ciao, ho 15 anni e da più di un anno da mi strappo le sopracciglia. poi da questa estate lo faccio con le ciglia.
vorrei smettere anche perchè mi piacciono le mie ciglia ma non riesco a smettere e non so il perchè. prometto sempre a me stessa che questa sarebbe stata l'ultima volta e che avrei smesso ma alla fine lo rifaccio. quando faccio i compiti o anche quando non faccio niente diciamo...ormai lo faccio un po a caso. non so come fare..consigli? RM >Cara RM, Il sintomo che tu mi descrivi è quello che viene abitualmente definito tricotillomania, tema sul quale puoi già trovare una precedente risposta su questa rubrica. I motivi per cui si verifica questo comportamento possono essere i più svariati, da situazioni di angoscia latente, a forme di autopunizione o di autodeturpazione che sfuggono alla coscienza soggettiva, e di cui evidentemente non ti puoi rendere conto da sola. Essendo le motivazioni profondamente inconsce e determinate dalla storia personale e relazionale, il consiglio migliore che posso darti è di sentire uno specialista che ti aiuti a trovare gli specifici fattori che riguardano il tuo caso per farli emergere e per poterli così trattare. Un cordiale saluto Marco Focchi
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Perché sono ossessionata dal fatto che il mio fidanzato mi tradisca, ogni volta che la paura mi assale, devo cercare risposte, “la verità” e quando vedo che non è così, sono serena. Spesso lo accusavo prima che mi mostrasse “le prove” e fosse tutto nella mia testa.. È come una dipendenza..ultimamente si presenta meno. Ho un passato burrascoso in termini di relazioni e spesso sono stata tradita..questo ragazzo ha sempre dimostrato di essere diverso, di contare molto per lui, mettendo a disposizione un’intera vita. Ora spesso mi evita a causa di qualche mio comportamento errato, rimango due giorni Max tranquilla e poi rimango male di qualcosa e sono piagnucolona, triste o arrabbiata. Il pensiero del tradimento si presenta meno e attualmente a lui, il motivo per il quale lo assillo spesso è la ricerca di attenzioni e tempo, la sua risposta è che ora dedica principalmente alla sua famiglia ed il suo lavoro, fui la priorità ed ha ricevuto solo male da parte mia.
Ale > Cara Ale, La gelosia femminile nasce in genere dal senso di non corrispondere alla figura femminile ideale che si immagina un uomo desideri. Cos’è una donna? Cosa vuole una donna? Verosimilmente neppure una donna lo sa, e si costruisce una sorta di idolo a cui somigliare. Per esempio, in un caso famoso di Freud, il caso di Dora, la paziente era rimasta per un tempo lunghissimo immobile in contemplazione della Madonna di Raffaello custodita nel museo di Dresda. Ai suoi occhi quell’immagine rappresentava la perfezione di una femminilità che le sembrava di non poter raggiungere. In un certo senso, ogni ragazza ha la propria Madonna di Dresda nella figura ideale di donna che immagina il proprio uomo possa desiderare. Sente di non somigliarle e questo scatena la sua gelosia, anche se non c’è una rivale concreta in carne e ossa, come nel tuo caso. Una gelosia assillante può però risultare soffocante per il compagno, può allontanarlo, come è successo a te. Per guarire da una gelosia patologica che attanaglia bisogna riuscire a sentirsi donna agli occhi del proprio compagno, e parlare con lui, anziché assediarlo di sospetti, sicuramente aiuta. Marco Focchi Sono vittima di un conflitto: da una parte vedo l'ideale, dall'altra mi scontro con il reale. La mia analisi non è come la vorrei.
