Conferenza tenuta a Madrid il 19 ottobre 2024 presso la Escuela lacaniana de psicoanalisis Marco Focchi Nel seminario di Lacan su La logica del fantasma, come suggerisce Miller nelle note alla fine del volume, si parla molto della logica, si parla un po’ del fantasma, ma non si parla di logica del fantasma. Tutto si riduce alla funzione assegnata da Lacan al fantasma nella lezione finale, che Miller ha intitolato L’assioma del fantasma. Ciò significa, e Lacan lo ha fortemente sottolineato, che il fantasma non ha nessun ruolo nell’interpretazione, ma costituisce piuttosto il nucleo a partire da cui si definiscono le leggi di trasformazione nella deduzione degli enunciati del discorso inconscio. Miti e loro trasformazioni
Lacan ha dato l’esempio più esteso di quest’uso del fantasma nel commento del caso del piccolo Hans, nel Seminario IV, dove vediamo applicata molto fedelmente la lezione appresa da Claude Lévi-Strauss. Per Lévi-Strauss i miti possono essere scomposti in mitemi, come mattoni di un lego che si combinano in modi diversi e che, pur variando nella forma e nella posizione, mantengono una struttura interna costante. Lévi-Strauss ha paragonato i miti a un linguaggio dove il significato non deriva dai singoli significanti – i mitemi per l’appunto – ma dalle relazioni e combinazioni dei miti nelle strutture. L’interessante è vedere che non c’è un nucleo originario del mito da cui derivano le variazioni, ma il mito consiste nelle variazioni stesse. Non si tratta cioè di variazioni generate da un mito originale, ma le variazioni sono essenziali alla comprensione del mito stesso nel suo insieme. Il mito è definito proprio da queste variazioni in cui si manifesta e si mette a nudo la struttura. Vediamo subito quindi in che senso il fantasma è associato a una logica: nel fantasma si tratta di una combinatoria attraverso la quale il soggetto definisce il proprio posto nello stesso modo in cui nei miti di Lévi-Strauss una tribù descrive l’origine della propria vita sociale e individua il proprio posto nel cosmo, tra terra e cielo, tra umani e dei. Come il mito è un modo di organizzare il mondo, il fantasma è un modo di inquadrare la posizione del soggetto. L’aggancio libidico Nel suo corso Sintomo e fantasma, Miller sembra prendere una prospettiva diversa: parla di una fissità del fantasma che contrappone alla dialettica del desiderio. Dobbiamo allora forse vedere a un modo di pensare il fantasma opposto a quello della variazione di cui parla Lévi-Strauss? Direi di no. Credo piuttosto che si tratta di vedere come le variazioni, nel loro sviluppo, espongano una struttura invariante che le traversa tutte e che si può cogliere solo attraverso le variazioni. Siamo tornati molte volte, nei nostri commenti, sulle variazioni grammaticali dei fantasmi, in particolare quello presentate da Freud in Un bambino viene picchiato, o nell’asserto di base relativo al fantasma omosessuale in Schreber. Queste variazioni girano tuttavia intorno a un punto libidico ben definito, e Lacan riprende questo tema proprio nella prima lezione de La logica del fantasma quando dice che per fare un fantasma ci vuole qualcosa che sia pronto a portarlo, prêt-à-porter. Questo qualcosa è evidentemente l’oggetto a. L’oggetto a, come sappiamo, può essere vestito di una casula quando lo scriviamo i(a) e cioè quando lo avvolgiamo nell’ideale dell’io. Per altro verso è però ciò che fa da ancoraggio al fantasma quando lo scriviamo nella formula: $ <>a La logica del fantasma è già scritta in questa formula in modo molto semplice. È una logica di impossibile compresenza. Quando c’è il soggetto, l’oggetto gli si sottrae, e sotto $ possiamo scrivere -φ Qui il soggetto appare come mancante, nell’impotenza, non riesce raggiungere ciò che desidera e il segno negativizzato del fallo va sotto di lui. Quando c’è a invece, il soggetto svanisce, è in fading, e allora lo