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Il buon uso dell'inconscio

Conferenze, seminari, interventi e testi del dott. Marco Focchi
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Dovunque altrove - capitolo terzo

30/9/2024

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DOVUNQUE ALTROVE
I topoi freudiani e il problema del soggetto nel pensiero psicanalitico 


​Amelia Barbui e Marco Focchi
​

​Capitolo terzo

​GENESI DEL SOGGETTO E COGITO

​Prima di analizzare in dettaglio l’operazione di negazione dei complementari, attraverso cui Lacan schematizza il rapporto dell’essere con il linguaggio, occorre considerare la nascita del soggetto, perno dell’operazione stessa. 

Primo tempo, alienazione: $

​La genesi del soggetto avviene attraverso due operazioni che Lacan chiama di alienazione e di separazione1. La prima vale a mettere il soggetto, che inizialmente non è niente, mera esistenza indefinita, in relazione con la catena significante, con l’Altro che gli preesiste. Possiamo far risalire a questo momento d’incontro il tempo della rimozione primaria, a partire dalla quale il soggetto è condannato ad apparire soltanto nella divisione.
La sigla $ indica una cancellazione originaria: qualcosa manca al suo posto e non potrà farvi ritorno che in forma mascherata o di sostituzione, per esempio nel sintomo, nel sogno, o nelle formazioni dell’inconscio.
L’operazione di alienazione segna dunque la prima inscrizione del soggetto $ nel luogo dell’Altro: uscito dalla propria mera esistenza biologica, il soggetto si aliena da sé per farsi rappresentare nell’Altro. Possiamo dire che il bambino, poiché qualcuno parla di lui, si trova sin dall’inizio soggetto al campo simbolico.
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Nel momento in cui la madre, prototipo dell’Altro in quanto depositaria della lingua materna, si rivolge al bambino, lo chiama in causa impegnandolo nella parola e determinandolo come soggetto. Gli si rivolge designandolo in un significante, siglato S1, che rappresenta il soggetto nel campo dell’Altro dove di fatto non è. In un certo senso, dunque, lo rappresenta nel luogo da cui è cancellato. S1 segna il posto in cui il soggetto è rappresentato e quindi assente. Per chi S1 rappresenta il soggetto? Per un altro significante. S1 è così il significante che rappresenta il soggetto (cancellato e quindi siglato $) per un altro significante, indicato con S2. Tale relazione si può riassumere nella formula:​
​L’operazione di alienazione produce dunque un soggetto barrato, $, dal significante, S1, che ne è la causa. L’inscrizione del soggetto nel luogo dell’Altro, costituendolo come senso, ne provoca però, al tempo stesso, la mancanza d’essere, in quanto esso è costretto a reperirsi dove non è.
L’alienazione di per sé non è tuttavia sufficiente per generare il soggetto. Da questa operazione risulta infatti un soggetto che, non potendosi riconoscere al di fuori del significante, non è in grado di trovare una designazione propria, un punto di certezza al di fuori del gioco sostitutivo delle rappresentazioni, e scivola indefinitamente lungo la catena significante.

