DOVUNQUE ALTROVE I topoi freudiani e il problema del soggetto nel pensiero psicanalitico Amelia Barbui e Marco Focchi Capitolo quinto IL COGITO PSICOANALITICO: ESISTE UNA MANCANZA La differenza tra inconscio ed Es messa in luce applicando la teoria degli insiemi al cogito cartesiano trova, come abbiamo detto, un punto di articolazione nel transfert. Tale correlazione è evidenziata da Lacan nel seminario sulla logica del fantasma, attraverso uno schema quadripartito costruito in base alla struttura del gruppo di Klein, di cui daremo qualche elemento. Il gruppo di Klein Nella teoria dei gruppi, quello di Klein ha la particolarità di essere un gruppo finito, prevede cioè un numero determinato di operazioni, è di ordine quattro, ovvero comprende quattro elementi, è commutativo o abeliano e non ciclico, il che vuol dire che i suoi elementi sono permutabili. In matematica si definisce gruppo, indicato dalla lettera G, un insieme o un sistema di operazioni tali che l’applicazione successiva di due di esse dà sempre come risultato un’operazione appartenente all’insieme stesso. Il concetto di operazione, nel senso più ampio del termine, sta dunque a fondamento della definizione generale di gruppo, sia che si tratti di operazioni di tipo geometrico, come le traslazioni, sia che si tratti di sostituzioni permutanti un certo numero di oggetti. A noi interesserà questo secondo caso, in quanto la legge di composizione del gruppo quadrinomio di Klein, abitualmente indicato V, consiste nella sostituzione di una funzione con un’altra. In particolare il gruppo V – a differenza dell’altro gruppo abeliano di ordine quattro che è ciclico – viene generato da due operazioni. L’insieme degli enti a cui le operazioni sono applicabili costituisce il campo di applicabilità. Una condizione perché si possa parlare di gruppo è che in ogni caso in cui le operazioni modificano tale campo, le trasformazioni devono ricadere sempre al suo interno. In altri termini, ogni operazione applicata a un elemento del campo deve dare come risultato ancora un elemento del campo stesso. In base a questo presupposto se sigliamo come α e β le due operazioni, applichiamo α a un elemento x del gruppo e poi a quel che ne risulta applichiamo β, come esito abbiamo ancora un elemento del campo, che si dice ottenuto da quello di partenza, x, tramite il prodotto di α e β. La nuova operazione che abbiamo chiamato prodotto viene indicata αβ (oppure, con la notazione additiva, più consona ai gruppi abeliani, α + β o ancora: α, β). Nel gruppo di Klein, come abbiamo ricordato, vale la proprietà commutativa. Ne consegue che αβ = βα, le due operazioni sono permutabili. Per costruire lo schema che ci interessa indichiamo con α l’operazione di negazione che, applicata all’elemento x, produce il suo opposto -x ovvero (x → -x). Con β designamo invece l’operazione d’inversione: A partire da queste due operazioni che generano il gruppo V, possiamo definirne altre due: αβ, il prodotto, già precisato sopra, che indicheremo per brevità con γ cioè (αβ = γ); e l’involuzione, denotata con I, che consiste nell’applicare due volte la stessa operazione, ritornando così al punto di partenza. Viene detta infatti anche operazione identica o identità in quanto, effettuandola, si riproduce l’elemento di partenza, che rimane in tal modo invariante. Se, partendo da x, eseguiamo per due volte consecutive l’operazione di negazione, nel primo tempo otteniemo -x, nel secondo nuovamente x. Lo stesso vale per l’inversione: Se indichiamo la ripetizione con l’esponente due, possiamo allora scrivere: α2 = β2 = I. Abbiamo detto che il gruppo comprende quattro elementi, incluso quello di partenza x, ottenuto attraverso l’operazione di involuzione, che sono da esso deducibili tramite le altre tre operazioni. Con la negazione risulta -x; dall’inversione consegue: il quarto elemento deriva dal prodotto delle due