scriviamo con il segno del fallo negativizzato sotto l’oggetto Il modo in cui Lacan riprende l’argomento in La logica del fantasma parte da questa formula, e la traspone sul piano proiettivo dove, se operiamo un taglio, ritroviamo gli stessi due elementi S barrata e a, dove ◊ può essere la rappresentazione del taglio. Desiderio e realtà Perché trasporre la formula del fantasma sul piano proiettivo quando la logica già si vede nella semplice scrittura della formula? Perché qui Lacan vuol mettere in risalto un altro aspetto. Non è più soltanto la logica della compresenza impossibile tra soggetto e a. Quel che si tratta di interrogare qui è il rapporto tra desiderio e realtà. Quel che porta il fantasma, in questa diversa configurazione, sono questi due termini, desiderio e realtà – e il piano proiettivo cade a puntino per determinare il rapporto in cui si definiscono come due facce della stessa medaglia, perché il piano proiettivo è una superficie unilatera. In un certo senso sono due facce, ma sono la stessa faccia. Se facciamo scorrere sulla superficie il desiderio, dal lato opposto troviamo sempre la realtà, ma quando arriviamo dal lato opposto dove prima c’era la realtà, ora c’è il desiderio, e dove c’era il desiderio, ora c’è la realtà. Occorre domandarsi cosa vuol dire che il desiderio e la realtà sono elementi in continuità l’uno con l’altro. Innanzitutto bisogna vedere dove Lacan con questo vuole andare a parare, e un primo punto da prendere in considerazione è la distinzione di reale e realtà. Vediamo che per un certo verso la realtà è ciò che è pronto a portare il fantasma. Questo ci porta a considerare la realtà come un montaggio di simbolico e immaginario. La realtà umana si mostra agli occhi dell’uomo proprio per questa tessitura dei due registri: ciò che diciamo, cioè il simbolico, e ciò su cui investiamo libidicamente, cioè l’immaginario, sono ciò che appare, ciò di cui è fatto il nostro mondo. Il mondo è commisurato al nostro immaginario corporeo e alle nostre possibilità di simbolizzazione. Se possiamo camminare su un sentiero è perché il mondo ci si presenta come camminabile, e se ci si presenta come camminabile è perché siamo animali semoventi bipedi. È chiaro che il mondo di un serpente non è fatto di sentieri, e meno ancora lo è il mondo di una zanzara. Perché il sentiero sia camminabile dobbiamo poi poter dire: comincia qui, questi ciottoli sono il sentiero, quest’erba calpestata segna un tracciato. Sono indici che distinguono quel che chiamiamo sentiero dal resto del bosco. Distinguere vuol dire segnare una differenza, una discontinuità, e segnare vuol dire delineare, far apparire, individuare. Simbolizzazione non è dare il nome alle cose, come fa l’Adamo biblico: è riconoscere, segnare, stagliare un fenomeno rispetto ad altri. Si tratta quindi di delineare un ordine, ed è in questo senso che Lacan dice che un ordine si tesse tra realtà e fantasma nella misura in cui la realtà è pronta-a-portare il fantasma, ovvero disponibile ad apparire nell’intreccio di simbolico e immaginario. Il reale si occulta L’altro lato di tutto questo apparire e manifestarsi della realtà è l’occultarsi del reale. Il reale, dice Lacan, è sempre intravisto, lo si intravede quando vacilla la maschera del fantasma. A questo punto Lacan chiama in causa Spinoza e la sua definizione del desiderio come essenza dell’uomo. Ma non va in cerca di Spinoza per adottarne la formula, come per altro ha fatto in diverse occasioni. Alla formula spinoziana Lacan vuole sostituire quella secondo cui il desiderio è l’essenza della realtà. Potremmo qui avvertire l’ombra di Schopenhauer. Certo, il desiderio non è la volontà, ma nella definizione di Lacan c’è una forte risonanza con l’idea di Schopenhauer che la volontà stia dietro tutta l’apparenza del mondo. La differenza evidentemente è che in Schopenhauer anche una pietra sarebbe espressione della