Secondo tempo, separazione: a​

Per uscire da tale slittamento metonimico occorre che il soggetto si riconosca, non tanto nel significante in cui l’Altro lo nomina, quanto piuttosto in ciò che l’Altro desidera. Solo l’oggetto, che regola il desiderio e gli dà consistenza, ne determina un punto di arresto, di fissazione.
Contrariamente al significante, infatti, l’oggetto non è sostituibile ed è eterogeneo rispetto alla rappresentazione.
Con la seconda operazione, di separazione, intesa come separazione dalla catena significante, il soggetto si trova così in relazione con il desiderio dell’Altro. Essa segna il momento in cui gli si rivela che non tutto è riducibile a significante, che non tutto è rappresentabile. Nel linguaggio c’è un buco incolmabile che non può essere ricoperto adeguatamente da alcun significante perché nessun significante è in grado di rispondere in modo esauriente alla domanda radicale che pone il bambino: «Cosa sono io per te? Cosa vuol dire il significante attraverso cui mi nomini e che mi rappresenta presso di te?». Nessuna parola può rendere il significato di questo significante perché esso coincide, né più né meno, con l’essere stesso del soggetto, che è la sola risposta alla domanda: «Qual è il tuo desiderio? Cosa vuoi da me?».
Attraverso la separazione rientra dunque in gioco l’essere che il soggetto ha perduto nella precedente operazione in cui si era inscritto nell’Altro come $, mancanza d’essere. Per trovare posto nell’ordine simbolico aveva dovuto infatti rinunciare a essere l’oggetto indeterminato del godimento dell’Altro. Può ora, con la seconda operazione, avere una contropartita alla perdita subìta, recuperando qualcosa (solo una parte, non più la totalità ormai definitivamente esclusa; ed è questo il senso dell’oggetto parziale) del posto che ha avuto nel desiderio dell’Altro. 
È un recupero di godimento, chiamato da Lacan plusgodere, che avviene, come vedremo più precisamente, con la sovrapposizione di due mancanze2. La mancanza d’essere compensa la mancanza dell’Altro invertendo la negatività di entrambe nella positività dell’oggetto a.
Le due operazioni di produzione del soggetto ora descritte vengono formalizzate in due funzioni logiche della teoria degli insiemi: l’unione e l’intersezione. 
Illustriamole brevemente attraverso una immagine. ​

​Nobili o pirati: l’unione come supporto logico dell‘alienazione

Supponiamo che A sia l’insieme dei pirati e B quello dei nobili. Se ai due insiemi applichiamo l’operazione di unione (che si indica A ∪ B) l’insieme che ne risulta comprende solo gli elementi che appartengono ad A o a B, vale a dire soltanto persone che possono qualificarsi o come nobili o come pirati, ma che non possono accumulare i due titoli, non possono cioè essere sia nobili sia pirati. Se si verifica il caso di personaggi che siano pirati nobili o nobili pirati dobbiamo escluderli dal nuovo insieme o metterli di fronte alla scelta di perdere una delle loro prerogative: possono partecipare come nobili, abbandonando la pirateria, o come pirati, abdicando alla nobiltà.
L’operazione di unione implica dunque una scelta che nel caso della genesi del soggetto è forzata. La perdita, implicata nella scelta, che consegue all’unione sarà forse più chiara se facciamo un esempio numerico: se sia A sia B sono due insiemi ciascuno composto da cinque elementi e due di questi elementi sono in comune, l’unione A ∪ B comprende otto elementi di cui cinque appartengono ad A e tre a B, oppure tre ad A e cinque a B. O ancora: se A ha come elementi {a,b,c} e B {b,c,d} otteniamo che: A ∪ B = {a,b,c,d}.
Se rappresentiamo l’operazione di unione con i cerchi di Eulero vediamo che la scelta avviene nella zona centrale dove i cerchi si sovrappongono e dove si trovano gli elementi in comune ai due insiemi.
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L’alienazione si basa sull’operazione di unione perché, inscrivendo il soggetto nella catena significante, ha la funzione di collegarlo con l’Altro. Nell’operazione soggettiva, una volta realizzata l’unione, con la conseguente messa in comune di alcuni elementi, non è più possibile restaurare l’integrità degli insiemi di partenza, poiché la scelta ha prodotto una perdita insanabile. Come nel caso di due persone che, decidendo di convivere, riuniscano in una sola casa l‘arredamento di due, difficilmente conserveranno, per esempio, due lavatrici, due cucine, ecc.