precedenti. Le quattro operazioni così definite, che corrispondono alle condizioni di composizione del gruppo, ci permettono di costruire una tavola di moltiplicazione relativa al gruppo V, che consente di determinare tutti i possibili prodotti tra gli elementi, a prescindere dalla loro natura. La tavola di moltiplicazione serve dunque a individuare la struttura del gruppo di sostituzioni tra le operazioni I, α, β, γ, espressa dalle relazioni: α2 = β2 = I; αβ = βα = γ. Tutte le caselle corrispondenti alla diagonale della tabella, che si legge come la tavola pitagorica associando a due a due le operazioni (per cui, per esempio βγ = α) sono occupate dall’operazione di involuzione. Le relazioni intercorrenti, oltre che tra le operazioni tra gli elementi del gruppo, sono rappresentate nel grafo seguente il cui punto di partenza è situato in alto a destra. L’operazione di involuzione è qui rappresentata dal doppio verso dei vettori. Le operazioni così definite sono: α (x → -x); α-1 (inversa di α: -x → x); La rappresentazione vettoriale delle operazioni mette in risalto come la diagonale γ, sia la risultante dei vettori α e β che hanno origine in x e sono orientati rispettivamente verso: Partendo da x, dunque, la risultante di α e β porta in: L’altra diagonale, da è invece la risultante dei vettori Il punto di partenza è, questa volta, -x. Ciò presuppone che sia già stata effettuata una prima operazione α che viene annullata nel tragitto da punto d’arrivo quest’ultimo, identico a quello dell’operazione β con origine in x. L’operazione sulla seconda diagonale risulta dunque parzialmente involutiva, in quanto, pur non riconducendo al punto d’origine, annulla l’operazione α. In altri termini essa effettua la β tramite la α e si dice la trasformata della β per mezzo della α. Dobbiamo tener presente infatti che i vettori indicano sempre operazioni che producono una trasformazione del termine di partenza x, concretizzate nel termine di arrivo: L’applicazione del gruppo di Klein al cogito psicanalitico Lacan utilizza la struttura del gruppo di Klein, ma modificata. Considera infatti solo metà gruppo in quanto esclude l’operazione di involuzione utilizzando le altre tre. Il grafo assume così un orientamento molto più costruttivo per i nostri scopi. Nel punto d’origine, in alto a destra, mancando l’involuzione, non può giungere alcun vettore di ritorno. Nel punto di arrivo invece, in basso a sinistra, convergono tutti i vettori (le tre operazioni α, β, γ). Collochiamo ora nel grafo gli elementi che ci interessano per cogliere l’articolazione tra inconscio ed Es. In alto a destra, nel punto di partenza, troviamo l’unione dei complementari risultata dalla negazione del cogito cartesiano. E’ la scelta forzata della seconda alienazione che si legge «o non penso o non sono». In modo più radicale potremmo formularla: «O non sono questo segno, o non sono altro che questo segno, ovvero non penso». La scelta non è più tra il significante e l’essere. L’effetto di alienazione è già presente nella sua forma originaria nell’effetto che il marchio, il segno, ha sul soggetto. Come sappiamo, la via a senso unico che il soggetto deve seguire lo porta a optare per il «non penso», di modo che si trova collocato in alto a sinistra in ¬P: Ogni volta che neghiamo il cogito infatti, paradossalmente, il risultato logico è che il soggetto della conoscenza si trova nel «non penso» perché solo qui c’è per l’io l’essere. Lo statuto del soggetto è così riassunto nell’enunciato: «Sono dove non penso». In basso a destra cade l’opzione rimossa, ¬E. A essa può ricondurre solo l’operazione di verità, resa possibile dalla psicanalisi, grazie a cui il soggetto esperisce la propria mancanza d’essere, dove ci sono i pensieri inconsci. «Penso dove non sono» è lo statuto delle formazioni dell’inconscio alla cui verità non vi è accesso diretto. La verità dell’alienazione si rivela