Mi pento, ogni giorno, di essere caduta nelle trame del transfert, di amare e desiderare quell'uomo distante, lontano lo spazio di un tappeto fra due sedie. Mi pento di aspettare il suo amore, e mi pento di sentire la delusione del rifiuto astratto, delicato e indiretto. Mi pento di aver creduto che l'analisi fosse uno scambio intellettuale, ideale, un eterno innamoramento che sa d'infinito. Mi uccide vedere che la realtà è altro da me, che l'analista non è chi vorrei, e che, nonostante questo, ancora non concludo, ancora attendo l'inattendibile. Penso che lo lascerò, che mi cercherò un altro analista, e che questa volta starò attenta a non farmi coinvolgere, a non cedere all'attraenza della parola. Penso che sarò meno ingenua, più consapevole, e che lui finalmente cadrà dimenticato nel limbo della memoria. La fuga può essere salvifica, a volte... Oppure no? Ecrú > Gentile Ecrú, ci sarebbero molte domande che la sua lettera fa sorgere. Che il transfert non si distingua sostanzialmente dall'amore è qualcosa che Freud già sapeva, e l’esperienza di Breuer con Anna O. ne è l’esemplificazione concreta. Proprio per questo però, all'interno della relazione analitica ci sono modalità atte a circoscrivere quest’esperienza, come fosse prodotta in laboratorio, perché possa essere finalizzata a muovere la cura anziché risolversi in se stessa. Cosa è successo dunque nella sua analisi? Qualcosa è scappato di mano? Su questo non posso dirle niente, perché lei non mi dà informazioni in merito. Credo che la soluzione che lei si prospetta, di provare con un altro analista, sia una possibilità valida. Nelle Scuole analitiche in fondo l’esperienza del controllo e della supervisione hanno proprio la funzione di non lasciare nessuno in balia dell’esperienza dell’apprendista stregone, che non gestisce più le forze che ha messo in movimento, e il transfert è una forza straordinariamente potente, come lei ha imparato, diciamo, purtroppo a sue spese. Marco Focchi Buonasera,
ho letto le precedenti domande e risposte sulla filofobia, che non sospettavo essere tanto discussa. Mi chiedo se nei "sintomi" possa rientrare anche la ripulsa. Dopo i primi approcci di flirt e attenzioni reciproche, mi è sempre capitato di provare un forte rifiuto dell'altro a livello estetico, come se un occhio clinico impietoso si spalancasse all'improvviso in me e mi convincesse che niente e nessuno sarà all'altezza del mio desiderio. Bastano minuscoli difetti fisici che fino a quel momento non avevo mai considerato. Ho notato che succede sempre quando capisco che l'altro prova sentimenti nei miei confronti e desidera cominciare una relazione definita. Indipendentemente dalla presenza di sentimenti in me per l'altro, ecco che mi sento disgustata. Di solito questa ripulsa mi porta a due diverse scelte: chiudere definitivamente con l'altro (anche in malo modo, rifuggendolo addirittura) o mettermi in un dilemma sentimentale che contrappone la voglia di darmi all'altra persona e la voglia di chiedere la sua "clemenza" e concedermi di rimanere solo amici, senza possibilità di sentimenti feriti. Intravedo del narcisismo qui, e anche un bel po' di esperienze primarie sofferte. Mi piacerebbe sapere il suo parere a riguardo. Grazie in anticipo del suo tempo, V. >Cara V. nella descrizione del modo in cui si verifica per lei la ripulsa direi che c’è qualcosa che va al di là del quadro della filofobia. Senza necessariamente forzare l’atteggiamento da lei presentato in qualche specifica categoria clinica, quel che appare è che c’è un rifiuto dell’altro che nasce come difesa da un radicale rifiuto di sé. Si pensa al narcisismo in genere come all’autocompiacimento di chi ama se stesso facendo dell’altro un semplice satellite, o un complemento funzionale ad alimentare la propria auto-ammirazione. Ma non è il solo modo in cui si presenta il fenomeno narcisistico. Esiste anche un narcisismo negativo, dove è mantenuto un ideale con il quale il soggetto sente di non coincidere, e che tuttavia nulla può intaccare, come se fosse un’ancora di salvezza. Il minimo difetto dell’altro appare dunque come un’attentato a questa purezza dell’ideale, che deve essere preservata ad ogni costo. In questi casi il lavoro terapeutico deve andare in direzione della decostruzione dell’ideale che, evidentemente, per quanto il paziente lo senta come irrinunciabile, risulta disfunzionale. Il suo caso, nel modo in cui lo descrive, mi sembra prendere più questa via che quella della filofobia. La paura di lasciarsi coinvolgere in una relazione sentimentale, facendo apparire un desiderio, quindi una mancanza, mette a repentaglio la purezza incontaminata dell’ideale a cui ci si aggrappa come all’unica soluzione fino al momento trovata. La saluto cordialmente dott. Marco Focchi Buongiorno,
da qualche mese sono accompagnato ad una donna con cui ho un rapporto di fiducia, molto intimo e piacevole. Lei è separata da anni in casa ed è perfettamente libera di avere la sua vita con me senza dare spiegazioni. Però non ha la forza di separarsi legalmente e mi chiede di avere pazienza. Intanto però porta la fede al dito e io le ho detto che non mi fa piacere. La sua risposta è stata che è solo un oggetto ma che rappresenta comunque un suo percorso di vita passata. E' giusto insistere perché se la tolga ? O deve essere una scelta sua completamente autonoma ? Grazie John >Caro John, Non è un problema di giustizia, ma di sensibilità personali. Quanto è importante per la sua partner mantenere un legame con la vita passata? Quanto è disturbante per lei vedere la donna con cui si accompagna non desiderare di separarsi da un vincolo che lei vorrebbe invece veder superato? Si tratta di parlarne tra voi in modo non superficiale e di capire quali valori e quali investimenti sono in gioco in quello che, visto da un angolo può apparire come oggetto senza particolare valore, e da un altro come un simbolo che intrattiene ancora legami difficili da sciogliere. Cordiali saluti Marco Focchi Buonasera.