La scelta forzata

Nell’alienazione i due corni del dilemma di fronte a cui si trova il soggetto sono l’essere e il senso. È una scelta forzata, secondo Lacan, come quella tra la borsa e la vita3. Come il derubato, per non perdere tutto, è costretto a scegliere la vita rinunciando alla borsa, così il soggetto è indotto a optare per il senso. Tale scelta produrrà una perdita insanabile e di carattere duplice: oltre alla parte che si è costretti a rifiutare, verranno infatti perduti anche alcuni elementi dell’insieme scelto.
La necessità predetermina dunque già la via da seguire, ma occorre che il soggetto la scelga, accettando di perdere quel che gli è negato conservare. Tra essere e senso il soggetto non ha così altra possibilità che optare per il senso, effettuandosi come $, perdendo però, oltre all’essere, quella parte di non senso che va a costituire l’inconscio.
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​La porzione residua di non senso, presente in ogni processo di significazione, non consente a nessuna parola di presentarsi come la realizzazione del senso pieno, in una perfetta corrispondenza di significante e significato. Questo segna la distanza tra la concezione psicanalitica dell’interpretazione e quella ermeneutica.
Anche nel caso della scelta forzata, con cui il soggetto è messo a confronto, che si fonda sull’operazione di unione, il vaglio avviene nella zona centrale in cui i due cerchi si sovrappongono. Qui si intersecano gli elementi in comune tra i due insiemi che, nel caso del soggetto, concorrono a definire il «progetto bambino»: il nome con cui verrà chiamato, gli ideali che gli verranno presentati e che amerà o respingerà, gli oggetti perduti che apriranno la via alla libido nell‘esperienza della sua vita.

Il soggetto e l’Altro: S ∪ A

​Schematizziamo l’operazione di alienazione del soggetto in base all’unione logica.
I due insiemi, a cui si deve applicare l’operazione di unione, sono il soggetto e l’Altro.
Prendendo il significante nella sua definizione saussuriana come elemento puramente differenziale senza valore positivo, la concatenazione può essere rappresentata semplicemente dall’opposizione S1, S2.
L’Altro, come insieme dei significanti che preesiste al soggetto, può dunque riassumersi nell’opposizione S1, S2.
Il soggetto invece, prima di inscriversi nel significante, non è niente più di un polo vuoto di attributi, è l’organismo esposto ai bisogni come pura prefigurazione della mancanza. Può dunque benissimo essere rappresentato dall’insieme vuoto: Ø.
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Si tratta ora di effettuare l’unione tra il soggetto, Ø, e l’Altro, {S1, S2}. L’insieme vuoto viene a prendere posto nell’Altro producendo una sorta di delocalizzazione dove S1, il significante unario, il nome con cui il soggetto viene chiamato, attrae l’insieme vuoto realizzando l’operazione S ∪ A, (S è il soggetto prima della divisione; A è l’Altro).
Nella zona di sovrapposizione tra i due cerchi si produce il soggetto. Se inizialmente esso è niente, l’essere nominato e chiamato in causa dall’Altro lo costituisce come assoggettato al significante. S1 ne stigmatizza la posizione: il soggetto come vivente scompare eclissato sotto il primo significante che lo pietrifica consegnandolo all’Altro. Solo con l’intervento del secondo significante, S2, che fa nascere il senso, S1 assumerà retroattivamente la funzione di rappresentare il soggetto.
In altri termini, l’essere del soggetto come vivente viene ghermito dal significante unario dell’Altro, sollecitato dagli effetti di senso che si producono in S2. Il soggetto non ha infatti nessuna proprietà specifica preliminare, e si produce come effetto del significante solo nel momento in cui è costretto alla scelta forzata dell‘alienazione che lo determina come mancanza, $.
Niente può mancare se non esiste un posto dove qualcosa dovrebbe esserci e invece non c’è. Per questo la mancanza d’essere diventa reperibile solo a condizione di individuare il significante che ha determinato il soggetto producendo la rimozione.​

