Discorso tenuto a Macerata il 9 novembre 2024 in occasione dell’incontro “Per un amore tenace e ingegnoso” in ricordo di Orfeo Verdicchio. Marco Focchi L’incontro con Orfeo per me si accompagna ad alcune tappe fondamentali nella storia della psicoanalisi in Italia, le ha segnate e scandite, e la sua figura si staglia sullo sfondo di quei momenti che un po’ restano nella memoria e un po’ appartengono al mito e che, in un certo senso, nella nostra amicizia sono stati per Orfeo e per me un mito comune, un mito condiviso. Il primo termine che mi viene per definire questo mito è pionieri. Sia Orfeo sia io, apparteniamo a quella che è stata la generazione dei pionieri del lacanismo in Italia. Oggi si sente parlare di Lacan come di uno psicoanalista che ha lasciato una traccia indelebile nella storia della psicoanalisi, lo si presenta come uno studioso affermato e riconosciuto. Vi assicuro che quando Orfeo ed io, insieme a tutti gli altri nostri compagni d’avventura, ci siamo trovati presi in questa vicenda, le cose non stavano affatto così. Lacan era considerato un pensatore bizzarro, poco più che un personaggio bislacco, mal rappresentato da coloro che se ne erano fatti i primi portavoce negli anni ’70, e che si dispersero poi in altre direzioni.
Il secondo momento della storia fu negli anni ’80, subito dopo la morte di Lacan, con un avvio che, anche questo, inciampò in difficoltà che risultarono insormontabili. Il terzo tempo fu quello buono, e a questo risale al mio incontro con Orfeo. Ricordo le prime riunioni a Milano, con persone che arrivavano un po’ da tutta Italia, e una di queste persone veniva da Macerata. Quando ci incontrammo a Milano nel ’92, Orfeo era già un personaggio con una storia e una sua solida consistenza, con un’importante esperienza clinica e politica, che si sentiva nel suo modo di fare, e che traspariva nella sua capacità di mediare, di organizzare, di spuntare quegli estremismi che a volte si presentano quando i gruppi nascono da fonti e da esperienze diverse. Non per nulla fu affidata a lui la gestione del primo bollettino del nostro nascente gruppo, che si intitolava nel modo più semplice: Appunti. Orfeo lo gestì per i primi cinque anni facendo uscire una cinquantina di numeri: praticamente un numero al mese. Se, vista dall’esterno, questa può sembrare un’impresa semplice, vi assicuro che guardando le cose dall’intento della barca in cui navigavamo non era affatto scontato riuscire a tenere saldo il timone in mezzo a flutti spesso agitati, che sollevavano mareggiate in grado di mettere in difficoltà il più esperto nocchiero. Ma non Orfeo, che con la sua calma fermezza fu in grado di tenere insieme le diverse onde e le diverse correnti, fino al momento in cui tutto si amalgamò, il mare si calmò, e si entrò in un regime di navigazione più sereno. Questa vivacità mercuriale delle acque in cui navighiamo, vista oggi, è solo il segno della ricchezza di elementi che si andavano componendo per dare vita a quel che sarebbe diventata l’istituzione lacaniana. Ma perché tutto questo potesse davvero confluire nell’insieme robusto che è diventata la Scuola lacaniana, occorrevano le capacità, l’esperienza, la sensibilità politica che Orfeo ha saputo dimostrare. E posso senz’altro dire che se il terzo tentativo è andato in porto dopo il fallimento dei primi due, è anche perché c’è stata la mano di Orfeo. La mia relazione con Orfeo è diventata più calda e più intima con il trascorrere degli anni, anni che sono diventati ere geologiche, su cui sono passate infinite variazioni, momenti di discontinuità che hanno traversato la storia del lacanismo, momenti in cui abbiamo incontrato svolte e imboccato strade che non avremmo mai immaginato. Uno di questi momenti fu occasione di un incontro forte, intenso, franco con Orfeo. Fu al tempo in cui ero presidente della Scuola Lacaniana, nata qualche anno prima. Eravamo oramai nel 2010, credo. Abbiamo parlato per più di due ore forse, e dopo quel momento abbiamo cominciato a frequentarci con maggiore intensità. Orfeo veniva a Milano per occasioni di lavoro della Scuola, e io andavo a Macerata per dei seminari clinici. Ormai molta acqua era passata sotto i ponti, non eravamo più i giovani avventurosi pionieri che si erano lanciati alla conquista di terreni vergini del pensiero. Ogni tanto però rievocavamo questa epoca incerta ma affascinante, difficile, instabile, precaria ma al tempo stesso piena di sorprese e di conquiste. Un giorno, in una delle nostre chiacchierate, Orfeo rievocò quel vecchio bollettino, Appunti, di cui aveva tenuto le fila all’inizio degli anni ’90. Erano ormai passati quasi trent’anni, disponevamo di riviste di ottimo taglio editoriale, distribuite in modo ubiquo e non solo in Italia. Chi ricordava più quel vecchio bollettino, fatto con il ciclostile, con mezzi di fortuna, stampato e fotocopiato per essere distribuito alla trentina di partecipanti che il nostro gruppo contava nelle fasi iniziali? Chi, tra i giovani, poteva addirittura sapere che quel bollettino fosse mai esistito? Chi tra quei giovani avidi dei racconti di noi anziani e desiderosi di assaporare delle nostre storie i momenti aurorali degli inizi poteva avere anche solo un’idea di un documento dove tutto questo era meticolosamente registrato? Fu lì che Orfeo mi confidò di avere ancora tutte le raccolte originali dei numeri di Appunti, gelosamente custodite nel suo archivio personale. A quel punto sgranai tanto d’occhi e dissi: “Orfeo, ma questo è un tesoro di documenti d’importanza straordinaria, dobbiamo farlo conoscere a quelli che iniziano, a quelli che si stanno accostando e non sanno da dove vengono tutte le cose che abbiamo ora.” E siccome ora non eravamo più nell’epoca del ciclostile ma in quella di internet, la cosa più logica fu digitalizzare le copie d’archivio per renderle disponibili, impresa a cui Orfeo si dedicò con grande slancio, e dopo qualche settimana mi fece avere sulla mia email la serie completa. Evoco questo momento perché fu come riaprire le porte della nostra storia. Orfeo ne fu felice, e sicuramente l’iniziativa fu accolta con entusiasmo anche dai giovani, che poterono trovarsi tra le mani non solo i nostri racconti, ma un vero e proprio archivio di documenti storici. Poterono vedere le esili mosse iniziali di un'istituzione in cui erano entrati quando era consolidata, robusta, ben avviata nel suo funzionamento. Potrei evocare molti altri momenti della mia vicinanza con Orfeo: gli incontri a Napoli, per esempio, nell’ambito del centro Paul Lemoine, o nella scuola Esculapio che aveva fondato. Questo è tutto quel che è venuto dopo. Nell’episodio di Appunti, eravamo giovani, eravamo costruttori di futuro, eravamo proiettati in avanti, volevamo respirare a pieni polmoni il vento turbinoso della vita, ed è così che voglio ora ricordare Orfeo.
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Novembre 2024
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