infatti, tramite l’interpretazione, nella parte perduta ¬E. Abbiamo per il momento definito tre elementi del gruppo di Klein strutturato da Lacan: la scelta forzata come punto di partenza; il non penso come statuto del soggetto della conoscenza; il non sono delle formazioni dell’inconscio. Abbiamo inoltre determinato due operazioni: di alienazione e di verità. La terza, risultante delle due precedenti, nello stesso modo in cui γ è la risultante di αβ, è il transfert, indicato dal vettore diagonale che collega il punto di partenza con il quarto elemento in cui convergono le operazioni di alienazione e di verità e che contrassegna il momento del termine dell’analisi. Il quadrato completo risulta dunque come segue1. Nell’insieme ¬P l’Es, come non-io, è complementare a ciò che viene perduto nella scelta. L’insieme ¬E è invece coordinato con la zona d’inesistenza dell’io nell’inconscio, il non pensare che Freud chiamava Sachvorstellungen, rappresentazioni di cosa. Nel quarto angolo in basso a sinistra si ricombinano trasformandosi i residui delle operazioni di alienazione e di verità, Es e inconscio, che si intersecano occultandosi. L’Es, complementare del ¬P, portato in basso a sinistra, si sovrappone al «non sono». Grazie al valore dimostrativo del ça che traduce in francese l’Es, questa sovrapposizione viene formulata da Lacan: «Je ne suis que ça», «Non sono che questo», dove «questo» è l’essere del soggetto nella sua mera esistenza, il Dasein. La risposta che il soggetto ottiene dall’analisi alla domanda «Chi sono?» è infatti: «Sono semplicemente l’oggetto di quel che è stato il desiderio di chi mi ha voluto al mondo: sono questo e nient’altro». Il «questo» così formulato è ciò che Lacan chiama oggetto a, e l’Es sottoposto all’operazione di verità si rivela oggetto a, in cui il soggetto si riconosce come non-io. Il «non sono che non-io» risultante dall’intersezione di ¬E e di Es equivale ad a ovvero: (¬E ∩ Es) = a. L’io, il soggetto della conoscenza, che si crede padrone del proprio essere, viene ricondotto così, attraverso l’operazione di verità, alla spoglia realtà della propria esistenza determinata dal desiderio dell’Altro: dal falso essere del cogito alla verità del Dasein. L’altro risultato, ottenuto nell’angolo in basso a sinistra, è dato dall’inconscio che si sovrappone al non penso, ¬P, rivelando l’impensabile dell’inconscio, ossia il rapporto sessuale. E’ quel che Freud indicava con il termine castrazione: l’insufficienza radicale del pensiero rispetto al sesso. La castrazione non è quel che nell’immaginario si configura come minaccia di evirazione, ma l’impossibilità, sul piano significante, di rappresentare la realtà della differenza sessuale. C’è un solo significante, quello fallico, in relazione al quale i due sessi devono situarsi, e manca la possibilità di formalizzare nel simbolo il rapporto uomo-donna. Che non ci sia rapporto sessuale sul piano significante vuol dire che, contrariamente alla piacevole illusione presente nel mito di Tiresia, non è possibile calcolare una proporzione tra i due sessi. L’inconscio che, nello schema, viene al posto di ¬P, rivela un buco ineliminabile nella significazione, un limite del pensiero dovuto al fatto che, per via di una mancanza significante, le significazioni non sono in grado di ricoprire il campo sessuale. Questa mancanza è la castrazione che sigliamo -φ. L’alienazione estrema della verità del pensiero (non sono) porta alla castrazione come l’impensabile della realtà sessuale nell’inconscio: (P ∩ INC.) = -φ. Come esperienza soggettiva la castrazione può essere realizzata solo nell’angolo in basso a sinistra dello schema. In basso a destra, infatti, troviamo sì la mancanza, ma nella sua forma universale non soggettivata. Particolarità dell’esistenza e universalità della mancanza Nella misura in cui il soggetto si avventura attraverso la psicanalisi, nell’impresa