lI non senso e il ritorno del rimosso

Nella scelta fondata sulla operazione di unione il soggetto, oltre a perdere l’essere per costituirsi nell’insieme significante, resta privo anche di un significante (quello compreso nell’intersezione tra i due cerchi) che corrisponde al nucleo della rimozione primaria. Lo schema logico dell‘alienazione permette così di formalizzare in modo semplice e chiaro la rimozione in senso freudiano. Scegliendo il senso il soggetto si trova messo di fronte a un residuo irriducibile di non senso. Ciò significa che se l’Altro, come insieme dei significanti è coerente, ha senso, è tuttavia incompleto poiché da esso è espulsa una porzione di non senso che fa ritorno ogni qual volta si manifesta una formazione dell’inconscio. Il ritorno del rimosso rimette cioè in circolazione la parte di non senso eliminata, attraverso formazioni di compromesso quali i lapsus o i sogni. L’inconscio non ha senso nel campo dell’Altro, ma fa sentire proprio questo non senso che, lungi dall’essere eliminato una volta per tutte, costituisce il complemento della parola come sua zona d’ombra.Se nessuno, tranne il paranoico, può avere la certezza di aver detto l’ultima parola sulle cose del mondo, è per il fatto che si produce un residuo di non senso, come zavorra che stabilizza ogni delucidazione di senso.
Il senso dunque è sempre insoddisfacente perché il non senso è ineliminabile, e la struttura della divisione soggettiva può essere indicata tra mancanza d’essere e non senso: $ ∨ S1.

​Nobili e pirati: l’intersezione come supporto logico della separazione

Se l’alienazione inscrive il soggetto nel luogo dell’Altro e lo mantiene in una posizione oscillante tra senso e non senso, tra essere e significante, la separazione, seconda operazione della genesi soggettiva, introduce un elemento eterogeneo rispetto al significante, mostrando come la funzione dell’oggetto risponda a quella del soggetto dell’inconscio attraverso un altro tipo di mancanza nell’Altro, che non è mancanza di un significante e che non è omologabile alla rimozione.
Per la separazione il supporto logico è fornito dall’operazione d’intersezione, che nella teoria degli insiemi è indicata dal segno ∩ .
Se consideriamo gli insiemi A e B, la loro intersezione (che si scrive A∩B) corrisponde all’insieme in cui sono compresi tutti gli elementi che appartengono sia ad A sia a B. Se non ci sono elementi in comune, nella zona d’intersezione troviamo solo l’insieme vuoto.
Ogni insieme comprende infatti come proprio sottoinsieme l’insieme vuoto, Ø, il quale non può però essere contato come elemento essendo eterogeneo rispetto agli elementi dell’insieme stesso.
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Tornando all’esempio in cui A è l’insieme dei pirati e B quello dei nobili, l’intersezione, A∩B, è l’insieme di tutti coloro che sono sia nobili sia pirati. Gli elementi provenienti da A che partecipano al nuovo insieme saranno così i pirati nobili, quelli provenienti da B i nobili pirati. Diversamente dall’unione, l’operazione d’intersezione non implica una scelta.

L‘indicibile del desiderio

La separazione, basata sull’intersezione, serve a Lacan per far entrare in gioco il limite del simbolizzabile. Non concerne più infatti il rapporto del soggetto con l’Altro del significante, ma con l’Altro desiderante, non riguarda la struttura linguistica dell’inconscio, ma l’indicibile del desiderio che alimenta l’equivocità della parola.
Con la separazione si apre una nuova dimensione della struttura soggettiva, relativa al godimento, che occorre mettere in corrispondenza con il soggetto dell’inconscio prodotto nell’alienazione. Nell’articolazione tra i due aspetti, che nelle operazioni si evidenziano come formazioni dell’inconscio e recupero di godimento nell’oggetto a, è possibile vedere uno sviluppo della problematica freudiana tra inconscio ed Es.
Si tratta di capire come l’oggetto libidico sia deducibile dal non senso significante e come sorga da un’operazione in cui il soggetto mette in gioco la propria perdita, $, che corrisponde all’insieme vuoto.

