Buongiorno Dott. Focchi,
sono la madre di una ragazza di 15 anni che ultimamente sta attraversando un periodo molto difficile in termini di autostima. Mia figlia si confronta costantemente con le sue coetanee, sia a scuola che sui social, e sembra sempre sentirsi inferiore rispetto a loro, sia per l’aspetto fisico che per i risultati scolastici e sociali. Nonostante i nostri sforzi come genitori per rassicurarla e farle capire il suo valore, sembra che il suo pensiero fisso sia quello di non essere abbastanza brava, bella o interessante rispetto agli altri. Questo sta influenzando non solo il suo umore, ma anche il suo comportamento: la vedo sempre più ritirata, evita le occasioni sociali e tende a isolarsi. La mia preoccupazione maggiore è che questa insicurezza possa portare a problemi più gravi, come depressione o disturbi dell’alimentazione. Come posso aiutarla a costruire una sana autostima e a sviluppare una visione più equilibrata di se stessa? Grazie per il suo supporto, M.C. >Gentile MC, Consideri che sua figlia ha 15 anni, un’età particolarmente instabile, in cui una persona affronta uno dei maggiori cambiamenti della sua esistenza, che la porta dall’infanzia alla vita adulta. È naturale che si manifestino oscillazioni anche forti. Gli adolescenti sono particolarmente esposti alle crisi di autostima come quelle che descrive, perché gli ideali famigliari che li hanno fino a quel momento sostenuti vengono messi a confronto con quel che presentano loro i pari. Il riferimento verticale ai genitori, rassicurante perché gerarchizzato, è sostituito da quello orizzontale, fonte di inquietudini perché concorrenziale, terreno di confronti. Non sottovaluti poi che si affaccia la sessualità, rispetto alla quale qualsiasi adolescente si sente impari, anche quelli apparentemente più sbruffoni. Dia quindi tempo a sua figlia, e solo se i suoi comportamenti dovessero cristallizzarsi o diventare macroscopici, senta uno specialista. Marco Focchi
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Buongiorno Dott. Focchi,
scrivo questa lettera come padre profondamente scosso dall'ultima terribile notizia di cronaca che ha visto un ragazzo uccidere brutalmente la propria famiglia a Paderno Dugnano. Sono rimasto sconvolto dalle descrizioni e dalle immagini che i media hanno riportato: un adolescente apparentemente tranquillo, in una famiglia normale, che si trasforma in un carnefice. È inevitabile, in questi casi, sentirsi toccati personalmente, specialmente quando le vittime sembrano persone come noi, con vite ordinarie e quotidianità simili a quelle della mia famiglia. Non riesco a smettere di pensare: cosa spinge un figlio a compiere un atto così estremo? In quanto genitore, mi sento vulnerabile, perché mi domando se davvero conosco i miei figli. Con un brivido, ho pensato se devo addirittura averne paura, dei miei figli (è un pensiero che la mia mente trova assurdo, ma è un pensiero che ho avuto). A volte, la vita familiare si svolge in modo così routinario che è facile non accorgersi di eventuali segnali di malessere o disagio. Guardando quella famiglia, mi sono chiesto: sto facendo abbastanza per capire cosa provano i miei figli? Potrebbe esserci qualcosa che mi sfugge? Mi terrorizza l’idea che mio figlio possa sentirsi incompreso, isolato o in difficoltà, senza che io me ne accorga. Questa tragedia mi ha fatto riflettere profondamente su come la società spesso punti immediatamente il dito contro i genitori in casi simili, ma mi chiedo: è davvero così semplice? La responsabilità è sempre dei genitori, o ci sono altri fattori, forse più nascosti, che possono contribuire a una simile esplosione di violenza? C’è qualcosa di intrinseco nell’animo umano che può sfuggire persino alle persone più vicine? Mi chiedo anche se il continuo bombardamento di notizie e immagini violente, la pressione dei social media e l'isolamento che la tecnologia può creare non siano elementi che contribuiscono a creare un terreno fertile per il disagio mentale, specialmente nei giovani. Così come il periodo del Covid, che sembra quasi ce lo siamo dimenticato. Come possiamo proteggere i nostri figli da queste influenze senza chiuderli in una campana di vetro, e al tempo stesso insegnare loro a comunicare apertamente i loro sentimenti? Le chiedo dunque, Dott. Focchi, quali sono i segnali a cui un genitore dovrebbe prestare attenzione per evitare che situazioni di disagio sfocino in tragedie? C’è un modo per riconoscere e intervenire tempestivamente quando qualcosa non va, o siamo destinati a vivere nell’incertezza, sperando solo che il peggio non accada mai? La ringrazio per la sua attenzione e spero possa aiutarmi a trovare delle risposte in questo momento di grande preoccupazione. Cordiali saluti, R.F. >Gentile RF, Il caso di Paderno Dugnano ha particolarmente colpito l’opinione pubblica, e la stampa e i media gli hanno dato particolare rilevanza. Tutto questo succede in un momento in cui l’attenzione era ancora rivolta all’omicidio di Sharon Verzeni. Quel che accomuna i due casi è la mancanza di un motivo. Non si tratta di crimini legati a gelosia, a rancori, a faide, o semplicemente a scopi di rapina. In questo senso sono fatti che escono dall’ambito immediato delle indagini tradizionali in cui quel che si cerca in primo luogo è il movente. Bisogna dire che le situazioni che abbiamo sotto gli occhi sono ancora calde, ma non sono nuove. Negli anni Cinquanta fece scalpore il caso di Franco Percoco, che a Bari sterminò la famiglia in modo raccapricciante, e finì nel manicomio di Aversa . Negli anni Settanta fu Doretta Graneris a uccidere a colpi di pistola il fratello, i genitori e i nonni. A Doretta non fu riconosciuta tuttavia l’infermità mentale e finì in carcere dove dopo alcuni anni si laureò. Agli inizi degli anni Duemila è il turno di Erika de Nardo, che uccise la madre e il fratello, e a cui fu diagnosticato un disturbo narcisistico della personalità. La strage famigliare di Paderno Dugnano si allinea a questa serie di atrocità. Difficile formulare diagnosi senza avere visto la persona, ma il carattere immotivato di un passaggio all’atto è generalmente indice di una situazione psicotica che può essere latente, e può restarlo per molti anni, per affiorare infine in modo clamoroso. Ci sono, certo, segni per riconoscere queste situazioni, ma è inutile che li elenchi, perché sono segni che vanno letti strettamente legati al contesto, e sono segni altamente ambigui, che possono riferirsi a situazioni di accentuata particolarità caratteriale, senza implicare nessuna patologia, o indicare una vera a propria situazione psicotica. Le direi dunque: dorma sonni tranquilli accanto a suo figlio, se l’educazione che ha ricevuto è buona, se non ha subito frustrazioni, se non manifesta conflitti interiori e se i momenti di aggressività che può aver mostrato sono semplicemente quelli della soglia adolescenziale, quando il soggetto preme per uscire dal guscio famigliare Un cordiale saluto Marco Focchi |
AutoreMarco Focchi riceve in Archivi
Settembre 2024
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