di Alessandra Milesi L’immaginario di ciascuno – anche di noi terapeuti – quando si parla di terapia sessuale corre a Masters e Johnson: un intervento centrato sull’ansia, i tabù e l’inibizione, e quindi un paradigma efficace soprattutto per disturbi chiaramente connessi all’ansia di prestazione. Parallelamente, la terapia di coppia, di ascendenza principalmente sistemica, tende a subordinare la dimensione sessuale a quella relazionale, ritenuta la base di qualunque problematica di coppia. Ulrich Clement inizia il suo libro con una riflessione critica approfondita e documentata sull’argomento. Nella sua prospettiva, tutti gli approcci derivati dalle idee di Masters e Johnson sottovalutano nelle dinamiche sessuali il peso di aspettative e desideri. Noi stessi, pensando alle problematiche sessuali portate dalle coppie che seguiamo nella pratica clinica, rileviamo quanto queste siano oggi più spesso legate al desiderio che non all’ansia di prestazione. Inoltre, quello di Masters e Johnson rimane un modello normativo: se demitizza l’orgasmo vaginale, mitizza però quello clitorideo. Instaura così un modello di deficit, che legittima l’intervento secondo una prospettiva direttiva come quella comportamentale, attraverso un’educazione che porti a sviluppare competenze prima assenti, enfatizzando le mancanze a scapito delle risorse. Clement, sul piano teorico, sembra separare la dimensione del sesso dalla dimensione della coppia, così che nessuna di queste due variabili abbia un primato sull’altra – coppia come conseguenza del sesso in Masters e Johnson, sesso come conseguenza della coppia per i terapeuti sistemici. La concezione dei disturbi sessuali come disturbi di relazione è, secondo lui, discutibile (ci sono coppie funzionanti senza sesso e viceversa): la dinamica sessuale non è semplicemente dinamica di coppia. Se la qualità del legame tra i partner è data dalla loro storia, il desiderio ha una dinamica diversa: oscilla tra tendenze fusionali e ricerca di differenza. Ogni coppia sviluppa una sua sessualità, che non è riconducibile a modelli normativi. La terapia secondo Clement non punta a eliminare sintomi funzionali, ma a sviluppare il potenziale erotico della coppia. Già qui emerge una posizione clinicamente, e anche eticamente, interessante: il terapeuta è legittimato a sganciarsi dagli ideali comuni e dai suoi stessi ideali su che cosa sia una “buona sessualità”, per aiutare la coppia ad aprirsi a una sua propria originalità sessuale.
Attraverso il passaggio teorico da una terapia del deficit (prestazione) a una terapia del desiderio (potenzialità), Clement definisce il proprio approccio come terapia di coppia centrata sul desiderio. Potremmo dire che l’autore articola la teoria su cui fonda il suo intervento secondo una serie di dicotomie: “potere/non potere” versus “volere/non volere”; bilanciamento versus sviluppo trasformativo della coppia; unione dei partner versus differenziazione; e, sul versante del terapeuta, ironia versus pathos. Analizzare un sintomo sessuale come “non volere” o “volere diversamente”, invece che come “non essere in grado”, permette di vederlo come forma di soluzione (anche se non ottimale). Ostentando il “non potere”, possono essere celati atteggiamenti, consciamente o inconsciamente, ostili e aggressivi. Ad esempio, con l’eiaculazione precoce un uomo può coinvolgere la partner nel sesso, e a quel punto piantarla in asso; con la mancanza dell’orgasmo la donna può comunicare al partner che lui non è abbastanza potente per lei. Spostare il focus sul “non volere” chiama in gioco la responsabilità soggettiva di ciascuno dei partner. La seconda dicotomia proposta è una funzione centrale della coppia. Il bilanciamento è, infatti, un processo di autoregolazione che mantiene la coerenza, mentre lo sviluppo è un processo volto a cambiare la struttura per raggiungere il nuovo, entrando in una fase in cui valgono regole diverse da prima. Può essere indotto da fattori esterni (bambini, cambio del lavoro, morte dei genitori, crisi economica, separazione) o interiori (per esempio, risoluzione di conflitti emotivi