l soggetto e l’Altro: $ ∩ A

Nella separazione la mancanza d’essere del soggetto, rappresentata dall’insieme vuoto, interseca l’Altro in una zona dove mancano significanti: non vi è nulla di significabile, neppure il significante di non senso.
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Al posto in cui, nell’operazione di alienazione, c’era il non senso, sorge così l’oggetto che è fatto di mancanza e non è quindi riconducibile a nessun oggetto empirico. 
L’insieme dell’Altro è ancora rappresentato da {S1, S2} e quello del soggetto da Ø, ma nell’intersezione non viene preso alcun significante.
Più precisamente, in quanto, come abbiamo detto, ogni insieme comprende come proprio sottoinsieme l’insieme vuoto, l’operazione può essere scritta nel modo seguente:
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Questo significa che S1 e S2 sono elementi di A mentre l’insieme vuoto vi è incluso non come elemento, ma come sottoinsieme. Poiché $ e A non hanno elementi in comune, nella zona d’intersezione si trova soltanto l’insieme vuoto. Ciò vuol dire che nel campo dell’Altro c’è qualcosa di eterogeneo rispetto ai significanti, rappresentato nel nostro caso dall’insieme vuoto, che forma un residuo non riducibile al significante, che non è elemento di A e tuttavia fa parte della sua struttura.
Se non tutto è riconducibile al significante, c’è allora almeno un interrogativo per il quale non esiste risposta adeguata, e ce ne si può accorgere se si tenta di rispondere fino in fondo a domande del tipo: «Cosa vuol dire?» o «Cosa vuole da me?».
Una incognita, una x residua, resta sullo sfondo di ogni discorso rilanciando i tentativi del soggetto di ottenere una risposta esauriente dall’Altro e al tempo stesso vanificandoli, perché non c’è risposta a: «Che vuole da me?».
L’impossibilità di attingere il senso di una risposta definitiva, indice di una carenza nella struttura significante dell’Altro, è formalizzata nel nostro schema con l’insieme vuoto incluso nell’Altro. Quel che è incluso senza essere elemento, il divario tra la parte piena e quella vuota dell’Altro, costituisce una sorta di «estimità» 4, di esclusione interna: possiamo enumerare tutti gli elementi dell’Altro senza mai incontrarla, eppure c’è.
L’intersezione include dunque ciò che nell’Altro è eterogeneo al significante, la mancanza di risposta che è anche il suo desiderio, e la mancanza d’essere del soggetto che abbiamo visto realizzarsi nella precedente operazione di alienazione concernente la rimozione primaria.
Cosa si manifesta in questa sovrapposizione di due mancanze? Il modo in cui il bambino, per dare una risposta all’incognita del desiderio dei genitori, mette in gioco tutto il proprio essere.
Essendogli sconosciuto l’oggetto del loro desiderio, alla domanda: «Cosa vogliono da me?» offre come risposta tutto se stesso come oggetto. Al desiderio dell’Altro come mancanza incolmabile corrisponde nel bambino il fantasma della propria morte, l’annientamento, la sparizione, il diventare questa mancanza stessa. Il soggetto tenta così di tappare la falla dell’Altro sovrapponendovi la propria mancanza. Per verificare quel che egli è per l’Altro non può che sparire, come se si domandasse: «Esisto per lui? Se sì, vuol dire che gli manco». Avendo infatti a disposizione soltanto se stesso come insieme vuoto, il soggetto può ritrovarsi nell’Altro solo dove c’è una falla, essendo ciò che manca. In tal modo, attraverso la prova dell’amore e del godimento, forma una sorta di equivalenza tra la mancanza dell’Altro e ciò che egli è come soggetto dell’inconscio.
La separazione è dunque un distacco dall’Altro del sapere, inteso come catena significante, ma è al tempo stesso, in quanto sovrapposizione di due mancanze, una congiunzione con l’Altro del desiderio, è il modo attraverso cui il soggetto cerca un oggetto in grado di compensare l’impoverimento vitale che ha subìto come essere sessuato 5.