Sono il padre di un ragazzo di diciotto anni, molto introverso ma intelligente e con la passione del pianoforte. Sono settimane che mio figlio è chiuso nella sua stanza, non esce più con gli amici e non riesce più studiare. Mia moglie ha scoperto che chatta con una ragazza inglese con istinti suicidi, di cui lui si è innamorato perdutamente e fa di tutto per confortarla...notte e giorno... Abbiamo l'impressione che questa ragazza, oltre ad essere perversa, lo stia prendendo in giro. Cionostante mio figlio è succube. Giusto un accenno sul contesto familiare: sia io che mia moglie negli anni, essendo anche noi introversi, non abbiamo avuto molte frequentazioni esterne, uscite con amici, ecc.ecc. Da alcuni anni, con il subentrare della crisi economica, il mio lavoro di rappresentanza mi ha portato ad essere sempre più preoccupato per le sorti della mia famiglia, esternando anche in presenza di mio figlio, le preoccupazioni sempre più forti...Sono stato un padre severo, anche se negli anni sono migliorato tantissimo, con un approccio diverso coi miei due figli (l'altro figlio, sebbene anche lui tendenzialmente introverso, è più spigliato, fidanzato, pratica sport, ecc.). Mia moglie invece molto apprensiva, ha dedicato tutta se stessa per far sì che i nostri figli si aprissero al mondo (sport, musica, amici). È da molto che non abbiamo più serenità in famiglia, soprattutto a causa delle nostre condizioni economiche, che negli anni non ci hanno consentito viaggi, vacanze o altro... Temiamo per la sorte di nostro figlio, isolato da tutti e da tutto...abbiamo cercato di parlargli, di aprirsi, mostrando tutta la nostra disponibilità...È stanco, col viso appassito, gli occhi spenti... Non sappiamo a chi rivolgerci, non siamo nelle condizioni economiche ideali per affrontare questa situazione e ci appelliamo alla sensibilità di qualcuno che possa darci indicazioni, suggerimenti, consigli sul da farsi... Spero di avere un aiuto concreto da parte di chi leggerà questa mail. Ringrazio per l'attenzione e attendo con fiducia una mano tesa... Cordiali saluti >Gentile signore, lei mi descrive una situazione rispetto alla quale accentua in particolare modo il disagio economico derivato dalla crisi di questi ultimi anni. Certamente il benessere o la sua assenza sono fattori importanti nel determinare il nostro umore e la nostra apertura nei confronti del mondo, ma lei sembra farne un fattore di ostacolo per affrontare i disagi psicologici che sono intervenuti nella sua famiglia e che in particolare colpiscono suo figlio. Non credo in realtà che questo sia un ostacolo reale. Ci sono innumerevoli associazioni, sia nel pubblico sia nel privato, che offrono assistenza a costi molto modesti, quando non addirittura gratuitamente. Certo non potranno offrire una disponibilità di tempo pari a quella di un professionista ad hoc, ma possono certamente aiutarla a orientarsi nella complessa situazione che mi descrive. A distanza e senza conoscere suo figlio, qualsiasi consiglio risulterebbe parziale, perché offerto da un angolo visuale molti limitato. Potrei pensare che per suo figlio si tratti di una sindrome hikikomori, cioè di una chiusura e di un isolamento radicale dal mondo circostante, ma detto questo si tratterebbe di capirne le ragioni, e le informazioni che mi dà riguardano piuttosto il modo in cui lei percepisce la situazione. Sia dunque lei a fare il primo passo, cerchi uno di questi centri, senz’altro ce n’è uno anche nella sua città, e cominci a portare lì le sue questioni. Se le cose cominciano a muoversi a partire da lei, è possibile che anche per suo figlio si muova qualcosa, o che lei riesca a trovare l’angolo giusto per aiutarlo a uscire dalla chiusura in cui si trova. Un suggerimento però le darei: le valutazioni che fa sulla ragazza sono solo congetture, ed è meglio non le esprima con suo figlio, che probabilmente non è pronto o non è disposto a recepirle. Con i miei migliori auguri Marco Focchi Salve,sono una ragazza di 32 anni. Tra pochi mesi sposerò l'uomo della mia vita, che ho conosciuto solo 2 anni fa circa e ne sono molto felice. Lei dirà e allora perchè mi scrive? Le scrivo perché ho bisogno del suo aiuto per almeno capire come risolvere la mia situazione.
