Alessandra Milesi
Quello che vedete nella foto è il più antico organetto ottocentesco che si conservi e, pare, ancora funzionante. Nell’espressività idiomatica della nostra lingua l’organetto non è particolarmente valorizzato: suonare l’organetto significa fare qualcosa di ripetitivo e noioso, senza fantasia o creatività. Vi dice niente questo? Non vi fa pensare ad alcune relazioni di coppia che dopo i primi momenti di accensione entrano in una routine grigia e monotona, svuotata di desiderio, puramente amministrativa? Non dobbiamo essere ingiusti però con lo strumento: in mano a un maestro l’organetto può produrre cose straordinarie, non per nulla è una delle colonne della musica popolare. Nella routine di coppia può esserci qualcosa di analogo: in fondo a volte il terapeuta deve riuscire a tirar fuori le melodie migliori dall’organetto, perché davvero per la coppia cambi musica!
0 Comments
Se fossi GIorgio Morandi avvolgerei questa preziosa costruzione di volumi in una sinfonia di sfumature d beige, grigi, ocra, terra di Siena, per creare le silenziose e ipnotiche armonie del maestro bolognese. Non essendolo, mi limito a presentare la spontanea bellezza ed eleganza di questa composizione, dovuta al talento fotografico di Lorenzo Girodo. Si tratta di una bottiglia di liquore di lauro, il laurino, che sgorga dalle essenze naturali del Monferrato, i cui toni di verde scuro si sposano magicamente con i melograni e il kiwi del vassoio. Raramente i matrimoni che vediamo nei nostri incontri di terapia di coppia sono fortunati come quello così intrigante di questa natura morta che contraddice il suo nome esprimendo una piena, inestinta vitalità, e che la forza del liquore fa conoscere in modo inequivoco al palato. Ma è con la nostra azione terapeutica, non con il liquore, che cerchiamo di rianimare le lanche stagnanti in cui a volte ricadono alcuni drammi coniugali. di Alessandra Milesi Qualche giorno fa, camminando in un piccolo parco milanese, il mio orecchio è stato attratto dal suono di una voce accompagnata alla chitarra. Ho seguito l’indizio uditivo, che diventando sempre più sonoro, mi ha portato in un angolo del perimetro del parco, dove c’è la coppia che vedete nella fotografia. Il cantante, dalla voce profonda e calda, è intonato ed espressivo. Suona molto bene anche la chitarra, arricchendo gli accordi con piccoli passaggi virtuosistici. La signora accanto a lui muove le labbra senza emettere suoni, ma mima i testi delle canzoni con precisione e li sottolinea con gesti, sguardi e sottili espressioni corporee, creando una sorta di teatro. Mi faccio coinvolgere, come altre persone di varie età intorno a me, dal repertorio di canzoni degli anni ‘70 e realizzo che quello che sto ascoltando e osservando è un duo particolarmente affiatato, e non solo dal punto di vista musicale. Il cantante è marcatamente più giovane della signora; lei senz’altro è stata bella, ancora se ne vedono le tracce, è aggraziata e delicatamente truccata. Durante una breve pausa la signora gli prende la mano e gli fa osservare le nuvole che si stanno accendendo di rosa, preannunciando il tramonto. Si guardano negli occhi, lui si stringe a lei e poi riprendono a suonare. Forse, ho immaginato, si sono conosciuti quando lui era trentenne e lei poco più che quarantenne, un amore passionale che li ha uniti e che ha attraversato chissà quali eventi, belli e meno belli, come in tutte le vite, un amore che ha attraversato il tempo. Prima di tornare a casa mi sono avvicinata per salutarli e ho chiesto se era da tanto tempo che suonavano insieme. Lui mi ha risposto:”Una vita”. Meravigliosi! Alessandra Milesi Ricevo una chiamata da una collega parigina. Ha fatto alcuni incontri con un manager di un’importante multinazionale, che a breve si sposterà in Italia. Mi chiede se ho spazio per prenderlo in carico ed è così che Eric arriva nel mio studio. È francese, ha appena compiuto 40 anni. Io conosco il francese, lui conosce l’italiano. Così decidiamo che ognuno di noi si esprimerà nella sua lingua madre, condizione ideale in questi casi. Alessandra Milesi Una giovane donna chiede di vedermi perché da qualche mese non sta bene, “forse è ansia”, dice incerta. Non è un problema