spinosi). La trasformazione strutturale della coppia crea ansia, e le coppie cercano di evitarla con dispendio di energie e sofferenze. È esperienza comune delle coppie viste in terapia che, dopo l’innamoramento iniziale, parte della sessualità del partner diventi estranea o poco accessibile. I partner possono quindi escludere passivamente o attivamente degli elementi della relazione sessuale. La parte esclusa (fantasie, esperienze sessuali precedenti, desideri, abitudini) può essere vissuta come allettante oppure minacciosa da uno o entrambi i partner. Per far fronte alla minaccia i partner adottano o una soluzione complementare, in cui colludono nel creare un sintomo sessuale, o una soluzione simmetrica, in cui minimizzano le differenze e si focalizzano solo su ciò che è compatibile, riducendo spesso le possibilità sessuali a un unico modello, rigido in termini di comportamenti, orari, gesti e così via. In entrambi i casi, la sottrazione all’ansia ha come prezzo la noia sessuale. Questi processi conducono a stati soggettivi differenti: lo stato di unione è quello in cui l’attenzione di ciascun partner è rivolta ai desideri e al gradimento dell’altro, e finisce per portare a quello che Clement definisce il “minimo comun denominatore” sessuale; quello di differenziazione è lo stato in cui ciascun partner non rinuncia ai desideri che sente importanti per sé. Quest’ultima non è una posizione reciprocamente egoistica, ma può dare alla coppia energia e novità. Nella prassi terapeutica è fondamentale non lasciarsi attrarre dal desiderio di appianare la contesa e di diminuire l’ansia presente nella coppia. Clement insiste molto sulla necessità che il terapeuta non si faccia coinvolgere dall’ansia dei pazienti, e non la tema lui stesso – rivelando in questo l’apporto dato dal suo substrato psicoanalitico, di stampo europeo. Infine, la terapia ha bisogno da un lato di pathos, per favorire la partecipazione emotiva e la serietà nelle decisioni, dall’altro di ironia per sollecitare la pluralità dei significati e relativizzare l’ovvietà. È importante formulare gli obiettivi della terapia, sfidare le aspettative e le convenzioni su che cosa sia una sessualità normale. Secondo Clement, infatti, l’atteggiamento pro-sesso, comune nei terapeuti sessuali da Masters e Johnson in poi, permette solo un’interazione terapeutica psicoeducativa, favorendo quella parte di sessualità che i terapeuti stessi considerano “buona”. Il terapeuta non deve lodare tendenze perverse, ma il paradigma è “pari diritti per tutte le fantasie”. Una definizione delle aspettative è essenziale, in quanto raramente i partner sono d’accordo su che cosa aspettarsi da una terapia. Spesso la speranza è che la soluzione si realizzi grazie al cambiamento dell’altro, chiedendo implicitamente o esplicitamente il contributo del terapeuta. Quest’ultimo cerca una soluzione ai mandati opposti attraverso alcune operazioni cliniche: individuare le antitesi inconciliabili; identificare le posizioni comuni (per esempio, entrambi vogliono rimanere insieme, o trovare una lettura comune di un’infedeltà); formulare il mandato tenendone conto, in modo che i clienti mettano la terapia in relazione a una prospettiva di miglioramento, e non solo di limitazione del danno. Qui appare quello che è sicuramente uno degli elementi centrali dell’approccio: i clienti devono assumersi la responsabilità della terapia. Il terapeuta fa la sua parte traducendo le aspettative dei clienti, e la terapia può iniziare solo quando clienti e terapeuti concordano sul fatto che il contratto si basa sull’offerta rielaborata dal terapeuta e non sulla proposta originaria dei clienti. Una domanda cruciale durante la terapia può essere: “Se la terapia non producesse effetti sulla crisi sessuale, che cosa fareste?” Questa domanda mette in gioco la possibilità di una separazione, ed è di importanza vitale per l’alleanza terapeutica, perché affrontare le eventualità più estreme si fa garanzia della serietà esistenziale di una terapia di coppia del desiderio. Clement accentua molto il suo volersi differenziare dagli approcci