volontà. Lacan parla invece della realtà come realtà del mondo umano. Se noi umani abbiamo qualche interesse per la realtà, non è per puro gusto contemplativo, ma perché con la realtà si istituiscono delle pratiche, dove evidentemente il desiderio ha la sua parte. Dopo averci dato la formula che articola la realtà e il desiderio – e questo è a mio parere il punto saliente della lezione – Lacan inizia le sue manipolazioni topologiche. Pratica un taglio nel piano proiettivo dividendolo in un nastro di Moebius e in un disco a due facce. Questi rappresentano rispettivamente il soggetto e l’oggetto a. Dopodiché Lacan fa entrare in scena l’Altro, e qui si cambia assiomatica, perché dal piano proiettivo si passa ai cerchi di Eulero, e ci si offre una ripresa dei temi di alienazione e separazione inaugurati due anni prima. Un cerchio è S, il soggetto l’altro è A, e all’intersezione sta a, cosa che mostra come il soggetto si istituisca come mancante, in quanto l’oggetto a rimane nell’Altro. Senso e significato Che l’oggetto sia nell’Altro non è un’idea che appaia qui per la prima volta, ma è interessante che sia ripresa qui dove a è definita come la Bedeutung, cioè il referente, la cosa indicata. Lacan riprende qui la questione fondamentale che porta Frege a differenziare Sinn e Bedeutung. Frege considera l’esame degli asserti d’identità nella relazione A=B. Se prendiamo questa uguaglianza come una relazione tra oggetti, allora non ci fornisce alcuna informazione aggiuntiva rispetto ad A=A. La cosa diventa invece interessante se ci rendiamo conto che si tratta in realtà non di una relazione tra oggetti ma di una relazione tra segni. Se infatti uso due espressioni diverse che hanno lo stesso riferimento, ma diversi modi di presentarlo, cioè diversi sensi, Sinn, allora gli asserti d’identità diventano informativi. Se dico Superman e dico Clark Kent, sappiamo che i due nomi si riferiscono alla stessa persona, ma i modi di presentazione sono evidentemente diversi. Bisogna sottolineare che la posizione di Frege è fortemente antisoggettistica e antipsicologica. Il Sinn non è un’impressione soggettiva percepibile solo all’interno di se stessi, è accessibile a tutti, non si riduce a essere una semplice sensazione. Che uso fa Lacan di questi concetti di Frege? Certamente nel momento in cui l’oggetto a, come Bedeutung, è collocato nell’Altro come “ciò che resta del pensiero alla fine di tutti i discorsi” (p.17), non è certo un oggetto concreto identificabile nel mondo. In questo senso Lacan può dire che “il significante non designa [ciò a cui di riferisce] ma lo genera” (p.15). Questo implica che anche il Sinn sia qualcosa di un po’ diverso da come lo pone Frege. Lacan ricorre all’esempio di Chomsky che, tentando di dare l’esempio di una frase grammaticalmente corretta ma senza senso propone “Colourless green ideas sleep furiously”. Naturalmente non appena Chomsky lo propone si scatena subito una gara per scrivere poesie in cui una frase simile abbia invece senso, e la fantasia si sbriglia senza freni. Quando spostiamo il Sinn dal lato della poesia perdiamo un po’ l’aggancio universale che gli vuole dare Frege, anche se la poesia resta senza dubbio accessibile a tutti, o almeno a tutti quelli che hanno orecchio per la poesia. La poesia contemporanea è senz’altro l’esempio di una evocazione di senso che non si aggancia a nessun referente. Cos’è allora per Lacan il senso a differenza che per Frege? Nel seminario Lacan ne dà una definizione piuttosto enigmatica: “Abolito dal significante primario, il soggetto barrato spunta in un posto di cui oggi potremmo proporre una formula ancora inedita: il soggetto barrato come tale è ciò che rappresenta un significante – il significante da cui è sorto – un senso” (p.16). Detto in altri termini: il soggetto barrato rappresenta un senso per il significante padrone. Come lo spiega Lacan? Dicendo che la frase