che le impedisce di andare al lavoro, frequentare gli amici, condurre una vita apparentemente normale. Però, dice di sentirsi “non a posto”, non rilassata, come se avvertisse un sottile malessere quasi fisico che le impedisce di essere serena. Noi psicologi sappiamo bene quante volte l’ansia venga descritta come un qualcosa di fisico, che si sente nel cuore o nello stomaco. Da qualche settimana fa anche fatica a dormire e sta assumendo prodotti fitoterapici, che però non l’aiutano granché. Una sua amica, che è stata mia paziente, le ha messo in mano un biglietto con le mie coordinate…ed eccola qui. Lucrezia è una graziosa ragazza di 26 anni. Dopo avermi descritto come si sente, le chiedo di parlarmi di cosa fa, della sua famiglia e della sua vita di relazione. E’ figlia unica di due genitori che lei descrive con stima e affetto e che vede come innamorati e affiatati. Dopo la laurea in giurisprudenza, lavora come praticante presso uno studio legale e intanto studia per l’esame di stato. Da nove anni sta con Mattia, che è di due anni maggiore e anche lui figlio unico. Frequentano da sempre i reciproci genitori, che li considerano come dei secondi figli e con cui hanno fatto spesso le vacanze quando erano più giovani. Da poco più di un anno convivono in un appartamento che Mattia ha ereditato da una zia materna e, con i loro stipendi (Mattia lavora come informatico presso una solida azienda), se la cavano senza problemi, permettendosi anche dei bei viaggi durante le ferie, soprattutto quelle estive. Gli amici li considerano una “coppia di ferro”. Quando vedo Lucrezia la settimana successiva, esordisce con tono più veemente rispetto al primo incontro, e mi parla del suo rapporto con Mattia in modo diverso, più approfondito e più vero. Le sembra che le cose non siano più come una volta. Litigano spesso, senza riuscire a trovare né un’integrazione delle diverse posizioni, né l’accettazione di opinioni divergenti, come se questo rappresentasse di per sé un allontanamento. E così, l’allontanamento temuto, diviene un passaggio all’atto. Si tengono il muso per diversi giorni, non fanno l’amore, mangiano in silenzio. A un certo punto, chi si riavvicina è lei, che dice di “stare troppo male in quella situazione”. La pace fatta non riporta a un equilibrio soddisfacente e per di più è di breve durata:qualcosa lasciato in disordine da uno dei due, desideri diversi su cosa fare o su che amici frequentare, opinioni opposte su fatti avvenuti scatenano i litigi. Nel corso dei nostri incontri, Lucrezia lavora bene e capisce molte cose di sé. Diventa anche consapevole di non essere più innamorata di Mattia da qualche tempo, perfino da prima dell’inizio della convivenza, ma di non essere stata in grado non solo di vederlo, ma neppure di concepirlo. Crescendo hanno perso quelle affinità che li avevano avvicinati tanti anni prima; le differenze tra loro, che potenzialmente potrebbero rappresentare un arricchimento e un completamento reciproco, aprono a una continua guerriglia. L’ansia di Lucrezia ha quindi a che vedere con la difficoltà di accettare che l’amore possa finire e, in pari misura, con la difficoltà di prendere l’iniziativa di lasciarsi, decisione che Mattia, pur dichiarandosi insoddisfatto del loro rapporto, non condivide. Non è facile chiudere un rapporto importante, neppure quando i momenti belli o sereni sono solo un ricordo. Non è facile neppure se non c’è un vincolo matrimoniale o patrimoniale, se non ci sono dei figli. Non c’è mai un unico motivo alla base di questa difficoltà, si tratta di configurazioni complesse, che hanno a che fare con il vissuto reale e simbolico di chi ci si trova dentro. Anche per Lucrezia è così, e non entrerò nel merito delle cose più profonde e soggettive, che richiederebbero una più ampia esposizione del caso clinico. Due elementi meritano però di essere sottolineati, proprio per il loro carattere più generale e che ho ritrovato in altri casi che presentavano la stessa problematica. Il primo è la giovane età in cui il rapporto affettivo è iniziato, insieme alla lunga durata. Il legame che si crea in questi casi contiene anche la proiezione nell’altro di un sé ancora in evoluzione, e questo crea una doppia