sia la vera causa.

Bisognerebbe dunque considerare le ragioni di quel senso di colpa atavico che fa da lente d’ingrandimento per la situazione attuale. Può tentare lei stesso di ripercorrere la sua storia e la sua vita per capire cosa in lei amplifica in tal modo la percezione della colpa. Certo, non è facile vedere se stessi come fosse dall’esterno. È il motivo per cui, se le sembra di non riuscire a venirne a capo, il suggerimento può essere quello di ricorrere all’aiuto di uno specialista che, offrendole l’appoggio di un punto di vista esterno, la metta in grado di vedere dove lei stesso, con il suo sguardo naturale, non riesce a penetrare.

Un cordiale saluto
Marco Focchi
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Da più di un anno mi strappo le sopracciglia

3/5/2021

0 Comments

 
ciao, ho 15 anni e da più di un anno da mi strappo le sopracciglia. poi da questa estate lo faccio con le ciglia.
vorrei smettere anche perchè mi piacciono le mie ciglia ma non riesco a smettere e non so il perchè.
prometto sempre a me stessa che questa sarebbe stata l'ultima volta e che avrei smesso ma alla fine lo rifaccio.
quando faccio i compiti o anche quando non faccio niente diciamo...ormai lo faccio un po a caso. non so come fare..consigli?

RM


>Cara RM,

Il sintomo che tu mi descrivi è quello che viene abitualmente definito tricotillomania, tema sul quale puoi già trovare una precedente risposta su questa rubrica.
I motivi per cui si verifica questo comportamento possono essere i più svariati, da situazioni di angoscia latente, a forme di autopunizione o di autodeturpazione che sfuggono alla coscienza soggettiva, e di cui evidentemente non ti puoi rendere conto da sola.
Essendo le motivazioni profondamente inconsce e determinate dalla storia personale e relazionale, il consiglio migliore che posso darti è di sentire uno specialista che ti aiuti a trovare gli specifici fattori che riguardano il tuo caso per farli emergere e per poterli così trattare.

Un cordiale saluto
Marco Focchi
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Sono ossessionata dal fatto che il mio fidanzato mi tradisca

31/3/2021

0 Comments

 
Perché sono ossessionata dal fatto che il mio fidanzato mi tradisca, ogni volta che la paura mi assale, devo cercare risposte, “la verità” e quando vedo che non è così, sono serena. Spesso lo accusavo prima che mi mostrasse “le prove” e fosse tutto nella mia testa.. È come una dipendenza..ultimamente si presenta meno. Ho un passato burrascoso in termini di relazioni e spesso sono stata tradita..questo ragazzo ha sempre dimostrato di essere diverso, di contare molto per lui, mettendo a disposizione un’intera vita. Ora spesso mi evita a causa di qualche mio comportamento errato, rimango due giorni Max tranquilla e poi rimango male di qualcosa e sono piagnucolona, triste o arrabbiata. Il pensiero del tradimento si presenta meno e attualmente a lui, il motivo per il quale lo assillo spesso è la ricerca di attenzioni e tempo, la sua risposta è che ora dedica principalmente alla sua famiglia ed il suo lavoro, fui la priorità ed ha ricevuto solo male da parte mia.

Ale


> Cara Ale,

La gelosia femminile nasce in genere dal senso di non corrispondere alla figura femminile ideale che si immagina un uomo desideri. Cos’è una donna? Cosa vuole una donna? Verosimilmente neppure una donna lo sa, e si costruisce una sorta di idolo a cui somigliare. Per esempio, in un caso famoso di Freud, il caso di Dora, la paziente era rimasta per un tempo lunghissimo immobile in contemplazione della Madonna di Raffaello custodita nel museo di Dresda. Ai suoi occhi quell’immagine rappresentava la perfezione di una femminilità che le sembrava di non poter raggiungere.

In un certo senso, ogni ragazza ha la propria Madonna di Dresda nella figura ideale di donna che immagina il proprio uomo possa desiderare. Sente di non somigliarle e questo scatena la sua gelosia, anche se non c’è una rivale concreta in carne e ossa, come nel tuo caso. Una gelosia assillante può però risultare soffocante per il compagno, può allontanarlo, come è successo a te. Per guarire da una gelosia patologica che attanaglia bisogna riuscire a sentirsi donna agli occhi del proprio compagno, e parlare con lui, anziché assediarlo di sospetti, sicuramente aiuta.

Marco Focchi
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La mia analisi non è come la vorrei

14/5/2020

1 Comment

 
Sono vittima di un conflitto: da una parte vedo l'ideale, dall'altra mi scontro con il reale. La mia analisi non è come la vorrei.
Mi pento, ogni giorno, di essere caduta nelle trame del transfert, di amare e desiderare quell'uomo distante, lontano lo spazio di un tappeto fra due sedie. Mi pento di aspettare il suo amore, e mi pento di sentire la delusione del rifiuto astratto, delicato e indiretto.
Mi pento di aver creduto che l'analisi fosse uno scambio intellettuale, ideale, un eterno innamoramento che sa d'infinito.
Mi uccide vedere che la realtà è altro da me, che l'analista non è chi vorrei, e che, nonostante questo, ancora non concludo, ancora attendo l'inattendibile.
Penso che lo lascerò, che mi cercherò un altro analista, e che questa volta starò attenta a non farmi coinvolgere, a non cedere all'attraenza della parola. Penso che sarò meno ingenua, più consapevole, e che lui finalmente cadrà dimenticato nel limbo della memoria.
La fuga può essere salvifica, a volte...
Oppure no?