Colourless green ideas sleep furiosly si rivolge a S1 come significante della mancanza del soggetto. Ovvero: nel momento in cui il discorso si articola e S1 barra il soggetto rappresentandone la mancanza, questo soggetto barrato viene a rappresentare per lui il senso. A questo punto cosa tira fuori Lacan dal suo cappello da prestigiatore? Che il significante primo diventa “ciò di cui tutti gli psicoanalisti si sono comunque resi conto […] e cioè l’oggetto a” (p.17). Così abbiamo sistemato le cose e distribuito le parti: l’oggetto a è la Bedeutung, ma come resto del discorso, come trasformazione del significante senza significato a cui si riduce S1 quando il discorso si articola, e il soggetto che è barrato, che è mancanza, diventa la risonanza di senso su un significante senza significato. Se vogliamo quindi ben guardare, quel che resta della definizione di Frege, nella rielaborazione che ne dà Lacan, è che il senso è un modo di rivolgersi all’oggetto a, il quale è sì un referente, ma un referente sottratto che si riduce all’indice di una mancanza. Per questo la poesia è così evocativa e provoca in tutti noi questo potente richiamo. Perché evoca la mancanza che ci abita facendola risuonare sui significanti semantici – resi asemantici appunto dall’artificio poetico della nostra lingua . Il soggetto barrato Quando Frege affronta il problema del senso e della Bedeutung parte da un problema di identità. Se assumiamo il punto di vista della logica A=A, tanto che per fondare la sua teoria dei numeri Frege definisce l’insieme vuoto come l’insieme di tutti gli oggetti che hanno una proprietà impossibile, e la proprietà che Frege utilizza a questo scopo è quella di non essere identico a se stesso A≠A. Ma questa è per noi esattamente la definizione del soggetto barrato. La scrittura S barrata è quella che viene al posto di S≠S. Nel momento in cui il soggetto tenta di riferirsi a se stesso, si trova sdoppiato, posto in due posizioni diverse, osservatore e osservato al tempo stesso. Il soggetto risulta escluso proprio perché non può occupare le due posizioni al tempo stesso. Lacan sigla questa impossibilità per un segno di ripetersi, per significare se stesso, con la scrittura S∨S. Il segno ∨, spiega, è quello che nella logica serve per indicare l’esclusione, è l’iniziale del Vel latino, l’alternativa esclusiva. “Il significante – scrive a p.28 – nella sua funzione ripetuta, funziona esclusivamente in quanto funziona la prima volta, o in quanto funziona la seconda volta. Tra l’una e l’altra c’è uno iato radicale. Ecco cosa vuol dire che un significante non può significare se stesso”. Questa riflessione ha la sua prima fonte in Hegel ne La scienza della logica. Hegel sostiene che ogni simbolo o concetto ha un significato che va oltre la sua mera rappresentazione fisica. Quando scriviamo un simbolo non stiamo semplicemente riproducendo un segno, ma stiamo evocando l’intero contesto e il sistema pensiero che quel simbolo rappresenta. In questo senso scrivere due volte lo stesso simbolo non è semplicemente un atto di duplicazione, ma un processo che coinvolge la comprensione e l’interpretazione del simbolo stesso. Per Hegel la ripetizione del simbolo non è mai meccanica, ma è sempre carica di significato. Ogni volta che un simbolo viene scritto, anche se scritto di seguito, si rinnova e acquisisce nuove sfumature di significato in base al contesto in cui appare. Lacan prende la questione dal lato della logica e della matematica, ma è interessante sapere che sullo sfondo c’è un pensiero dialettico che certamente a Lacan non era estraneo. L’assioma che un significante non può significare se stesso si riconduce, in fondo, al fatto che il soggetto, quando si interroga su se stesso – che è quel che normalmente si fa in una pratica di analisi – si trova sdoppiato in due posizioni. Fantasmi originari Questa logica di sdoppiamenti in due posizioni