difficoltà al momento del distacco. La persona sente di chiudere con l’altro ma anche con una parte fantasticata di sé, una parte mai realizzata di cui si deve fare il lutto. L’altro elemento è l’ideale di coppia perfetta con cui ci si misura e che, se non raggiunto o mantenuto, convoglia un senso di fallimento. Per Lucrezia l’immagine è reale, rappresentata dal rapporto ben funzionante dei genitori. In altri casi può essere un ideale interiore, contrapposto all’aver avuto genitori separati o litigiosi. Alessandra Milesi Molte volte, e sempre più spesso negli ultimi anni, mi è capitato di ricevere domande di presa in carico clinica da donne che, pur all’interno di peculiarità individuali, presentano alcune caratteristiche comuni. Si tratta di donne intelligenti, con una personalità ben disegnata, che hanno studiato. C’è un sottile tratto di insicurezza che traspare dai loro racconti, che ha fonti diverse e che non ha impedito loro una vita soddisfacente in vari ambiti. Tutte hanno una passione artistica, collegata direttamente ai loro studi, o sviluppata in modo tangenziale partendo comunque dagli stessi. Definisco “artistici” in senso ampio questi interessi o passioni, intendendo fotografia, scultura, design, pittura, musica; proprio la loro natura è, credo, collegata alla configurazione che sto per descrivere. Infatti, queste donne hanno compiuto diversi anni fa una scelta ben ponderata e abbracciata con convinzione, senza apparenti forzature o pressioni esterne: quella di rinunciare a mettere a frutto gli studi fatti (o, in alcuni casi, a lasciare un lavoro promettente in tal senso) per dedicarsi interamente alla famiglia e a crescere i figli. Contrariamente a quello che qualcuno potrebbe supporre, queste madri non compensano attraverso i figli la rinuncia fatta. Anzi, sono madri presenti e attente, ma non invadenti. Buone madri e non madri perfette. Non proiettano nei figli se stesse, ma ne riconoscono l’unicità e li aiutano a farla emergere e a svilupparla, di concerto con il partner che coinvolgono nei discorsi e nei progetti. Insomma, in linguaggio psicoanalitico, non sono madri falliche; proprio per questo sanno misurare i bisogni dei figli in modo quantitativo e qualitativo. Così, quando i figli entrano nell’adolescenza, si configura un nuovo scenario. Da un lato, diventano ancora più importanti attenzione e sensibilità ai continui cambiamenti e talvolta a nuove problematiche che figli fino a quel momento “facili” da crescere possono presentare, mentre dall’altro lato l’accresciuta autonomia dei ragazzi libera spazi di tempo concreti. In questa fase, le passioni e gli interessi sospesi o dimensionati reclamano in modo più o meno cogente la loro realizzazione. Ma perché queste donne arrivano in consultazione? Tornando a quanto accennavo sopra: in linea generale, avere studiato una materia che non si trasforma in lavoro fa sì che questa entri a far parte del patrimonio di sapere ma non dell’identità personale, mentre le passioni e gli interessi artistici conservano sempre un potenziale di espressione. Cosa da sottolineare è infatti che in queste donne le passioni di cui parliamo sono sempre state presenti, sospese o dimensionate, dicevamo, ma parte di sé riconosciuta e custodita a un certo livello di consapevolezza. Quello che serve ora è che questi interessi vengano sfoderati, tolti dalla custodia, sviluppati e utilizzati; il lavoro terapeutico va in direzione di un’autorizzazione a farlo, non scontata, che la donna si deve dare. Ho osservato come l’altro passaggio essenziale e difficile sia il riconoscimento da parte del partner, che se assente può condizionare la libertà che la donna si dà nel portare avanti i suoi progetti. Infatti, se in lei, come dicevamo sopra, queste passioni sono rimaste come costituenti il sé, il partner non le ha viste e accoglie con stupore o con sufficienza il loro emergere. Difficilmente le apprezza con spontaneità o spinge la compagna a realizzarle. Talvolta c’è una paura inconscia che la novità possa destabilizzare la coppia. Allora qui le strade sono essenzialmente due, e in entrambe la terapia può aiutare. La prima è far capire al giusto tempo e nel giusto modo il posto e il ruolo che questo