Purtroppo sono alcuni mesi a questa parte che lui non mi cerca sessualmente. Fino all'anno scorso i nostri rapporti erano abbastanza frequenti anche se lui non è mai stato focoso al massimo ma almeno nel rapporto mi faceva stare bene, Lui con me è amorevole e protettivo non mi fa mancare nulla, proprio per questo non capisco cosa sia successo per portarci ad allontanarci cosi tanto. Ho provato a parlarne con lui ma non mi dice nulla..solo una volta mi ha detto che la colpa è sempre al 50 e 50..ma cosa significa? Io non ho fatto nulla per portarlo ad essere così..sono attraente e non mi sono mai negata anzi. Ultimamente ho provato a trovare dei momenti x rimanere in intimità ma lui trova sempre qualcosa da fare..Temo che abbia un problema psicologico, che non riesca a lasciarsi andare..mi faccio mille pensieri su questa situazione ma oramai non ce la faccio più sto perdendo fiducia in me stessa. Vorrei tanto risolvere e iniziare questo percorso insieme con la massima serenità..La ringrazio qualora volesse darmi qualche consiglio in merito. Grazie e a presto! >Cara S., l’erotismo dipende da un gioco di equilibri fantasmatici molto complesso, e non stupisce che, soprattutto nel maschile, possa esserci una divergenza tra intesa sentimentale e attrazione erotica. Il fatto che il suo ragazzo non le dica nulla collima con il fatto che spesso i fantasmi erotici sono i più difficili da confessare, anche a se stessi, e quando ci si trova in difficoltà con se stessi è poi quasi un movimento spontaneo quello che porta a spostare parte della colpa anche sull’altro. Da qui, probabilmente, il fatto che il suo ragazzo le dica che la colpa è sempre metà per uno. Le suggerirei di non contraddirlo in questo, e di cercare di capire cosa lo traversa, consultando eventualmente un terapeuta di coppia che può aiutarvi a superare la vostra impasse. Un cordiale saluto Marco Focchi >> >>Ho appena letto la sua risposta e la ringrazio molto. Lei ha perfettamente ragione a dire che non devo contraddirlo, anche perchè altrimenti peggiorerei la situazione, ma il fatto sta tutto nel suo comportamento..Lei mi consiglia di consultare uno specialista, ed anche in questo ha ragione, ma purtroppo lui non è il tipo che racconta le sue cose in giro ed io anche in questo non posso andargli contro. Le confesso che in questi giorni sto cercando piano piano di fargli crescere la voglia (seppur per ora senza risultati) magari provocandolo con gesti e parole che possano farlo "sfogare" spero una volta per tutte..Io sono sicura che se riuscissimo a fare l'amore dopo tutto ciò torneremo come prima e forse anche meglio..lo spero con tutto il cuore. Un abbraccio. S Salve,
sono una ragazza di 23 anni, Le scrivo perchè temo di essere filofobica. Ho avuto solo una relazione nella mia vita, e questa è iniziata a 14 anni. Il mio ragazzo era molto amorevole e disponibile, io tuttavia dopo poco tempo ho iniziato a sentirmi in gabbia, e nonostante lui fosse molto importante per me, io avevo la necessità di "sedurre" altri ragazzi e di assicurarmi che io avessi il "potere" di attrarre questi. Inoltre sentivo la necessità di divertirmi esageratamente con le mie coetanee, e questo nella mia testa era impossibile con la presenza nella mia vita. Questa relazione è durata 5 anni più o meno, ed è finita veramente in malo modo, in quanto il mio ragazzo, stremato dai miei continui comportamenti di indecisione (lo lasciavo e lo riprendevo perchè ero incapace di prendere una decisione), ha anche tentato di farsi del male e di farmi del male verbalmente, umiliandomi, perchè non ne poteva più, quindi la nostra storia è finita dallo psicologo. Fattosta che a 19 anni io mi sono trasferita all'estero, ma ogni volta che rientravo, lo rivedevo sempre e già mi accorgevo di non essere "normale" nel sentirmi bene solo perchè in questa situazione ero io la parte "forte" della situazione, lui mi adorava e mi vedeva come un qualcosa di irraggiungibile. allo stesso tempo, nonostante io provassi qualcosa per lui non ho mai preso in considerazione l'idea di rimettermi insieme a lui perchè questo avrebbe comportato una limitazione