di pensare ciò che gli manca per colmare l’insufficienza, l’impensabile diventa esperienza dove a segna un punto d’arresto di fronte allo svanire del soggettivo nella mancanza. Solo in basso a sinistra il sapere senza soggetto dell’inconscio interseca l’esistenza impensabile del soggetto. Solo lì è possibile dire: esisto di fronte all’impensabile, svanisco nel pensiero della mancanza. C’è dunque un «esisto» particolare che si articola con un «manca» universale. In altri termini, l’alienazione da cui si parte all’inizio dell’analisi, prendendo in carico il soggetto alienato, in alto a sinistra, si ritrova al termine dell’analisi approfondita nella sua verità. Il transfert infatti, composto dalle due operazioni di partenza, lungi dall’essere una verità disalienante, risulta piuttosto una verità che si ottiene in alienazione. L’interpretazione tra decifrazione e atto E’ importante tenerlo presente per via delle conseguenze devianti che può avere sull’interpretazione psicanalitica una concezione che la riduca a pura decifrazione, decriptazione. Freud aggiunge qualcosa a Champollion, perché, diversamente dalla Stele di Rosetta che non poteva sviluppare altre resistenze se non quella proveniente dall’opacità dei suoi geroglifici, l’analizzante ha da dire la sua, e può o no lasciarsi lavorare dalle interpretazioni. L’interpretazione psicanalitica non si esaurisce infatti nella neutrale benevola messa a nudo di un senso nascosto, ma include un atto che impegna il soggetto, e che deve essere sostenuto dallo psicanalista. Condizione imprescindibile è che l’interpretazione cada nel campo del transfert. Solo così la decifrazione include l’atto. Nel quadrato l’atto ha radice nella scelta in alto a sinistra, e il suo effetto è reperibile sul vettore che, partendo da ¬P, giunge in basso a sinistra, snudando il reale che il dire ha di mira. La tematizzazione dell’atto psicanalitico ha le sue ragioni nel fatto che il discorso dell’analizzante verte su un referente molto particolare. Qualsiasi argomento stia affrontando – i fatti apparentemente banali della giornata, un sogno, un ricordo d’infanzia o, perché no?, un problema teorico – l’esperienza psicanalitica insegna che in fondo parla sempre di sé, e che dietro tutto il materiale occasionale vi è quel che desidera, l’enigma di ciò che è per il desiderio dell’Altro, quel che vuol realizzare o che vuol evitare. Nelle libere associazioni, in ultima istanza, il referente è sempre l’oggetto a, ciò che il soggetto vorrebbe far giungere al dire ma che resta costantemente fuori dalla presa significante in quanto non è riducibile ad alcuna significazione. Nelle libere associazioni c’è dunque una incapacità di saturare il voler dire: per quanto si dica non si arriva mai a quel che si vorrebbe dire. L’impotenza della parola rispetto all’intenzione significativa è evidenziata, nella figura a pag 65, nell’angolo in alto a sinistra del quadrato, dalla zona mancante all’insieme dell’essere. Suddiviso tra la lunula ¬P e la lente con essa coordinata, l’essere ha nell’Es una porzione resistente alla semantizzazione. Il problema è allora: come trattare, in modo da portarlo a manifestarsi, ciò che è radicalmente refrattario al significante? L’atto psicanalitico risponde esattamente a tale difficoltà perché procede dal punto in cui il dire è impotente di fronte all’interrogativo che si pone il soggetto: «Chi o cosa sono?». «Sono dove non penso», significa infatti: «Mi abolisco in ciò che tu dici io sia; sono dove non mi domando cosa vuol dire quel che dici». Ma a questa posizione è correlativa la domanda: «Cosa devo essere per essere ciò che dici? Qual è il referente?». La virtù per cui l’atto può toccare il referente mancato dal significante non è né la sua estraneità al dire, né che invece di dire faccia, ma che l’atto è ciò che vuol dire, e in quanto tale è omogeneo all’essere fuori significato dell’oggetto