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Refrattario alla scuola

3/3/2017

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Gentile dottore,
nostro figlio Luca, di 13 anni, è refrattario alla scuola. È sempre stato così, non è una novità, ma speravamo che negli anni gli sarebbe passata questa cosa.. Praticamente tirarlo giù dal letto la mattina è un'impresa, e spesso si arriva in ritardo a scuola perché in qualche modo riesce sempre a perdere tempo. Quando era piccolo piangeva o faceva finta di essere malato. Ora è lui stesso a dire che non gli interessa, che è una perdita di tempo, che se stesse a casa a navigare su internet imparerebbe molte più cose (ma mi sa che questa è solo una scusa). 
Idem per quanto riguarda i compiti, i pomeriggi sono un'agonia nel tentativo di farglieli fare, gli diciamo sempre fai prima i compiti e poi fai quello che vuoi,.  ma spesso si avvicina la sera e deve ancora iniziare. Abbiamo provato a metterlo in punizione, a toglierli il computer, ma l'unico effetto è che si chiude immobile sul divano o sul letto, e di certo non si mette a studiare. Ora la cosa ci preoccupa molto, perché considerati i molti anni di istruzione che dovrebbe avere ancora davanti, con questo atteggiamento non riuscirà ad andare avanti ancora per molto. Noi siamo entrambi laureati e l'idea di avere un figlio che finite le medie non voglia più studiare è qualcosa che non riusciamo nemmeno ad immaginare. Come possiamo fargli capire l'utilità ma anche la bellezza del conoscere? Mi sembra impossibile che in lui non ci sia il minimo stimolo. Ha dei suggerimenti, dei comportamenti da mettere in pratica per fargli cambiare atteggiamento?
Grazie mille e un cordiale saluto,

S. T.


>Gentile signora,

si possono adottare molti comportamenti possibili. Innanzi tutto in cosa siete laureati? Si tratta di materie con argomenti che potrebbero essere condivisi con vostro figlio? Questo sarebbe il punto di partenza migliore: farlo partecipare di quel che piace a voi. Se si tratta di questioni troppo tecniche, per appassionarlo alla cultura e alla conoscenza si possono condividere momenti di visita ai musei della città: un ragazzino di tredici anni ha già l’età per poterlo fare in modo attivo. A volte trovo nei musei giovani coppie con figli molto piccoli, di cinque o sei anni, che discutono con loro davanti a un quadro, facendogliene vedere dei particolari o raccontandogli le storie che rappresenta. Il bambino partecipa per stare con i genitori, per avere la loro vicinanza, per godere del loro affetto, ma un po’ alla volta si innamora delle cose che anche loro amano, e diventa  poi autonomo nel cercarle e nel coltivarle. Occorre costruire man mano questa consuetudine con le diverse dimensioni del pensiero, con elasticità, senza forzare la mano se il ragazzino si annoia, ma essendo presenti e accompagnandolo nel entrare in contatto con quel che mostra di apprezzare.
In un certo senso, non si spiega “l’utilità e la bellezza del conoscere” come lei giustamente si esprime, ma lo si fa partecipare fino a che non si sprigioni la scintilla  che lo porterà ad amare e a cercare autonomamente la cultura.
Le cose della scuola vanno portate fuori dalla scuola, per mostrare che non sono solo fatica di imparare in modo burocratico, e perché queste cose si aprano e si connettano con la vita, con le relazioni importanti, che per il momento siete principalmente voi. Avete ancora tempo prima che l’adolescenza lo porti in sfere diverse della vita, ma un tempo da non perdere.

Un saluto

dr. Marco Focchi
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