Ecrú


> Gentile Ecrú,

ci sarebbero molte domande che la sua lettera fa sorgere. Che il transfert non si distingua sostanzialmente dall'amore è qualcosa che Freud già sapeva, e l’esperienza di Breuer con Anna O. ne è l’esemplificazione concreta.
Proprio per questo però, all'interno della relazione analitica ci sono modalità atte a circoscrivere quest’esperienza, come fosse prodotta in laboratorio, perché possa essere finalizzata a muovere la cura anziché risolversi in se stessa.
Cosa è successo dunque nella sua analisi? Qualcosa è scappato di mano? Su questo non posso dirle niente, perché lei non mi dà informazioni in merito. Credo che la soluzione che lei si prospetta, di provare con un altro analista, sia una possibilità valida.
​Nelle Scuole analitiche in fondo l’esperienza del controllo e della supervisione hanno proprio la funzione di non lasciare nessuno in balia dell’esperienza dell’apprendista stregone, che non gestisce più le forze che ha messo in movimento, e il transfert è una forza straordinariamente potente, come lei ha imparato, diciamo, purtroppo a sue spese. 

Marco Focchi
1 Comment

Un forte rifiuto dell'altro a livello estetico

14/5/2020

0 Comments

 
Buonasera,
ho letto le precedenti domande e risposte sulla filofobia, che non sospettavo essere tanto discussa.
Mi chiedo se nei "sintomi" possa rientrare anche la ripulsa.
Dopo i primi approcci di flirt e attenzioni reciproche, mi è sempre capitato di provare un forte rifiuto dell'altro a livello estetico, come se un occhio clinico impietoso si spalancasse all'improvviso in me e mi convincesse che niente e nessuno sarà all'altezza del mio desiderio. Bastano minuscoli difetti fisici che fino a quel momento non avevo mai considerato.
Ho notato che succede sempre quando capisco che l'altro prova sentimenti nei miei confronti e desidera cominciare una relazione definita. Indipendentemente dalla presenza di sentimenti in me per l'altro, ecco che mi sento disgustata.
Di solito questa ripulsa mi porta a due diverse scelte: chiudere definitivamente con l'altro (anche in malo modo, rifuggendolo addirittura) o mettermi in un dilemma sentimentale che contrappone la voglia di darmi all'altra persona e la voglia di chiedere la sua "clemenza" e concedermi di rimanere solo amici, senza possibilità di sentimenti feriti.
Intravedo del narcisismo qui, e anche un bel po' di esperienze primarie sofferte.
Mi piacerebbe sapere il suo parere a riguardo.
Grazie in anticipo del suo tempo,

V. 



>Cara V.
nella descrizione del modo in cui si verifica per lei la ripulsa direi che c’è qualcosa  che va al di là del quadro della filofobia. Senza necessariamente forzare l’atteggiamento da lei presentato in qualche specifica categoria clinica, quel che appare è che c’è un rifiuto dell’altro che nasce come difesa da un radicale rifiuto di sé.

Si pensa al narcisismo in genere come all’autocompiacimento di chi ama se stesso facendo dell’altro un semplice satellite, o un complemento funzionale ad alimentare la propria auto-ammirazione.
Ma non è il solo modo in cui si presenta il fenomeno narcisistico. Esiste anche un narcisismo negativo, dove è mantenuto un ideale con il quale il soggetto sente di non coincidere, e che tuttavia nulla può intaccare, come se fosse un’ancora di salvezza. Il minimo difetto dell’altro appare dunque come un’attentato a questa purezza dell’ideale, che deve essere preservata ad ogni costo.
In questi casi il lavoro terapeutico deve andare in direzione della decostruzione dell’ideale che, evidentemente, per quanto il paziente lo senta come irrinunciabile, risulta disfunzionale.

Il suo caso, nel modo in cui lo descrive, mi sembra prendere più questa via che quella della filofobia. La paura di lasciarsi coinvolgere in una relazione sentimentale, facendo apparire un desiderio, quindi una mancanza, mette a repentaglio la purezza incontaminata dell’ideale a cui ci si aggrappa come all’unica soluzione fino al momento trovata.
​
La saluto cordialmente

dott. Marco Focchi
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Porta la fede al dito e io le ho detto che non mi fa piacere

9/8/2019

0 Comments

 
Buongiorno,
da qualche mese sono accompagnato ad una donna con cui ho un rapporto di fiducia, molto intimo e piacevole.
Lei è separata da anni in casa ed è perfettamente libera di avere la sua vita con me senza dare spiegazioni.
Però non ha la forza di separarsi legalmente e mi chiede di avere pazienza.
Intanto però porta la fede al dito e io le ho detto che non mi fa piacere.
La sua risposta è stata che è solo un oggetto ma che rappresenta comunque un suo percorso di vita passata.
E' giusto insistere perché se la tolga ? O deve essere una scelta sua completamente autonoma ?
Grazie

John



>Caro John,

Non è un problema di giustizia, ma di sensibilità personali. Quanto è importante per la sua partner mantenere un legame con la vita passata? Quanto è disturbante per lei vedere la donna con cui si accompagna non desiderare di separarsi da un vincolo che lei vorrebbe invece veder superato? Si tratta di parlarne tra voi in modo non superficiale e di capire quali valori e quali investimenti sono in gioco in quello che, visto da un angolo può apparire come oggetto senza particolare valore, e da un altro come un simbolo che intrattiene ancora legami difficili da sciogliere.
Cordiali saluti
Marco Focchi
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