a. Irrappresentabilità dell’atto Giungiamo così concretamente al senso della coincidenza di logica ed etica in psicanalisi. Di fronte a una insufficienza semantica del dire non ci troviamo proiettati sul piano del fare o dell’azione, né sul piano di una pratica che per realizzarsi deve lasciarsi alle spalle il proprio momento teorico. Entriamo invece in una dimensione del linguaggio in cui il dire cerca di far segno e si presenta. L’atto, come la verità, ha la caratteristica di non poter essere significato semanticamente perché pur appartenendo al linguaggio è estraneo alla sua funzione rappresentativa. Per questa ragione non si presta a essere raccontato nel resoconto clinico di un caso e può risultare, solo in modo indiretto, dalla costruzione. Nell’aspetto descrittivo del resoconto clinico si coglie invece il versante di decifrazione dell’interpretazione che non risponde a un interrogativo sull’essere, ma sul significato. Entrano in gioco così tanto la semantica delle formazioni dell’inconscio, quanto l’eccedenza del dire rispetto all’intenzione, di cui l’analizzante fa esperienza nello svolgersi dell’associazione libera. Nella misura in cui al soggetto sfugge la padronanza sulla totalità di quel che dice, presta il fianco all’equivoco su cui si inserisce la decifrazione restando colto di sorpresa dal fatto di aver detto più di quel che intendeva. Interpretare il senso distraendo la libido Partendo dalle formazioni dell’inconscio (nella figura 6 in basso a destra) la decifrazione giunge all’angolo in basso a sinistra, dando al soggetto la possibilità di verificare ciò che in fondo già sapeva, ma che gli era impossibile ammettere: che l’Altro è castrato e che non c’è rapporto sessuale. L’analisi, in un certo senso, è un processo di verifica durante il quale l’analizzante produce i significanti ideali che lo rappresentano, e al termine del quale riconosce che lo rappresentano solo accanto a una mancanza di significante. Il vettore della decifrazione, che pone di fronte alla castrazione come senso dell’inconscio, corrisponde, sul piano significante, a quello dell’alienazione. I due piani determinanti del soggetto – articolati nel quadrato di Lacan relativamente alla struttura significante in cui esso è preso e al godimento che ne costituisce la particolarità irriducibile – stanno alla base della problematica freudiana delle due topiche. Nella lezione ventotto dell’Introduzione alla psicanalisi, per esempio, Freud mette in risalto l’importanza, per la conduzione della cura, non solo di interrogarsi su cosa il soggetto voglia dire, ma anche di localizzare dove goda. Il nevrotico – scrive – è incapace di godere e di agire. E’ incapace di godere perché la sua libido non è rivolta verso alcun oggetto reale (che Lacan chiama oggetto a) e viene deviata verso un’immagine che la maschera (cioè verso l’immagine narcisistica, siglata da Lacan i(a)). E’ incapace di agire perché deve spendere gran parte della propria energia per mantenere la rimozione e premunirsi contro il ritorno della libido. Potrebbe guarire se il conflitto tra l’io e la libido avesse termine e l’io potesse tornare a disporre della propria libido. Il compito terapeutico consiste quindi nello sciogliere la libido dai suoi legami attuali che la sottraggono all’io. Ma dove si è ritirata la libido che è ora causa della sofferenza nevrotica? E’ legata ai sintomi che, come tornaconto secondario della nevrosi, garantiscono un soddisfacimento sostitutivo. C’è quindi un vero e proprio godimento del sintomo da cui il soggetto, pur vivendolo come sofferenza, non vuole staccarsi. Per sciogliere i sintomi è indispensabile risalire fino alla loro origine, rimuovere il conflitto da cui sono scaturiti e, con l’ausilio di mezzi non disponibili al momento in cui si è formata la nevrosi, dare loro una soluzione diversa da quella nevrotica. Questa revisione del processo che