comportamentali alla terapia sessuale. Parla infatti di “parametri”, e non di tecniche, da utilizzare nella conduzione della terapia. Attraverso domande che il terapeuta pone, è possibile fare ipotesi e sostituire all’insolubilità letture del problema meno univoche. È la fase che permette di passare dalla “struttura prima” (esposizione del problema come difficilmente solubile) alla “struttura seconda” (possibile soluzione). La soluzione potrebbe anche far emergere desideri o emozioni finora non chiari o inespressi; inoltre, passare dalla dimensione del “non potere” a quella del “non volere”, pur implicando l’assunzione di responsabilità della terapia, è ancora una posizione di non differenziazione. Dire no al partner non è ancora dire sì a se stessi. Come accennato sopra, all’interno della terapia è necessario lavorare sia con il pathos, sia con l’ironia. Le terapie che seguono un modello patetico, lavorando solo su serietà e verità, rischiano di bloccarsi, mentre quelle che seguono un modello di puro gioco, rimanendo ancorate alla sperimentazione e alle tecniche paradossali, rischiano la superficialità. Il gioco è possibile se è già chiaro che terapeuti e clienti sono coinvolti in un processo serio. La domanda sul peggioramento gioca sul paradosso, invitando i clienti a un esperimento di pensiero: “Se lei volesse rendere il problema peggiore di quanto sia già, che cosa dovrebbe fare?” Quando però le costruzioni di possibilità si ripetono senza conquistare una qualità nuova, il processo di conduzione della terapia entra nella fase in cui i partner devono prendere o scartare delle decisioni serie. Il modello di terapia di Clement prevede anche esercizi e prescrizioni di comportamento, non basati su rilassamento e apprendimento come quelli di Masters e Johnson, ma volti ad ampliare il desiderio sessuale, a definirlo e strutturarlo. Ricollegabili alla dicotomia fra ironia e pathos, sono le tipologie di intervento: interventi-gioco (probatori, non vincolanti, reversibili) e interventi-serietà (riducono le opzioni per arrivare a decisioni, sono volti a comportamenti irreversibili). Gli interventi-gioco somigliano alle prescrizioni paradossali delle terapie sistemico-strategiche: prescrivere il sintomo, esasperare la simmetria, fare giochi di ruolo. Si tratta di enfatizzare il problema fino a renderlo intollerabile, di forzare i partner a vedere le conseguenze estreme implicite nelle loro posizioni. Più peculiari del metodo di Clement sono quelli che lui definisce interventi-serietà. Tra questi il più importante e originale è l’ISS (scenario sessuale ideale), che scegliamo di descrivere in dettaglio. È un compito che i partner devono sviluppare indipendentemente uno dall’altro: immaginare di non dover avere alcun riguardo verso il partner ed esprimere totalmente bisogni e desideri. Il terapeuta spiega il compito, chiede ai partner di scriverlo prima della seduta successiva e metterlo in una busta chiusa. Ciascun partner può poi decidere se svelarlo o mantenerlo segreto. Il terapeuta deve rimanere neutrale rispetto sia al contenuto, sia all’opzione di svelarlo o meno, e deve essere in grado di tollerare e utilizzare bene la tensione emotiva che lì si crea. L’ISS è un intervento-serietà, perché non è in causa ciò che i partner sessualmente possono fare, ma ciò che i partner sessualmente sono. L’elemento più critico per la maggior parte dei partner è con chi s’immaginano l’ISS: se il partner è quello reale, questi non può evitare di confrontarsi con lo scenario, se non lo è, per entrambi si apre uno scenario minaccioso. Non necessariamente svelare l’ISS al partner è evolutivo, così come il mancato svelamento non sempre è regressivo. Per esempio, tra i casi clinici presentati è descritta una “fuga nella tenerezza”: i partner svolgono il compito senza però far emergere nessun desiderio o fantasia che non fosse già nota all’altro. La coppia si mostra reciprocamente l’ISS, lo mette in pratica, e passa giorni a scambiarsi tenerezze. Nessuno dei due partner ha davvero messo in gioco i propri desideri sessuali, scansando gli intenti di differenziazione