![]() Marco Focchi Appunti per un dibattito all'Università Complutense di Madrid - 18 ottobre 2024 Nel seminario su La logica del fantasma Lacan traversa, a modo suo, il tema cartesiano del cogito. A modo suo significa che lo sovverte, lo rovescia, e prende appoggio sul cogito per formulare il soggetto dell’inconscio mettendo in campo un grande dispiegamento di strumenti logici e matematici. Cartesio torna ripetutamente come riferimento per Lacan. La frequentazione dei filosofi, ha portato spesso Lacan a confrontarsi con Hegel, Kierkegaard , Sartre, Heidegger. Cartesio è però un filosofo particolare, perché è lo spartiacque da cui procede la modernità, e perché mette per questo a tema in modo specifico il problema dell’inizio, la ricerca di un punto sicuro da cui partire. I filosofi poi, come si sa, hanno sollevato qualche riserva sull’idea dell’inizio. Hegel, per esempio, ne La scienza della logica, critica le concezioni tradizionali che cercano di stabilire un punto di partenza assoluto e immediato per il pensiero. Le concezioni tradizionali a cui si riferisce sono evidentemente proprio quelle che risalgono a Cartesio, il quale cerca per l’appunto il fundamentum inconcussum, la base incontrovertibile su cui far leva per avviare tutto lo sviluppo del suo pensiero. Sappiamo come ci arriva: si libera di tutto ciò di cui si può dubitare, svuota l’universo aggrappandosi all’unica cosa di cui non può sbarazzarsi, cioè il fatto di pensare, per poi rimontare tutto pezzo per pezzo. Così facendo produce una sorta di punto esterno al mondo, un punto che è un po’ come lo sguardo di Dio, cioè l’unico essere che potrebbe guardare il mondo come un oggetto, come qualcosa che gli sta di fronte. Perché noi, noi mortali, nel mondo siamo immersi, non possiamo guardarlo da fuori come ci si immagina possa fare l’astronauta, che è tuttavia dentro al mondo tanto quanto noi.
Una volta estratta la cosa pensante, il corpo può essere descritto come una macchina, e nel suo libro su L’uomo Cartesio precisa in ogni dettaglio il funzionamento di questa macchina. Prudentemente, dopo la condanna di Galileo, Cartesio il libro non lo pubblicò. Sappiamo però che, di nascosto Cartesio si procurava cadaveri da sezionare, e il libro raccoglie le sue esperienze, diciamo così, di anatomo-patologo. Messa al sicuro l’anima, sigillata nella res cogitans, il corpo è spogliato della sua sacralità, e se ne può benissimo studiare il funzionamento sul cadavere. Il corpo cartesiano non è niente più che un complesso di molle e tiranti, è una macchina, come lo è il mondo, che nasce dalle interazioni meccaniche della materia e del movimento. Quando Lacan considera che la scienza è la necessaria premessa della psicoanalisi, credo occorra vedere in questo determinismo totale una delle condizioni perché possa presentarsi a Freud l’idea di un determinismo inconscio, per quanto il determinismo evidentemente per la psicoanalisi non sia affatto totale, e vi sia in ultima istanza nella psicoanalisi il rimando a una scelta soggettiva, aspetto questo che era già ben presente a Freud. Per la psicoanalisi c’è un varco nel determinismo, un pertugio, una frattura dove s’inserisce l’idea, del tutto fuori legge, che non c’è rapporto sessuale. Su questo drittofilo vediamo allora come il corpo cartesiano con tutti i suoi meccanismi sia molto distante dal modo in cui Lacan concettualizza il corpo presentandolo come corpo parlante. In questa prospettiva, per Lacan, il corpo è, possiamo dire, il palinsesto dell’inconscio. Dobbiamo qui misurare tutta la distanza tra la concezione freudiana dell’inconscio come negativo della coscienza, come istanza che colma le lacune della coscienza, e quel che presenta Lacan ne La logica del fantasma dove prende come riferimento per l'inconscio non la coscienza, ma il corpo. Si vede insomma, a partire da qui, tutta la differenza di una concezione dell’inconscio come quello freudiano, fatto di rappresentazioni di derivazione herbartiana, e un inconscio fatto di significanti, che si sgancia nettamente dall’ontologia implicita nella rappresentazione. Il corpo, dice Lacan è fatto per inscrivervi qualcosa che chiamiamo marca, il corpo è fatto per essere marchiato. A Parigi tra un mese ci