conduce alla rimozione – sottolinea Freud – può essere compiuta solo in parte in base alle tracce mnestiche. La decifrazione di per sé non è sufficiente. La parte decisiva del lavoro consiste nel ricreare in relazione all’analista, attraverso il transfert, nuove edizioni dei vecchi conflitti dove il soggetto è portato a rispondere con lo stesso comportamento di un tempo. Nella nuova situazione la libido è infatti diversamente distribuita e, per via del transfert, è concentrata sul rapporto con l’analista in modo che i sintomi ne risultino disinvestiti. La nevrosi del paziente è così sostituita dalla nevrosi di transfert; al posto degli oggetti immaginari sul cui schermo si fissava precedentemente la libido, subentra l’oggetto fantasmatico, ma al tempo stesso reale, presentificato dall’analista in posizione di oggetto a. La nuova lotta intorno a questo oggetto assume un posto centrale nell’economia del soggetto e si svolge come qualsiasi altro conflitto psichico. Il nuovo oggetto rappresentato dall’analista ha evidentemente una funzione solo temporanea e il suo scopo è di «distrarre» la libido dai sintomi fino al momento in cui, al termine dell’analisi, preclusa la via degli investimenti immaginari, torna a rifluire sulla realtà. L’analista, in quel momento, cessa di rappresentare un oggetto libidico per il paziente e decade insieme agli oggetti immaginari. Perché il processo si svolga in questi termini occorre dunque che nell’interpretazione concorrano sia la decifrazione sia l’atto sostenuto dallo psicanalista nel transfert. Le formazioni dell’inconscio e le libere associazioni servono infatti al duplice fine di scoprire il senso dei sintomi e la collocazione della libido. Sotto forma di appagamento di desiderio esse rivelano sia le rappresentazioni pulsionali cadute sotto la rimozione sia gli oggetti cui è legata la libido. Vi è dunque una ripartizione dei fattori in gioco nell’analisi, corrispondente agli elementi indicati nei vertici del quadrato, che si rispecchia nel diverso destino incontrato dalla rappresentazione e dall’affetto nella rimozione della pulsione. L’affetto, in cui riconosciamo una funzione dell’oggetto a, viene inoltre trattato differentemente nell’isteria e nella nevrosi ossessiva. Nella prima si scarica sul corpo per via di conversione, nella seconda si lega a rappresentazioni neutre asessuali per via di falso nesso. Sono due modi distinti di risposta del soggetto all’interrogativo dell’Altro che lasciano intravedere l’importanza, su cui torneremo più avanti, che l’oggetto a assume nell’interpretazione, come «misura» del rapporto tra il soggetto e l’Altro. Nel quadrato sono riassunte anche le funzioni che l’analista ricopre durante l’analisi sostenendo per un verso, inizialmente, l’illusione della completezza dell’Altro, in posizione di soggetto supposto sapere, e occupando (in alto a sinistra) per altro verso, il posto che al termine dell’analisi si rivelerà essere quello dell’oggetto a. L’aspetto ingannevole del transfert corrisponde sul piano significante all’alienazione; dove c’è la mancanza viene supposto un significante. L’altra funzione corrisponde alla messa in opera del desiderio dell’analista, supporto del desiderio dell’Altro e reperibile, nella figura in basso a destra, come limite del simbolizzabile. Il fatto che il desiderio dell’analista operi dal luogo del desiderio dell’Altro riporta alla struttura dell’operazione di separazione in cui, come sappiamo, la mancanza dell’Altro si sovrappone alla mancanza d’essere del soggetto. Da tale sito, il desiderio dell’analista si fa carico del posto vuoto avendo cura che rimanga tale. Qui infatti la mancanza soggettiva è chiamata a farsi essere dove, dietro l’aspetto ingannevole del significante, il transfert ha il suo nucleo reale. La regola fondamentale dell’analisi prescrive che il soggetto dica i pensieri che lo attraversano senza selezionarli