la vediamo in particolare se ci riferiamo a quelli che Freud ha chiamato fantasmi originari, cioè la scena primaria di coito genitoriale o di seduzione. I fantasmi originari sono i fantasmi che mettono in scena l’origine del soggetto. Anche nel pensiero mitico, per spiegare da dove vengono le cose, si fa ricorso a un coito originario: Urano si unisce a Gea e vengono fuori i Titani, le Titanidi, gli dei dell’olimpo, gli eroi omerici e tutto il resto. Quando i greci vogliono pensare da dove arrivano tutte le cose, pensano a questo. Quando il soggetto vuole pensare a da dove viene lui, pensa a un coito originario, o meglio al coito originario, ovvero quello da cui lui è nato. Da qui lo sdoppiamento di posizione: è l’osservatore della scena in cui non c’è ancora perché sta per esserci, e c’è nell’atto che darà luogo alla sua esistenza. Se nella logica del fantasma come sostegno del desiderio, come prêt-à-porter del desiderio, la scrittura: $<>a indica lo svanire del soggetto quando si presenta l’oggetto a che insegue. Nel fantasma originario possiamo utilizzare propriamente la scrittura che propone Lacan con S∨S, cioè il soggetto che guarda se stesso e che proprio per questo si sdoppia. In questo direi possiamo vedere il senso clinico della ripresa del paradiso di Russell in questo seminario. La formula del paradosso di Russell è infatti quella di uno sdoppiamento, di una divisione, dell’apparizione di qualcosa di altrettanto impossibile che l’osservazione della propria nascita. Se poniamo il problema di un fantasma originario, stiamo allora andando in una direzione diversa da quella presentata da Lévi-Strauss per i miti, e da Lacan con lo sviluppo dei fantasmi del piccolo Hans nel seminario IV? In realtà no, perché cos’è in effetti il fantasma immaginario? È innanzitutto la traccia di un evento, contrassegna l’evento dall’inizio, quell’inizio che a livello individuale è la nascita. Nella nostra clinica riusciamo a ricostruire questi momenti originari, questi punti di inizio. Per esempio un paziente sogna che sta avendo un coito a tergo con la sua ragazza mentre lui è sotto, in posizione di croce, e lei gli è sopra dandogli le spalle. Da bambino quando rompeva un po’ le scatole lo apostrofavano dicendogli in dialetto “crus”, sei la mia croce. Da qui affiora un ricordo di lui, nella camera da letto dei genitori, che osserva con grande angoscia il crocefisso appeso sopra la testiera del letto. È un chiaro ricordo di scena primaria, ma una volta raggiunti livelli di questa intensità, non è che le cose rimangano ferme. La configurazione simbolica della croce, con quella immaginaria della stanza, con l’indice di reale dell’angoscia, connotano il raggiungimento di una soglia. Non è però che la soglia sia qualcosa che resta fisso, che sia identificabile, che si possa dire: ecco questa è la soglia dell’inizio. La soglia non è ben identificabile come fa capire Peirce quando chiede: “Su un foglio metà rosso o metà blu, il confine è il rosso o il blu?”. Chiaramente non è né il rosso né il blu, e meno ancora è una linea nera. La soglia è semplicemente un passaggio, una scansione temporale. Se prendiamo l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi, sappiamo che se questo insieme si appartiene entra in contraddizione con la definizione, e se non si appartiene lascia l’elenco incompleto, quindi c’è un’antinomia, un’impossibilità. Se sviluppiamo però il problema in termini temporali abbiamo come una sorta di oscillazione. Proviamo a rispondere: sì, l'insieme appartiene a se stesso. Ma subito vediamo che dobbiamo dire: non appartiene a se stesso. E appena detto questo dobbiamo di nuovo ribaltare le cose, e così via. Se non prendiamo questo risultato nella prospettiva in cui la logica debba immobilizzare le cose in una sorta di fissità ontologica, entriamo in un movimento di pendolo, in un ritmo: c’è-non c’è, c’è-non c’è. Credo