incontreremo per le giornate di lavoro annuali con il titolo Phrases marquantes, frasi che segnano, frasi che marchiano. Niente di più frequente, nell’esperienza psicoanalitica, che incontrare nel racconto di un paziente il ricordo di una frase, o semplicemente di una parola, sentita per caso quand’era bambino, un parola del tutto neutrale, del tutto comune, ma che ha avuto sul soggetto un effetto traumatico. Quali sono allora queste frasi apparentemente innocenti e tuttavia d’impatto così violento? Se le parole, come nella prospettiva di Agostino, servissero solo a dire le cose, non potremmo spiegarcelo. Ma le parole funzionano piuttosto aprendo delle vie, quali sono le parole che segnano se non quelle che aprono nel corpo un varco all’irruzione della sessualità? È questa presa del sesso sul corpo che lo manda in pezzi, che lo rende morcelé, frammentato. Se l’inizio, per Cartesio, è definito da un pensiero presente a se stesso, per Lacan è invece questa disarticolazione, questo sbriciolamento, questa disorganizzazione. “Ecco – dice Lacan – quel che la nostra esperienza dimostra esserci alle origini soggettive.” Credo che su espressione sia interessante fare qualche riflessione. Metterei l’accento sul termine “origini soggettive”. Da cos’ha origine infatti per noi il soggetto? C’è da un lato una genesi del soggetto che Lacan articola attraverso le operazioni di alienazione e di separazione. Si tratta in questo caso di vedere come il soggetto nasce una volta presupposto l’Altro. Si parte allora da un Altro costituito, e il soggetto, che all’inizio non è niente, deve inscriversi nel significante per poi potersi separare, estraendo dall’Altro l’oggetto “a”, e il soggetto, diventa marca della mancanza di questo oggetto. Il soggetto resta così come traccia dell’oggetto sottrattosi. Da un altro lato ci sono queste origini soggettive dove il soggetto nasce da una dispersione del proprio corpo e, in un certo senso, dalla disappropriazione del corpo. Lacan lo segnala quando dice che il soggetto ha un corpo, non lo è, perché quel che il soggetto abita è il linguaggio, non il corpo. Nel momento in cui il soggetto è soggetto del linguaggio, l’origine corporea diventa un fantasma, il fantasma del corps morcelé. Al di là dell’esperienza fenomenica Lacan cerca però una logica del fantasma, la insegue nelle innumerevoli formalizzazioni che mette in gioco, ma queste formalizzazioni non hanno nessuna vocazione di arrivare a qualche genere di oggettivazione. La trascrizione matematica che Galileo fa della natura la rende oggetto, e una volta fatta oggetto di calcolo, la natura diventa trattabile, asseconda – non senza farcene pagare il prezzo – la volontà di potenza generata dalla metafisica greca e giunta al culmine con il trionfo della tecnica. Lo scienziato, in questo senso, prende il testimone di Cartesio: si astrae dal campo di operazioni oggettive su cui lavora. Il suo corpo è nel laboratorio, ma il soggetto resta fuori, è messo tra parentesi, in una sorta di epochè, e non potrebbe essere diversamente. Per poter operare con il metodo scientifico lo scienziato si deve far erede dello sguardo di Dio. Vediamo d’altra parte che la scienza oggi ha preso il posto che nella tradizione spettava alla fede. Ho trovato una folgorante conferma di questo epocale ricollocamento della fede religiosa nella certezza scientifica nella conferenza stampa concessa da Bergoglio di ritorno dal suo viaggio in Belgio a fine settembre, durante la quale, per sostenere che l’aborto è un omicidio, Bergoglio si è sentito in dovere di fare appello alla scienza. L’aborto, ha detto, è un omicidio non perché, come in precedenza ha sempre sostenuto la Chiesa, l’anima è presente nello zigote sin dal concepimento, ma perché “la scienza dice che già a un mese dal concepimento ci sono tutti gli organi.” L’uomo non è l’animale dotato di linguaggio, né l’essere in cui Dio ha insufflato l’anima, ma un corpo fornito di tutti gli organi necessari. Colpisce questa espressione “la scienza dice”, piuttosto che, per esempio, “la Chiesa sostiene come argomento di fede”. E tuttavia anche questo “la scienza dice” a suo modo è un argomento di fede. Non di fede in Dio, naturalmente, ma di fede nella scienza in