cambiamento può portare in termini di soddisfazione di sé, arrivare ad aprire lo spazio a un confronto di interessi e idee che c’è stato in altri campi e che può essere rinvigorente anche per la coppia. Spesso questo dialogo spinge il partner a essere incoraggiante e partecipativo. Se questo non succede, o non succede in tempi accettabili, si apre la seconda strada, quella di autorizzarsi ad andare avanti anche senza questo apprezzamento e questa condivisione. Alcune volte, è solo quando l’interesse o la passione diventano un progetto remunerativo, un lavoro “vero”, che qualcosa cambia. di Alessandra Milesi Conosco Ferruccio a una festa organizzata da Alessandro, un amico comune. Scambiamo qualche frase di circostanza, poi, senza preamboli, Ferruccio mi dice di essere in un momento molto difficile per lui: ”Sono veramente giù di corda”. Sa da Alessandro che sono psicologa e mi chiede se posso dargli un appuntamento in studio. Capisco che se avessi cercato di indirizzarlo a un collega, non sarebbe partita alcuna terapia. In qualche modo, come talvolta succede, quel breve contatto avuto durante la cena ha innestato una relazione transferale. Durante le prime sedute si configura con una certa chiarezza la problematica di fondo di Ferruccio, su cui avremmo poi lavorato insieme. Ferruccio ha 34 anni ed è quello che si definisce un bell’uomo. Ha un discreto successo nel campo in cui lavora, quello del giornalismo e della scrittura. Non è famoso, ma è stimato nell’ambiente sia come giornalista, sia come insegnante. Lui mi dice, senza arroganza, di sentire però di non essere abbastanza riconosciuto nella sua parte più creativa, la scrittura; questo tema torna durante la terapia, intersecato con quello dell’amore, anche se non in primo piano. Una volta, partendo da un sogno, mi dice: ”La notorietà che sento di meritare, testimonierebbe il riconoscimento da parte di tutti del mio valore”. L’evento che porta Ferruccio a chiedere aiuto appartiene a un altro ambito, quello affettivo. Intervista a Miquel Bassols 1- La domanda d'analisi nel XXI secolo riguarda la sofferenza causata dalla solitudine? Come sono le solitudini contemporanee? Anche quando non costituisce un motivo esplicito della richiesta di colloquio, la solitudine del soggetto contemporaneo si avverte fin dai primi istanti dell'incontro psicoanalitico. "Testimone della solitudine", scriveva Lacan già negli anni '30 per indicare la funzione di colui che prende atto di questa condizione inerente all'essere parlante. E continua ad essere così. Il che permette anche di chiedersi cosa sarebbe una solitudine senza testimone, una solitudine elevata alla seconda potenza per così dire, fino a una solitudine che non sa di esserlo. "Era solo ma non lo sapeva", potremmo dire seguendo il paradosso di quel sogno freudiano: “Era morto ma non lo sapeva". di Alessandra Milesi L’immaginario di ciascuno – anche di noi terapeuti – quando si parla di terapia sessuale corre a Masters e Johnson: un intervento centrato sull’ansia, i tabù e l’inibizione, e quindi un paradigma efficace soprattutto per disturbi chiaramente connessi all’ansia di prestazione. Parallelamente, la terapia di coppia, di ascendenza principalmente sistemica, tende a subordinare la dimensione sessuale a quella relazionale, ritenuta la base di qualunque problematica di coppia. Ulrich Clement inizia il suo libro con una riflessione critica approfondita e documentata sull’argomento. Nella sua prospettiva, tutti gli approcci derivati dalle idee di Masters e Johnson sottovalutano nelle dinamiche sessuali il peso di aspettative e desideri. Noi stessi, pensando alle problematiche sessuali portate dalle coppie che seguiamo nella pratica clinica, rileviamo quanto queste siano oggi più spesso legate al desiderio che non all’ansia di prestazione. Inoltre, quello di Masters e Johnson rimane un modello normativo: se demitizza l’orgasmo vaginale, mitizza però quello clitorideo. Instaura così un modello di deficit, che legittima l’intervento secondo una prospettiva direttiva come quella comportamentale, attraverso un’educazione che porti a sviluppare competenze prima assenti, enfatizzando le mancanze a scapito delle risorse. Maria ha sessantasette anni