sia evidente dove questo va a parare: c’è-non c’è è il Fort-Da. L’evento della soglia, anziché essere costretto in una stabilità che lo definisce, evade così dando luogo alla ripetizione. Il fantasma originario, come soglia dell’inizio, è in realtà lo iato di una differenza che traversa con le sue variazioni tutta la vita. È il crocefisso appeso alla testiera del letto, è il, nome del soggetto in determinate circostanze, dà l’impronta all’erotismo nei rapporti con la ragazza, e così via in infinite variazioni. Questo ci permette anche di articolare le due scritture del fantasma che Lacan ci dà: quello del fantasma originario S∨S in cui abbiamo lo sdoppiamento in due posizioni e che dà il via alla ripetizione, e quello del fantasma di desiderio: $<>a, che vede il soggetto sparire con l’apparire dell’oggetto a, ma che riprende e riformula su una diversa soglia, quella dell’erotismo, l’impronta presa dal fantasma originario. Si tratta insomma di ricombinazioni continue, per questo Lacan riconduce la logica del fantasma alla necessità di scrittura, ovvero a una combinazione di lettere. Reti logiche Il riferimento che prende qui Lacan sono le reti logiche. Una rete logica è un modello matematico che utilizza operazioni logiche primitive per elaborare segnali binari e determinare quale struttura soddisfi un certo comportamento. È insomma come un sistema di tubi e valvole. Ogni valvola può essere aperta o chiusa, e possiamo scrivere il valore 1 per aperta, e 0 per chiusa. L’acqua che scorre nei tubi rappresenta il flusso di informazioni. In una rete combinatoria si può pensare a un sistema di valvole che si aprono e si chiudono in base alla combinazione di altre valvole. Se l’acqua riesce a passare attraverso tutte le valvole giuste arriva a destinazione, che è l’uscita dal sistema. L’informazione è quindi gestita in modo binario e sul piano matematico questo è espresso dalle funzioni booleane e dalle tavole di verità. In pratica: le funzioni booleane sono la ricetta matematica per costruire una rete logica, dove ogni funzione corrisponde a una determinata disposizione delle parti. Le tavole di verità sono invece il manuale di istruzioni che mostra il comportamento atteso dalla rete logica per ogni possibile combinazione di ingressi. Ora, viene da domandarsi: perché Lacan va a impelagarsi in una struttura del genere? Risposta: perché a un certo punto a Freud viene sollevata l’obiezione che con il suo modo di procedere si potrà sempre trovare un significato checchessia, giacché qualsiasi incrocio di significanti porterà sempre in qualche angolo dove si fanno tornare i conti con il significato. E secondo Lacan la risposta di Freud all’obiezione porta immediatamente sul terreno della struttura di rete. Non stiamo ora a vedere come potremmo ricondurre la risposta di Freud alla logica delle reti, ma quello che Lacan vuol mostrare è che la verità non è data dal confronto con la realtà, ma dal rapporto con il significante. L’esempio è quello della scena primaria dell’Uomo dei Lupi, che Freud si sforza di ricondurre a una osservazione reale, databile con una precisione che persegue con grande acribia. Quel che afferma Lacan in proposito è che si tratta di vedere piuttosto come il soggetto abbia potuto verificare quella scena, verificarla – dice – con tutto il suo essere, e che tutto, dal cinque romano V, che compare nelle gambe aperte della donna, al battito delle ali della farfalla, mostra che si tratta di significante. Il V dell’Uomo dei Lupi in effetti è un po’ come la croce del mio paziente. Ed è a questo proposito che Lacan dice, e qui è il punto cruciale, che “il giro tramite cui l’esperienza psicoanalitica si congiunge con il processo più moderno della logica dipende precisamente dal rapporto del significante con la verità […] Come all’orizzonte della logica moderna si profila l’obiettivo di ridurre la logica a un modo corretto di