alla mia libertà, che io adoravo e mi sembrava fosse la cosa più bella della mia vita. Preciso che in 4 anni che vivo da sola all'estero, ho avuto delle piccole "cotte", 1 o 2, che hanno reso la mia vita meno noiosa, ma non ho MAI avuto una relazione, neanche di breve durata. Questa strana "relazione" a distanza, che poi relazione non era perchè io non mi sono mai considerata fidanzata, anzi il solo pensiero mi faceva stare male, è durata ben 4 anni, fino ad oggi, momento in cui lui mi ha messo alle strette dicendomi di non essere più in grado di continuare in quanto ogni volta che io tornavo all'estero lui stava malissimo ed è qui che mi ha messo a scegliere: o stiamo insieme o non ci stiamo. Io lì per lì, ho risposto ovviamente e freddamente che non volevo stare insieme a lui, ma dopo averlo rivisto ho provato delle sensazioni di forte malessere; e mi sono accorta che questo malessere era, sia dato dal mio "strano" sentimento per lui, sia dal fatto di sentirmi debole e impotente di controllare i miei sentimenti. Cosìcchè ho rivalutato la situazione, e nel momento in cui ho visto il suo atteggiamento "duro" nei miei confronti (era veramente deciso a chiudere del tutto), non sopportandolo, ho preso in considerazione l'idea di farlo venire a vivere con me tra un pò di tempo, ma non ero e non sono assolutamente sicura della mia scelta. Da quel momento è iniziato per me l'inferno; vivo costantemente con la paura di aver fatto la scelta sbagliata, e di essermi creata la prigione di cui ho sempre avuto paura. vivo con la paura di non potermi realizzare a pieno con lui al mio fianco, e con la convinzione che questa scelta non è giusta in questo momento della mia vita, anche se dentro di me sono convinta che più avanti lui sarebbe diventato l'uomo della mia vita, ma NON adesso, sono molto instabile, alterno momenti in cui penso di riuscire a stabilire una bella relazione a momenti in cui penso di essermi chiusa in un inferno che ora non voglio. Mi capita spesso di voler giocare con qualche ragazzo, ma solo verbalmente, senza quasi mai concludere niente "nel concreto", perchè in realtà non ne ho interesse. Sono veramente confusa e non so come devo comportarmi, in quanto la responsabilità non riguarda solo me ma anche la vita di questo ragazzo (per venire qui da me lui lascierebbe il suo lavoro sicuro in Italia, e non è una cosa da poco visto che il lavoro dalle mie parti è una cosa molto rara). Mi farebbe piacere un suo parere. >Cara J., non direi che filofobia è il termine con cui definire la sua situazione sentimentale. Mi sembra piuttosto che suoi comportamenti rivelino una grande insicurezza, e sarebbe interessante capire da cosa le deriva. È un’incertezza nel suo rapporto con la femminilità? Sono dubbi che le vengono dalla sua storia famigliare? Ci sono matrici relazionali che ha interiorizzato e che le rendono difficile la decisione? Di fatto si può notare che per lei il mondo del possibile deve restare sempre tale, e non può tradursi nel mondo reale, perché evidentemente riportare il possibile al reale implica una scelta e dunque una perdita. Si tratta dunque per lei di stabilire una gerarchia di ciò che è importante per lei, di ciò che è irrinunciabile e per il quale può perdere qualcosa che è meno essenziale. Mi sembra sia qui per lei il punto difficile: sapere cosa può fare da bussola per la sua vita, e questo richiederebbe un approfondito esame per capire cosa la blocca sulla via della scelta. Prima di qualunque etichetta diagnostica, sarebbe dunque questo il punto da considerare. Un cordiale saluto, Marco Focchi Leggo in continuazione che le dipendenze patologiche da alcool e sostanze, cosi come gli stili di di vita disadattivi, possono essere trattate e risolti con una terapia fondata sul modello e sulla tecnica del Colloquio motivazionale (Rollnick e MIller, 1980), ma avendo delle conoscenze in ambito psicoanalitico e della psicologia analitica non riesco a comprendere questa enfasi, che tiene conto in modo esclusivo degli aspetti cognitivi e non emotivi, e quindi anche inconsci, della persona. Mi piacerebbe conoscere un suo parere. Grazie.