quanto tale, come se la scienza, che è una pratica fatta di operazioni concrete, potesse dire cos’è un uomo. La scienza insomma – con il crollo del racconti tradizionali che danno un posto all’uomo nell’universo, stabilendo da dove viene, cosa deve fare, cosa sarà di lui dopo la morte – è chiamata a surrogare la fede con le sue certezze, che vengono a questo scopo estese al di là del loro legittimo campo di applicazione. Per quanto riguarda il fantasma, quando Lacan parla delle origini soggettive, non si riferisce a un soggetto esterno alla propria origine. La questione del soggetto è anzi proprio interna all’origine. Il problema fondamentale che Freud rileva come interrogativo infantile è: “Da dove vengono i bambini?” Si tratta certamente di una questione traversata dalla sessualità, ed è anche la forma oggettivata, proiettata sull’altro, della questione più profonda: “Da dove vengo io?” I fantasmi originari sono per l’appunto la risposta a questo interrogativo. In un c erto senso ogni esperienza analitica conduce il soggetto a questo punto d’origine, anche se non si presenta nella sua forma esemplare, anche se traspare tra le righe, anche se semplicemente s’intreccia in un racconto quotidiano, possiamo sempre riconoscere una linea di discorso del soggetto la cui freccia punta in quella direzione. Prendiamo tuttavia la scena primaria canonica, quella ricostruita da Freud nell’Uomo dei lupi. La scena rappresenta un coito genitoriale osservato dal bambino, che lo interrompe con una defecazione. Se la questione fosse semplicemente quella: “Da dove vengono i bambini?” il soggetto avrebbe qui una risposta. Ma siccome, per l’appunto, l’interrogativo profondo è: “Da dove vengo io?”, il coito osservato non è una rappresentazione semplicemente vista dall’esterno, posta davanti agli occhi del soggetto come fosse una scena teatrale, perché è il coito da cui è generato il soggetto stesso. Il soggetto è così presente in due posizioni, come osservatore e come osservato. Lo stesso vale per il fantasma isterico di seduzione: la ragazza che vede nel padre un seduttore anziché una figura di protezione, rappresenta nel coito incestuoso la scena sessuale da cui deriva la sua nascita. La differenza qui è che invece di osservarla il soggetto vi partecipa. Vediamo insomma come la presenza del soggetto sia comunque differita da se stesso. Quando Lacan dice che il soggetto dell’inconscio è il soggetto della scienza lo ha preliminarmente svuotato della presenza a se stesso che caratterizza il soggetto cartesiano. Quel soggetto che per Cartesio era fondamento incontrovertibile, visto nel fantasma originario diventa uno sprofondamento inarrestabile. Nel bellissimo libro Giuseppe e i suoi fratelli Thomas Mann cerca un punto d’inizio della storia che vuole raccontare, e si spinge sempre più lontano nel tempo, fino ad arrivare ad Abramo nella città di Ur, il cui nome risuona in tedesco come l’origine. Ma anche quando siamo arrivati all’origine c’è sempre qualcosa prima, e si finisce nell’arretramento abissale di un tempo infinito. Il punto da cui iniziare la storia sono allora - dice Thomas Mann con una definizione che trovo straordinariamente espressiva – le quinte del tempo, sono uno scenario che copre il Chasma, la voragine che inghiotte tutto nella propria insaziabile profondità. Il fantasma originario è così una quinta del tempo, a partire dalla quale il soggetto interroga la propria provenienza, e quando Lacan, alla fine della sua indagine, nel seminario definisce il fantasma come un’assioma, dobbiamo prenderlo, credo, esattamente per il valore che hanno gli assiomi nella formalizzazione matematica: della barriere che impediscono di inabissarsi nei paradossi russelliani, delle sponde che limitano, nel momento stesso in cui le definiscono, le operazioni possibili della matematica, degli schermi senza i quali si aprirebbe un caos ingovernabile. In ultima istanza: gli assiomi, come il fantasma, sono delle quinte del tempo, un punto d’arresto rispetto allo scivolamento angosciante nell’infinita regressione del pensiero, un corrimano per non cadere nel circolo vizioso che fa precipitare in un avvitamento senza vie d’uscita.
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