Buongiorno, sono il padre di un bambino di 13 anni, ho letto con attenzione il suo libro e vorrei porle una domanda su quello che lei definisce il peso delle parole, ovvero la differenza fra spiegazione e affermazione. Il tema mi ha dato da pensare sul modo in cui io e mia moglie ci comportiamo con nostro figlio. Lei tende ad essere più autoritaria, a dare degli ordini, è così perché è così, io invece tendo a voler spiegare le motivazioni delle cose che "ordino" a Michele. Il problema è che non sono sicuro di quale sia il modo giusto, ed il più efficace. Da un lato mi dico che forse dovrebbe essere prerogativa maschile il dare ordini anche senza spiegazioni, cosa che invece nella nostra famiglia fa mia moglie, dall'altro mi rendo conto che nostro figlio alla fine ascolta più mia moglie e spesso ascolta le mie spiegazioni con lo sguardo fisso come se stesse pensando ad altro, come se aspettasse solo che la mia spiegazione finisca per poi comunque disubbidire, la maggior parte delle volte. Dunque sbaglio? Dovrei essere più fermo e non tentare a tutti i costi di dargli spiegazioni? Io penso che dando delle spiegazioni lui possa imparare il perché delle cose, e accettare le mie direttive anche in quanto consigli. Ma forse per certe cose è troppo piccolo, e non le capisce. Oppure non vuole capirle?
La ringrazio se potrà spendere due parole per approfondire questo aspetto che io ritengo nel mio caso molto importante. Le faccio i miei complimenti per il libro, un cordiale saluto, F.S. >Gentile F.S., la questione non si pone come un’alternativa tra dare ordini e dare spiegazioni. In primo luogo non direi che l’espressione “dare ordini” è quella che meglio si attaglia a definire il rapporto con un figlio. Fa pensare più a una caserma. Occorre invece che quel che si dice abbia conseguenze nei fatti, che non ricada nei ritornelli del tipo: “Te l’ho detto e ridetto mille volte e tu non mi ascolti”. Se qualcosa è da fare lo si fa, e si tratta di dare le consegne con la dovuta serietà, facendo capire che non ci si può girare attorno, che è in gioco qualcosa di importante. I ricatti del tipo: “Se non fai i compiti non puoi giocare alla play station” o simili sono quanto vi è di più inutile e tardivo. Non si tratta di togliere un oggetto, un gioco, o uno svago, ma di far sentire che disobbedire compromette qualcosa di molto più importante nella relazione con l’adulto. È nella relazione il punto di forza, non negli oggetti. Le spiegazioni sono poi certamente importanti, sono parte essenziale del rapporto educativo. Ma le spiegazioni non devono essere giustificazioni. Si può chiarire come funzionano o devono funzionare le cose, ed è bene farlo, ma se la spiegazione è sentita dal bambino come giustificazione, suona sempre come una sorta di "excusatio non petita”. L’adulto non deve aver paura di porre in gioco la propria autorevolezza, e non ha bisogno di nascondersi dietro le razionalizzazioni. Il valore promulgativo della parola è indipendente dalle razionalizzazioni che la accompagnano. Non abbia preoccupazioni poi sul problema dei ruoli. È passato il tempo in cui i ruoli erano fissi, in cui “il papà legge il giornale e la mamma cuce”. Che la fonte d’autorevolezza sia maschile o femminile non cambia molto. Il suo problema, mi par di capire, è che lei conta di fondare il peso delle parole sulle spiegazioni, mentre le spiegazioni e l’autorità servono entrambe, ma sono indipendenti. Un saluto cordiale, dott. Marco Focchi
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AutoreMarco Focchi riceve in Archivi
Febbraio 2025
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