e, in un certo senso, senza rifletterci, secondo il principio delle libere associazioni. Ciò significa già riconoscere l’assoggettamento del proprio essere ai pensieri in cui non c’è io (corrispondente alla scelta ¬P) anche se non porta ancora all’operazione di verità, rivelatrice del desiderio del soggetto implicato nei pensieri che lo agiscono (¬E). Per questo occorre l’interpretazione. Solo però nella misura in cui l’interpretazione include l’atto, l’analisi sfocia in un evento d’essere legato alla funzione dell’oggetto. La posizione dell’analista tra sapere e desiderio Il soggetto supposto sapere appare come un referente testuale dei due versanti del transfert e non coincide con l’analista, anche se può sovrapporsi alla sua figura; è semplicemente l’ipotesi che consente di scommettere sulla completezza dell’Altro. Trova posto in alto a sinistra, nel punto in cui, effettuata la scelta alienante, il gioco analitico prende il via. Per quanto legato all’aspetto ingannevole del transfert, il soggetto supposto sapere è così al principio della logica psicanalitica. L’analisi parte infatti dalla posizione ingenua del falso essere, dove si trova l’analizzante per il semplice fatto di parlare e in cui si aliena nella realizzazione della mancanza poiché non è questa mancanza. Ma l’analisi può svolgersi solo se la perdita che è all’origine della struttura dell’inconscio è già realizzata da qualche parte e, in effetti, lo è nel disessere del soggetto supposto sapere sostenuto dallo psicanalista. Cosa significa? Che al termine della propria analisi colui che occuperà la posizione di psicanalista, attraverso l’operazione di verità, ha scoperto come il soggetto supposto sapere sia privo d’essere. Il sapere decifrato si riduce alla mancanza d’essere dell’inconscio. Ma l’analista, per dirlo figuratamente, ne riprende la fiaccola riportando il soggetto supposto sapere nella posizione di partenza da dove sosterrà l’atto. Al termine dell’analisi, la caduta del soggetto supposto sapere svela l’essere che ha dato fondamento a tale funzione. E’ l’oggetto a cui il soggetto si riduce nella destituzione soggettiva. Ed è come semblant di a che come analista occuperà la propria posizione. Il desiderio dell’analista, altro versante del transfert, trova invece posto in ¬E, dove la decifrazione mostra il proprio limite e cioè l’impossibilità di articolare la realtà sessuale con la significazione il cui punto d’ideale pienezza sarebbe l’eguaglianza tra significante e significato. Il divario rispetto al senso pieno è siglato -φ, la castrazione, ed è questa la mancanza radicale occupata dal desiderio dell’analista. La condizione d’inizio analisi
I riflessi sul piano clinico di tale articolazione si evidenziano nelle diverse risposte che, sulla base di una identica struttura, si producono nell’isteria e nella nevrosi ossessiva. Nel caso della nevrosi ossessiva possiamo parlare di una clinica della completezza2, in quanto il soggetto si rivolge a una figura di Altro completo che, non mancando di niente, contiene in sé anche la contraddizione. Si verifica così, come rifiuto dell’alienazione, l’impossibilità di attuare una scelta che comporterebbe una perdita. Ciò pone qualche difficoltà per l’inizio dell’analisi. Nel caso dell’isteria possiamo parlare invece di una clinica della consistenza. L’isterico si fa paladino della verità come ideale assenza di contraddizione. Posto di fronte alla scelta alienante non si tira indietro, ma, spinto dal desiderio di sapere fino in fondo, sceglie il senso producendo nell’Altro una mancanza. L’incompletezza dell’Altro prende forma d’impotenza, come nell’esempio canonico del padre di Dora, e l’isterico ha cura di preservare nell’Altro tale mancanza e cade in preda all’angoscia quando trovandosi in posizione di oggetto di desiderio, rischia di colmare l’Altro con il proprio essere. Infatti se l’Altro gode non desidera, e