Intervista a Miquel Bassols 1- La domanda d'analisi nel XXI secolo riguarda la sofferenza causata dalla solitudine? Come sono le solitudini contemporanee? Anche quando non costituisce un motivo esplicito della richiesta di colloquio, la solitudine del soggetto contemporaneo si avverte fin dai primi istanti dell'incontro psicoanalitico. "Testimone della solitudine", scriveva Lacan già negli anni '30 per indicare la funzione di colui che prende atto di questa condizione inerente all'essere parlante. E continua ad essere così. Il che permette anche di chiedersi cosa sarebbe una solitudine senza testimone, una solitudine elevata alla seconda potenza per così dire, fino a una solitudine che non sa di esserlo. "Era solo ma non lo sapeva", potremmo dire seguendo il paradosso di quel sogno freudiano: “Era morto ma non lo sapeva". Ci sono poi solitudini molto diverse, al plurale, varie e al contempo singolari. Non mi è mai successo di ascoltare un soggetto che mi parlasse della sua solitudine come quella di un altro. Comunque sia, possiamo distinguere in principio due solitudini. C'è una solitudine con l'Altro, di cui per esempio parlava già Winnicott nel suo classico articolo "La capacità di stare solo". È una solitudine con l'Altro che lui eguagliava alla madre. E c'è poi una solitudine senza l'Altro, una solitudine di fatto più radicale, senza una possibile rappresentazione nel luogo dell'Altro. È questa la solitudine che troviamo in particolare quando il soggetto si confronta con il godimento femminile, questo godimento senza rappresentazione significante, al di là del fallo. È la solitudine a cui si riferisce Lacan, per esempio nel seminario “Ancòra”, come a una solitudine di cui non sappiamo nulla, una solitudine che è "rottura del sapere". Lacan giunge a dire anche qualcosa di più enigmatico: è la solitudine "che lascia traccia di una rottura dell'essere". Come essere, in ogni caso, testimone di questa solitudine? Dove e come leggere la traccia che lascia nell'esperienza analitica?
Per rispondere alla domanda, non c'è di meglio che un'altra domanda. 2- Cosa può rispondere lo psicoanalista a tale disagio? La prima mossa che l'analista deve fare verso il disagio del soggetto è, precisamente, vincolarlo al luogo dell'Altro attraverso quel che chiamiamo transfert. Si tratta di passare dallo stato autoerotico della pulsione a quello eteroerotico del transfert. Quando si tratta di solitudini, questa operazione è la condizione necessaria per passare da una posizione all'altra. L'amore di transfert è quello che permette alla pulsione di accondiscendere, attraverso un "falso nesso”, come Freud definiva il transfert, con il luogo dell'Altro e con la domanda del suo desiderio. Come dice il mostro Chapalu, nel passaggio di Apollinaire evocato da Lacan alla fine del Seminario III:" chi mangia non è mai solo". Ebbene: anche chi mangia significanti nel transfert non è più solo. Tutti gli analisti possono testimoniare gli effetti terapeutici di questa soluzione orale della solitudine. Il paradosso è che, per il fatto che l'analista non risponde all'amore del transfert specularmente con il controtransfert, il soggetto può così confrontarsi con la solitudine alla seconda potenza cui ci riferivamo prima. Da una solitudine all'altra. O, per essere più rigorosi con la logica lacaniana: dalla solitudine con l'Altro alla solitudine dell'Uno, l'Uno del corpo parlante di cui si è parlato al Congresso dell'AMP a Rio de Janeiro. 3- Ci piacerebbe ritornare alle differenze che definisci nel tuo testo "Solitudini” tra il sentimento di solitudine e essere soli, e tra l'unico e il solo, il solitario. Mi ha attratto questa differenza che l'uso della lingua ci offre: una cosa è "essere soli", altra cosa è "stare da soli". Si può essere soli con una moltitudine attorno. Siamo spesso testimoni, come analisti, di questa solitudine così contemporanea. È anche l'impossibilità di stare da soli. D'altra parte, si può "stare da soli con" in molti modi e situazioni, però sempre marcati da un'asimmetria e da una non reciprocità: si può stare da soli con qualcun altro, anche con se stessi, con un buon libro, con Dio. La seduta analitica è un modo assai singolare di "stare da soli" senza "essere soli". Questo "stare solo con" è già un modo di rinunciare alla solitudine che non tiene altro orizzonte che quello autoerotico della pulsione. Proprio come ha ricordato e commentato Jacques-Alain Miller, Lacan decise di rinunciare proprio alla solitudine nel momento in cui fondò la sua Scuola con il famoso:"Solo, come sempre sono stato in relazione alla causa analitica...". Diciamo che la relazione con la causa analitica, in cui ciascuno sperimenta la solitudine estrema, solitudine che non sa di esserlo, implica un "essere soli" che ci porta necessariamente all'esperienza della Scuola, intesa come una somma di solitudini. È il modo di rendere produttivo quel saldo cinico che si incontra alla fine dell'analisi, un saldo inerente alla non esistenza dell'Altro, senza essere portato a questa altra solitudine, subito criticata da Lacan nella comunità analitica degli anni Cinquanta, quella delle Beatitudini che bastano a se stesse. È anche la differenza che stabilisce nell'omonimia che esiste in francese tra "être le seul", essere l'unico, e "être seul", essere solo, l'essere solo dell'analista nella sua funzione. Se mi è consentito l'excursus topologico che Lacan evoca per distinguere queste due forme di solitudine: si tratta del passaggio dalla solitudine della sfera, chiusa su se stessa in una sorta di monade, alla solitudine del toro, che include due buchi distinti, quello interno e quello centrale. La solitudine della sfera è la solitudine che si pensa unica. La solitudine del toro è quella che si può permettere di coinvolgersi in un'altra solitudine senza alcuna illusione di complementarità o di completamento. Fonte: Boletin de la Escuela de la Orientación Lacaniana n. 8 Traduzione di Alessandra Milesi
0 Comments
Leave a Reply. |
Problemi di coppiaLa coppia contemporanea ha un desiderio legittimo: stare bene insieme.
I cambiamenti culturali, sociali ed economici degli ultimi decenni hanno inciso profondamente sulle aspettative e sugli obiettivi dello stare in coppia. Se in un passato ancora vicino l'essere coppia si sovrapponeva quasi completamente all'essere famiglia, oggi la coppia è qualcosa di unico e diverso, ci siano o meno dei figli. > Continua a leggere Dott.ssa Alessandra MilesiPsicologa clinica, esercita a Milano, dove riceve in viale Gran Sasso 28,
Email: [email protected] È iscritta all'Ordine degli psicologi della Lombardia, n. 5451. La pratica clinica è il cuore della sua attività, che si rivolge a individui, coppie e famiglie, con cui ha maturato una lunga e articolata esperienza. L'idea centrale del suo lavoro è quella di offrire percorsi personalizzati, in grado di rispondere alla varietà e alla particolarità delle problematiche contemporanee. Ha preso parte a diversi progetti di ricerca, ed è autrice e coautrice di articoli pubblicati su riviste italiane e straniere. Ha inoltre lavorato nell'ambito del Servizio pubblico, svolgendo attività di formazione e supervisione. > Leggi il profilo completo |