>Gentile E., spesso accade che alcune forme di psicoterapia vengano indicate come particolarmente indicate per qualche specifico disturbo. In realtà tutti i paradigmi terapeutici si propongono in genere per l’intera gamma dei problemi psicologici e la focalizzazione su alcuni particolari sintomi appartiene piuttosto alle presentazioni pubbliche e servono perché le persone possano riconoscersi e identificarsi in alcune problematiche. Vedere una particolare forma di psicoterapia come mirata a un particolare disturbo parte dal presupposto di considerarla esclusivamente come una tecnica, e credo che nessuna psicoterapia, che implica la relazione con un soggetto, possa essere ridotta a mera tecnica. Sicuramente non la psicoanalisi, che nel trattamento delle dipendenze e degli stili di vita disadattivi mette in gioco tutte le implicazioni inconsce che determinano le scelte di vita del soggetto. Un cordiale saluto Marco Focchi Buongiorno dottore, leggevo il suo interessante articolo sul partner sintomo e vorrei porle se possibile un paio di domande.
Lei parla di libera scelta del partner rispetto a quanto avveniva in passato, in cui il matrimonio era principalmente un contratto economico fra famiglie. Però mi pare di capire che anche oggi questa scelta tanto libera non è, siccome in qualche modo è il nostro sintomo a farci scegliere quel tipo di partner. E' una scelta dettata dal sintomo. Si può ancora considerare "libera" in questa prospettiva? Un' altra questione riguarda il passaggio in cui si dice che la donna per l'uomo non è un simile, con i suoi effetti sul piano immaginario. E per quanto riguarda le coppie omosessuali, come funziona? Spero abbia tempo di rispondere a queste mie curiosità e la ringrazio anticipatamente, cordiali saluti, E. >Gentile E. sicuramente ha ragione: le nostre scelte sono dettate da condizioni inconsce e, in un certo senso, sono fortemente determinate. Parlare di libertà è piuttosto complesso in psicoanalisi, e per esempio Lacan diceva di non parlarne mai. Dovremmo forse però innalzarci a una posizione spinoziana, dove l’estremo della necessità coincide con il massimo di libertà. Senza comunque entrare in meandri metafisici, la differenza tra il matrimonio delle società patriarcali, o borghesi, e quello attuale, è che un tempo si trattava di un contratto economico, che riguardava un sistema di alleanze tra famiglie, e che in genere veniva stabilito in base a precise regole di scambio. I matrimoni delle coppie regali sono l’esempio perfetto di questo. Oggi le persone si scelgono, nei casi migliori, per amore, e questo cambia molto la situazione: una cosa è sposarsi in base alle costrizioni economico sociali esterne, altra cosa è sposarsi in base alle proprie spinte (e se vogliamo costrizioni) interiori. Naturalmente il fatto che i matrimoni moderni siano d’amore più che di scambio contrattuale fa sì che spesso durino meno, perché l’amore è una forza più turbolenta e meno stabile dello scambio commerciale! Vengo ora alla sua domanda sulle coppie omosessuali: non cambia nulla rispetto alle coppie eterosessuali. Il partner uomo di un uomo non è un simile, e il partner donna di una donna egualmente non lo è. Essere simili non significa essere dello stesso sesso, ma appartenere alla stessa specie umana, e nell’amore, etero o omosessuale, Eros mette in gioco qualcosa di follemente divino che ci rende dissimili, come Albertine per Proust. che è per lui talmente incomprensibile da doverne fare prima la prigioniera, poi la fuggitiva, ma mai il partner di uno scambio in eguaglianza. È vero che sul piano dei diritti siamo tutti eguali, ma l’amore non riguarda il piano dei diritti. Un saluto cordiale Marco Focchi |
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Maggio 2021
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