dell’ISS e rimanendo nel campo delle soluzioni di primo ordine (cosmetiche). I casi di non-svelamento dell’ISS ci hanno incuriosito particolarmente. In uno di essi, a ISS compilato, uno dei partner vorrebbe svelarlo, l’altro no. Clement propone di lasciare chiusa la busta, almeno per ora. L’ipotesi che il terapeuta fa e che lo conduce a questa proposta è che, per questi pazienti, l’infelicità conosciuta sia meglio del rischio di fare un passo nell’ignoto. Il non-svelamento può però anche rappresentare un atto di differenziazione: in un altro caso – in cui la terapia è stata motivata da un tradimento della moglie, che ha causato una crisi coniugale e sessuale – i partner arrivano con l’ISS compilato. Il marito, durante una prolungata discussione sulla decisione se svelarlo o meno, decide di non voler conoscere l’ISS della moglie, non solo per timore che l’uomo con cui lei lo ha tradito ne sia parte, ma soprattutto per non farsi dominare dalla sessualità di lei. Lui però svela il suo, indirizzando la moglie a occuparsi di più di lui, e diventando così attivo nel rapporto. Gli elementi concettuali dell’ISS costituiscono secondo noi anche la sua forza, perché richiedono al terapeuta, oltre che alla coppia, un certo coraggio. Pur essendo l’ISS uno strumento tecnico, la sua natura non consente al terapeuta di utilizzarlo in modo standardizzato, ma lo impegna in continue scelte cliniche. L’ISS, infatti:
Questo libro ci sembra possa interessare i terapeuti familiari italiani proprio per il suo essere esterno alla prospettiva prevalente nella terapia sessuale di origine americana. Se quest’ultima si fonda soprattutto su pratiche strutturate e riconducibili a una buona manualistica, Clement propone un approccio più complesso, che chiama in causa la dimensione etica della terapia. Com’è stato sottolineato in diversi passi di questa recensione, la terapia sessuale sistemica concepita da questo autore implica l’assunzione delle responsabilità individuali da parte di ciascuno, incluso il terapeuta, e la necessità di fare delle scelte volute da parte di tutti gli attori della terapia. Ciò contrasta con le terapie di tradizione comportamentista o strategica, che sostengono invece che la responsabilità del cambiamento dei clienti appartiene esclusivamente al terapeuta. Non si pensi, qui, a una diffusione della responsabilità del percorso terapeutico, ma a un potenziamento che la responsabilità di tutti offre alla terapia. Questo non rende al terapeuta la strada più agevole: riconoscere il principio di responsabilità di terapeuti e pazienti significa accettare l’impossibilità di governare l’andamento della terapia o di seguire protocolli prestabiliti. Responsabilità del terapeuta è riformulare ogni volta il mandato ricevuto, e creare le condizioni perché i pazienti possano esercitare la propria autonomia di scelta.
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Problemi di coppiaLa coppia contemporanea ha un desiderio legittimo: stare bene insieme.
I cambiamenti culturali, sociali ed economici degli ultimi decenni hanno inciso profondamente sulle aspettative e sugli obiettivi dello stare in coppia. Se in un passato ancora vicino l'essere coppia si sovrapponeva quasi completamente all'essere famiglia, oggi la coppia è qualcosa di unico e diverso, ci siano o meno dei figli. > Continua a leggere Dott.ssa Alessandra MilesiPsicologa clinica, esercita a Milano, dove riceve in viale Gran Sasso 28,
Email: [email protected] È iscritta all'Ordine degli psicologi della Lombardia, n. 5451. La pratica clinica è il cuore della sua attività, che si rivolge a individui, coppie e famiglie, con cui ha maturato una lunga e articolata esperienza. L'idea centrale del suo lavoro è quella di offrire percorsi personalizzati, in grado di rispondere alla varietà e alla particolarità delle problematiche contemporanee. Ha preso parte a diversi progetti di ricerca, ed è autrice e coautrice di articoli pubblicati su riviste italiane e straniere. Ha inoltre lavorato nell'ambito del Servizio pubblico, svolgendo attività di formazione e supervisione. > Leggi il profilo completo |