maneggiare qualcosa che è soltanto scrittura, così per noi la questione della verifica che concerne ciò con cui abbiamo a che fare, passa per il filo diretto del gioco del significante, poiché solo a questo resta sospesa la questione della verità” (p.51). Si tratta quindi di una logica istituita in base a regole di scrittura fondate sul fatto che nel momento stesso in cui si costituisce un alfabeto con determinati significanti, si pongono altre regole che chiamiamo assiomi, che riguardano il loro corretto maneggiamento. La scrittura Qui vediamo un passaggio che ci conduce già a quello che sarà la conclusione del seminario, quando definisce il fantasma come un assioma. Tutte le combinazioni significanti sono regolate da determinati assiomi, e nella nostra pratica questo assioma è il fantasma. La costruzione del fantasma nella pratica di un caso, è quel che fa apparire cosa sta nel fondo del sintomo del paziente, cosa conduce le sue ripetizioni, cosa inquadra le circostanze della sua vita. Ma non lasciamoci incantare dall’idea che ci sia in questo qualche forma di determinismo perché Lacan è giustamente ben lontano da questo. La condizione della logica è la scrittura, ma non qualsiasi scrittura, perché non potremmo fare una logica booleana con i geroglifici o con gli ideogrammi. La scrittura di cui si tratta è la scrittura alfabetica. L’invenzione greca dell’alfabeto ha in sé la grande possibilità dell’automatismo. Se gli scribi egiziani erano una particolare casta che richiedeva una specifica formazione con l’assimilazione di alcune centinaia di segni, per imparare l’uso corretto dei quali gli scribi impiegavano più di dieci anni, la scrittura alfabetica viene assimilata in pochi mesi da un bambino della prima elementare. La grande forza dell’alfabeto è di essere fatto di lettere senza senso, con le quali possiamo riprodurre le parole di ogni lingua. Possiamo leggere un testo aramaico traslitterato nel nostro alfabeto, anche se non ne capiamo il senso, questo grazie al potente automatismo implicito nell’alfabeto. Date le condizioni più radicali di esistenza della logica, come si esprime Lacan – e queste condizioni sono innanzitutto le lettere dell’alfabeto con il loro automatismo – “il problema che ci si pone diventa del tutto evidente: è che per noi si tratta di quello che accade quando dobbiamo parlare di ciò che sta scritto. In altri termini, quando abbiamo a che fare con il soggetto dell’enunciazione che entra in gioco”(p.55). Cosa succede dunque con l’enunciazione? Succede che l’enunciato si modalizza. Se la logica nella sua pura scrittura è apofantica, segue cioè le tavole di verità, quando cominciamo a parlare passiamo al modale, vale a dire che vero e falso si riempiono di sfumature diverse. Gli esempi che fa Lacan sono eloquenti. Se dico “È vero che è falso che…” il falso resta tale e quale, ma “riceve un certo lustro, un inquadramento per cui diventa un falso fulgente”. E se dico “È falso che sia vero…” ci fa vedere che è successo qualcosa. Anche dire “Non è falso” non è la stessa cosa che dire “È vero”. “Per farla breve, la dimensione dell’enunciazione rimette in sospeso qualcosa che non richiedeva altro se non di funzionare automaticamente sul piano della scrittura” (p.55). Direi quindi che prendendo questa prospettiva logica, Lacan, dopo che nel seminario XI ha cominciato a domandarsi se la psicoanalisi sia una scienza, cioè dopo aver messo in dubbio quel che dava per inteso nel suo periodo strutturalista, comincia a mettere le premesse per una diversa forma di razionalità che fa leva sulla logica, ma che fa posto alla scelta, cioè all’incidenza che il soggetto ha nel funzionamento della logica. È questa esplorazione che apre la via verso l’ultimo insegnamento, che decostruirà man mano la logica come scienza del reale per far apparire un reale senza legge.
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