​Risarcimento della perdita e transfert

Come contropartita, nella separazione, nel luogo in cui le due mancanze si pareggiano, si inscrivono gli oggetti a tramite i quali il soggetto ottiene una risposta, anche se non verbale, su quale posto ha avuto nel desiderio dell’Altro. Si crea così un particolare ancoraggio che prende forma nel fantasma e che restituisce al soggetto una unità apparente.
L’operazione di separazione, fornendo un complemento alla perdita della rimozione primaria, ha un‘importanza essenziale nell’esperienza psicanalitica in quanto è relativa al campo del transfert. Nell’intersezione vuota, dove si situa a entra in funzione infatti il desiderio dell’analista il quale, operando dal luogo dell’Altro, in un certo senso si prende cura dello spazio vuoto dove il soggetto è chiamato a essere. Abbiamo qui l’aspetto più viscerale del transfert, riguardante la domanda d’amore e di morte.
Per considerarne l’altro versante dobbiamo invece fare un passo indietro e tornare all’operazione di alienazione, dove il transfert appare come una conseguenza della relazione simbolica con l’Altro, della perdita d’essere segnata dalla castrazione. L’interpretazione, come operazione simbolica di decifrazione, si innesta sul transfert inteso come appello a un soggetto supposto sapere. Tuttavia, in quanto spinta della cura, il transfert corrisponde logicamente al momento peculiare della separazione, in cui il soggetto mira alla mancanza dell’Altro per tentare di collocarvisi. L’interpretazione non si limita all’aspetto della decifrazione ma si svolge attraverso le due operazioni che si intersecano lungo il vettore del transfert.
Se l’alienazione bilancia l’interpretazione nel gioco tra senso e non senso, la separazione porta al di là del senso facendo vertere la questione sull’essere.

​Posizione del soggetto e negazione del cogito cartesiano

Per quanto sia in grado di ricentrare la complessità dell’esperienza, lo schema di alienazione-separazione non è tuttavia specifico della situazione psicanalitica, ma illustra il momento genetico strutturale in cui il soggetto viene chiamato a prendere posto nel luogo dell’Altro e a farsi rappresentare da un significante, definendo così la nascita del soggetto nel reale.
Per tale ragione Lacan affronta, a partire da questo schema, la problematica cartesiana del cogito imperniandolo su una nuova scelta forzata che contempla, questa volta, la situazione psicanalitica in quanto attraverso essa si definiscono il rigetto dell’inconscio da parte del soggetto, per così dire «normale», e la possibilità che la psicanalisi offre di ritrovare la verità.
Ma per quale ragione risalire alla problematica cartesiana? Per il fatto che essa stabilisce lo statuto del soggetto nel pensiero moderno con cui la psicanalisi stessa deve confrontarsi.
Parmenide aveva sentenziato che essere e pensare sono lo stesso, e la filosofia greca è stata determinata da una ontologia per cui il pensiero fa parte dell’essere. La disposizione fondamentale della filosofia antica, di cui testimoniano tanto Platone quanto Aristotele, è lo stupore di fronte all’essere.
Con Cartesio l’accento si sposta dall’essere al pensare. Se è vero che penso e sono, l’essere viene a dipendere dal pensiero: il pensiero è la sola premessa e la realtà viene dedotta. La prima posizione spetta al soggetto che permette di isolare l’essere dando luogo al discorso scientifico. Abbiamo così una diversa impostazione ontologica dove spicca il soggetto della coscienza che, in quanto tale, deve accorgersi di pensare. È un soggetto che non solo pensa, ma che sa anche di farlo, e l’essere viene pensato a partire dall’io. L’intersezione tra pensare ed essere non risulta vuota, e la differenza con Parmenide sta nel fatto che il campo in cui si coniugano il pensiero e l’essere è l’io.
La disposizione fondamentale della filosofia moderna non è più dunque, come per quella antica, lo stupore, ma il dubbio radicale, e la certezza soggettiva è separata dalla verità.
Dopo Parmenide e Cartesio, la terza svolta fondamentale nella storia del pensiero è segnata da Freud che riprende il problema non più a partire dal soggetto della coscienza ma da quello dell’inconscio. L’inconscio è fatto di pensieri dove non c’è io a pensarli.
Diversamente da Cartesio, per Freud il soggetto pensa ma non lo sa.
Sulla base dell’impostazione freudiana Lacan riprende quindi il cartesiano «penso dunque sono» riformulandone i termini secondo l’esperienza psicanalitica.
Per passare dal soggetto della coscienza a quello dell’inconscio deve così negare il cogito ed effettuare una inversione rispetto agli elementi che entrano in gioco nelle operazioni di alienazione e separazione. Il cogito psicanalitico risulta dunque da un segno di negazione posto davanti al «penso dunque sono».