il soggetto è messo fuori gioco. Il problema critico nell’isteria riguarda dunque il passaggio dalla alienazione alla separazione e si concretizza come difficoltà di uscita dalla cura. Il non sapere prende forma di incompletezza e manca sempre un elemento per terminare il quadro. Sia nell’isteria sia nella nevrosi ossessiva esiste comunque un problema relativo all’ingresso nella cura, indicato da Lacan come isterizzazione di inizio analisi, nel momento in cui si tratta di restaurare un effetto di divisione del soggetto. Risulta più evidente nella nevrosi ossessiva, ma non manca nell’isteria. In entrambi i casi occorre disinnescare il godimento per far posto al desiderio. Nella nevrosi ossessiva la divisione soggettiva si presenta sotto forma di paradosso: un enunciato ha come condizione il proprio contrario. Il soggetto tiene al tempo stesso due posizioni contraddittorie ed è bloccato nella possibilità di sceglierne una. Una simile concatenazione dei contrari è l’essenza stessa della coazione attraverso cui l’ossessivo cerca di produrre una definitiva sutura del soggetto. Ciò rende più complesso l’inizio dell’analisi in quanto la divisione si presenta come suturata. Poiché l’ideale di padronanza del desiderio ne annulla la causa e l’ossessivo punta a una verità garantita e a un godimento governabile, è difficile che ricorra a un Altro cui supporre un sapere sulla causa del proprio sintomo. L’ingresso in analisi avviene quando tale posizione soggettiva non tiene più, si desutura, e il sintomo divenuto insopportabile cede mostrando una smagliatura. Nell’uomo dei topi, per esempio, la funzione dell’Altro è rivestita dal capitano crudele il cui godimento si rivela nel racconto del supplizio dei topi risvegliando nel soggetto l’orrore del proprio godimento, a lui stesso ignoto3. Il godimento irrompe dunque suo malgrado, in modo ingovernabile, nel momento in cui fa breccia l’idea incontrollata che a tale supplizio possa essere sottoposta una persona cara come il padre o la donna amata. Questo pensiero lo costringe a una serie di pratiche ossessive affinché la fantasia del supplizio non si realizzi. Quando poi, sfogliando un libro di Freud, trova che la spiegazione di certi nessi verbali si addice alle elucubrazioni mentali cui è costretto, decide di intraprendere un’analisi per riprendere la padronanza sul sintomo sfuggitogli di mano a causa dell’irruzione di godimento. Freud è allora invocato come soggetto supposto sapere, come colui al quale è devoluta la funzione di padronanza che il soggetto non sa più sostenere. Una volta istituito l’analista in tale posizione il soggetto, assicuratosi della tenuta del desiderio, può mettere in gioco la propria divisione. L’isterizzazione di inizio analisi ha dunque un senso diverso nell’isteria e nella nevrosi ossessiva. In entrambi i casi si tratta di ristabilire l’assetto dell’Altro, fatto vacillare dall’irruzione del godimento. Nell’isteria ciò avviene tramite il ripristino della mancanza nell’Altro che lo rende nuovamente desiderabile. Nell’ossessivo è necessario invece restaurare l’ideale corrispondente al padre morto. L’evacuazione del godimento dall’Altro ha così due risultati diversi: da una parte rilancia la possibilità dell’intrigo consentendo al soggetto il gioco di sottrarsi smascherando l’Altro che inganna; dall’altra rimette in auge un garante della legge soddisfacendo inizialmente e in parte l’appello al padre. 1 Cfr. gli sviluppi articolati da J.-A. Miller a partire dal quadrato di Lacan, nel seminario Du symptome au fantasme et retour, cit. e 1, 2, 3, 4, cit. 2 Sulla relazione tra incompletezza e inconsistenza cfr. il terzo capitolo della terza parte. 3 Cfr. J.-A. Miller, H2O in «Atti delle giornate dell’Ecole de la cause freudienne», tenutesi a Bordeaux nel maggio 1985 sul tema Clinique des névroses et hystérie.
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