quando viene da me per il primo colloquio. Il problema che l’ha portata a chiedere l’aiuto di una psicologa è singolare. Non è facile farla aprire, perché è molto timida e si inceppa spesso nello spiegarmi cosa la preoccupa. Succede che la domenica, quando si trova a pranzo a casa della sorella maggiore con gli altri fratelli, i suoi figli e i nipoti, il suo ruolo è quello di aiutare a preparare le pietanze, servire tutti gli altri a tavola, sparecchiare e mettere in ordine la casa quando la giornata volge al termine. “Spesso non digerisco neppure”, mi dice. Si sente umiliata e vorrebbe sottrarsi a quest’obbligo, ma non riesce a farlo. Nel corso dei colloqui successivi, raccolgo gli elementi necessari a inquadrare la situazione. I genitori di Maria, nati in un piccolo paese friulano, erano venuti a Milano per cercare un lavoro che consentisse loro di mantenere i tre figli già nati. A Milano nascono poi Maria e altri due figli. Maria si trova quindi a essere la figlia di mezzo, che i più grandi non considerano molto e che bada ai più piccoli per dare una mano alla madre. Frequenta la scuola fino alla terza media, poi resta a casa ad accudire i fratelli e, ad appena diciassette anni, comincia a lavorare in fabbrica. A vent’anni lascia il lavoro e si sposa con un uomo che la abbandonerà con i tre figli maschi qualche anno dopo. “Avevo voglia di uscire di casa”, ricorda, “l’ho sposato anche se sapevo che non era adatto a me”. Così, torna nella casa d’origine, dove saranno sua madre e le sorelle nubili di Maria ad allevare i suoi figli, mentre lei riprende a lavorare in fabbrica per mantenerli e, più tardi, a stirare di notte per farli studiare all’università. Le sorelle di Maria seguono i ragazzi con dedizione e affetto. Si stabilisce un patto implicito in cui Maria, sentendosi in obbligo con loro, ricambia la domenica facendo i mestieri e stirando per tutti; il patto, sebbene i figli siano adulti e autonomi, continua silenziosamente a essere ribadito ogni domenica. In una fase avanzata della terapia, Maria, che ha acquisito più sicurezza e consapevolezza, fa l’unico sogno della sua vita che ricordi al risveglio. L’interpretazione porta a vedere la rabbia intensa che Maria prova, pur non riconoscendola manifestamente, non solo per suo ruolo di Cenerentola, ma anche per il legame profondo e spontaneo che i suoi figli hanno con le sorelle. Nel sogno la rabbia è rappresentata da un uragano che rade a terra un intero paese: Maria teme che la sua aggressività venga fuori distruggendo i rapporti familiari e cerca di controllarla. Dalla seduta successiva, la leggera balbuzie di Maria scompare per sempre. Continuiamo a lavorare, tornando sui temi dell’autostima e della rabbia a lungo repressa e collegandoli alle dinamiche che connotano le relazioni familiari e quelle amicali, spesso nodose, di Maria. Finalmente Maria decide di parlare ai figli e alle sorelle. Non è mai troppo tardi, potremmo dire, per cambiare qualcosa di sé se si ha motivazione e flessibilità. |
Problemi di coppiaLa coppia contemporanea ha un desiderio legittimo: stare bene insieme.
I cambiamenti culturali, sociali ed economici degli ultimi decenni hanno inciso profondamente sulle aspettative e sugli obiettivi dello stare in coppia. Se in un passato ancora vicino l'essere coppia si sovrapponeva quasi completamente all'essere famiglia, oggi la coppia è qualcosa di unico e diverso, ci siano o meno dei figli. > Continua a leggere Dott.ssa Alessandra MilesiPsicologa clinica, esercita a Milano, dove riceve in viale Gran Sasso 28,
Email: [email protected] È iscritta all'Ordine degli psicologi della Lombardia, n. 5451. La pratica clinica è il cuore della sua attività, che si rivolge a individui, coppie e famiglie, con cui ha maturato una lunga e articolata esperienza. L'idea centrale del suo lavoro è quella di offrire percorsi personalizzati, in grado di rispondere alla varietà e alla particolarità delle problematiche contemporanee. Ha preso parte a diversi progetti di ricerca, ed è autrice e coautrice di articoli pubblicati su riviste italiane e straniere. Ha inoltre lavorato nell'ambito del Servizio pubblico, svolgendo attività di formazione e supervisione. > Leggi il profilo completo |