Il cogito trascritto nella teoria degli insiemi

Per formulare il «penso dunque sono» nella teoria degli insiemi, in modo da produrre l’insieme in cui trova posto il soggetto della coscienza trasparente a se stessa, occorre effettuare un’operazione di intersezione tra l’insieme dei pensieri, il «penso», che simbolizziamo con la lettera P, e quello dell’essere, il «sono», che indichiamo con la lettera E.
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Otteniamo così una parte comune sia all’essere sia al pensare. E ∩ P è la formula del cogito cartesiano dove, al tempo stesso, penso e sono, corrispondente, nella figura, alla zona tratteggiata.
La negazione del cogito, implicata dalla psicanalisi, è allora la negazione di E ∩ P, che si scrive:
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Per la legge di De Morgan, la negazione dell’intersezione di due insiemi corrisponde all’unione dei loro complementari e si scrive: ​
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dove le negazioni di E e di P sono rispettivamente i complementari di E e di P.

Le leggi di De Morgan spiegate da nobili e pirati

Riferiamoci ancora una volta all’esempio dei pirati (insieme A) e dei nobili (insieme B) riassumendo schematicamente tutte le operazioni fino a ora trattate.
1. L’unione, A ∪ B, dà luogo alla classe di tutte le persone che sono o solo nobili o solo pirati. È come una sorta di addizione in cui i termini comuni non si ripetono.
2. L’intersezione, A ∩ B, dà luogo alla classe di tutti i pirati nobili e di tutti i nobili pirati e cioè di tutti coloro che sono sia nobili sia pirati.
​
In base alle leggi di De Morgan tali operazioni e la loro negazione possono essere così schematizzate:
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La negazione dell’intersezione  
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corrispondente all’unione dei complementari   ​
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significa che nel nuovo insieme non possono trovare posto persone che siano sia nobili sia pirati. Per accedere a tale insieme occorre che siano o non pirati o non nobili, quindi
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L’unione dei complementari è così rappresentata con i cerchi di Eulero:
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Occorre notare che la negazione dell’operazione di intersezione non corrisponde alla semplice negazione degli insiemi che scriveremmo: ​
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Tale operazione porterebbe infatti fuori dal campo circoscritto dai due insiemi di partenza, ossia alla negazione dell’operazione di unione. ​
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Nel nostro schema la negazione di B è l’insieme di A meno tutto il campo ricoperto dall’insieme B. La negazione di B corrisponde dunque a tutto ciò che nell’unione tra A e B (A ∪ B) non appartiene a B, differenziandosi così dall’insieme A che comprende anche la lente dell’intersezione.
Lo stesso vale per la negazione di A, che corrisponde all’insieme B privato di tutto ciò che appartiene ad A.

Il cogito psicanalitico

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Tornando al cogito, vediamo allora che nel momento in cui si nega l’intersezione cartesiana si produce una nuova unione, non più tra penso e sono, ma tra non penso e non sono, in cui si riassume la formula del cogito psicanalitico. Il soggetto dell’inconscio non è in grado di enunciare la propria presenza. Questo risulta evidente nelle formazioni dell’inconscio dove il soggetto non può dire di essere, come per esempio nel lapsus che si produce al di là della sua intenzione. È il motivo per cui quando si fa un lapsus ci si scusa; è un modo di dire: «non c’ero».
Nel cogito la negazione dell’intersezione corrisponde dunque all’unione della zona di essere dove non c’è niente di pensato: sono dove non penso, e della zona del pensiero in cui manca l’essere: penso dove non sono.
Il nuovo cogito formulato da Lacan, non essendo più una intersezione ma un’unione, propone un diverso tipo di scelta forzata e una nuova alienazione che si sovrappongono alle precedenti dello schema alienazione-separazione.

La seconda alienazione

Causa dell’alienazione questa volta sono la negazione di P e di E, su cui si innesta la scelta, o questo o quello, che nuovamente porta a una perdita. L’alternativa si propone nei termini: o non sono o non penso e, come la precedente tra essere e senso, non concede alcun arbitrio.
La scelta forzata, in questo caso, in opposizione alla precedente, va in direzione del non penso, vale a dire: «Non penso per essere». Per questo il non penso è definito da Lacan come lo statuto normale del soggetto moderno, il solo modo per poter dire «sono».
Nella prima alienazione, la scelta dell’essere si sarebbe trasformata nella sparizione pura e semplice del soggetto, nello stesso modo in cui se tra la borsa e la vita opto per la borsa perdo tutto. Era dunque sempre un modo di evitare l’annullamento, di escludere il non essere.
La seconda alienazione è caratterizzata invece dal fatto che il soggetto non può scegliere che l’essere, ed è condotto verso un «sono» come scelta primaria che si identifica con un «non penso». È una posizione basilare del soggetto come «sono» che, nella logica del nuovo cogito, si enuncia: «non penso, sono».
Correlativa a tale scelta è l’esclusione dell’altro corno dell’alternativa, il «non sono», a cui corrisponde la rimozione in quanto tale.
Nella nuova scelta forzata individuiamo dunque, per un verso, l’affermazione primaria in cui il soggetto preferisce il «non penso», per l’altro la parte rimossa costituita dal «non sono». Si evidenzia così il rigetto del pensiero come inconscio, localizzato nel «non sono».

​
L’essere del soggetto può venir colto solo a partire dal «non penso» e nella sua incompletezza. La lunula del «non penso», infatti, nei cerchi di Eulero, non ricopre tutto il cerchio del «sono» e la differenza corrisponde alla intersezione che è stata negata di partenza:
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All’inizio, per il soggetto, vi è una scelta d’essere e di padronanza: misconoscendosi come effetto del linguaggio, infatti, si immagina di essere padrone del proprio essere. Ma si sbaglia, perché il non penso implica un falso essere che vorrebbe prescindere dal linguaggio come condizione di un’autentica rivelazione d’essere.
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Come evidenzia la figura, la lunula tratteggiata del non penso, ritagliata sul campo dell’essere (l’intero cerchio di Eulero), resta infatti coordinata con una lente (zona non tratteggiata) dove trova posto l’io del cogito cartesiano come falso essere del soggetto. ​
Optando per l’essere attraverso il non penso quest’io viene perduto, ma continua tuttavia a farsi sentire attraverso il proprio complementare, cioè la zona dell’essere corrispondente all’io del non penso.
Tale lente, coordinata con l’essere, è il non-io, l’Es come impersonale, che si riferisce all’oggetto perduto.
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Rispetto al non penso, l’altra opzione è impossibile, perché il prezzo del penso è l’esistenza messa a repentaglio nel non sono, dove, come abbiamo detto, si trovano le formazioni dell’inconscio. È questa la via che diventa praticabile solo attraverso la psicanalisi.
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Anche qui tra l’insieme del pensiero, P, e il non sono, la negazione di E, sussiste la differenza rappresentata dalla lente di intersezione.
Complementare della lunula che forma il campo di inesistenza del non sono è la parte dell’inconscio che non è in P, ciò che Freud chiamava le rappresentazioni di cosa, articolate con l’inesistenza dell’io.
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Si distinguono così l’Es, che rimanda all’oggetto, e l’inconscio, concernente gli effetti di significante. Cercheremo ora di ricollocarli a partire dal testo freudiano e di esaminare le ragioni d‘esperienza che portarono Freud alla necessità di formulare la seconda topica.





​1
Nei corsi Du symptome au fantasme et retour (1982-83, inedito) e 1, 2, 3, 4 (1984-85, inedito) J.-A. Miller ha svolto ampie analisi di queste operazioni a cui faremo riferimento .

2 Cfr. J. Lacan, «Position de l’inconscient» in Ecrits, Seuil, Paris 1966.
3 Cfr. J. Lacan, Le séminaire. Livre XI. Les quatres concepts fondamentaux de la psychanalyse, Seuil, Paris 1973.
4 Cfr. J.-A. Miller, Extimité, corso del 1985-86 (inedito).
5 Cfr. J. Lacan, Position de l’inconscient, cit., p. 849.
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