![]() DOVUNQUE ALTROVE I topoi freudiani e il problema del soggetto nel pensiero psicanalitico Amelia Barbui e Marco Focchi Capitolo quarto L'INCOMPATIBILE E L'INCONGRUENTE Le difficoltà della conduzione della cura che danno impulso al ripensamento sfociato nella stesura dell’Io e l’Es sono già indicate in Al di là del principio di piacere, dove Freud segnala l’emergere a volte nel corso dell’analisi di un tipo di resistenza non avvertita dal soggetto e tuttavia proveniente dagli stessi strati superiori della vita psichica che originariamente hanno attuato la rimozione. Freud sapeva sin dall’inizio che il rimosso di per sé tende soltanto a manifestarsi, facendo costante pressione per aver accesso alla vita cosciente. La resistenza dunque deve provenire dalle stesse istanze responsabili della rimozione, e dovrebbe di logica essere riconosciuta dall’io una volta segnalata dall’analista. Ma questa ipotesi viene contraddetta dall’esistenza di una resistenza inconscia. ![]() Le fonti della resistenza Il nuovo dato non porta Freud a mutare l’originaria concezione secondo cui l’intensità della resistenza è definita in proporzione inversa alla distanza tra le associazioni e il nucleo rimosso. La resistenza continua a essere qualsiasi cosa disturbi la continuazione del lavoro analitico. Anche il fatto che essa provenga dalle istanze psichiche superiori rimane per Freud incontestabile, ed è per tener fermo questo che è portato al ripensamento complessivo della struttura psichica sfociato nella seconda topica. Spesso - scrive - succede al paziente di trovarsi in posizione di stallo. Se gli facciamo notare che questo è dovuto probabilmente a una resistenza, non solo non riesce a riscontrarne in sé nessuna ragione, ma non riconosce neppure la manifestazione della resistenza. Da qui dobbiamo dedurre che esiste una parte delle istanze superiori della vita psichica che sfugge all’orizzonte della coscienza1. Questo, negli anni Venti, si presenta come un problema nuovo, e la soluzione data inizialmente da Freud è di postulare il concetto ibrido di un io inconscio, prototipo di quel che troverà svolgimento nella nozione di Es. Considerando i presupposti assodati dalla riflessione freudiana fino a quella data, parlare di un io inconscio è un po’ come parlare di ircocervo. Deputato alla coscienza l’io rappresenta infatti, nella vita psichica, le funzioni di padronanza: è la circoscrizione in cui si è padroni di sé, l’istanza che si mette in conflitto con le pulsioni, e se non è padrone in casa propria è solo perché non rappresenta l’intera vita psichica, e forze estranee possono invaderlo sottraendo intere regioni al suo dominio e alla sua volontà. L’inconscio, al contrario, è tutto ciò che sfugge al controllo e per questo è rimosso. L’antagonismo tra io e inconscio è netto e dove si verificano sconfinamenti insorge il disturbo nevrotico che instaura uno stato nello stato, cioè il sintomo. Su questi presupposti non può essere che l’io a opporsi alla pressione del rimosso e, coincidendo l’io con la coscienza, la resistenza deve essere consapevole, anche se possono sfuggirne le ragioni. Riscontrare una resistenza di cui il soggetto non è consapevole diventa dunque rivelatore di una contraddizione nei presupposti stessi in base ai quali è condotto il trattamento, e tale contraddizione prende il nome contraddittorio di io inconscio. Per questo inizialmente Freud sembra incline ad ammettere una terza forma di inconscio, accanto a quello descrittivo o preconscio e a quello dinamico. Tuttavia, assegnare l’attributo dell’inconsapevolezza a una porzione dell’io non basta a omologarla strutturalmente con l’inconscio vero e proprio. Siamo infatti costretti a riconoscere una seconda modalità del conflitto psichico. Se prima il contrasto era tra l’io e le rappresentazioni pulsionali rimosse, occorre ora prendere atto di una forma di conflitto in cui, in un certo senso, l’io si oppone a se stesso. Una parte dell’io sta insieme - è zusammenhängenden, connessa - l’altra è respinta come non-io. In realtà, il seguito del testo di Freud chiarisce come di fatto l’ordine sia inverso: l’io è soltanto una parte dell’Es che ha subìto una modificazione attraverso l’azione del mondo esterno. La non connessione o incoerenza è dunque all’origine e, sulla trama lacerata dell’esistenza l’io, con operazione cosmetica che non manca di funzionalità, copre un rapporto o, più semplicemente, uno strappo che nessun filo può ricucire. La perdita di godimento - Objektverlust nel testo freudiano - è una caduta dall’Eden che i paradisi artificiali inventati sulla terra non possono compensare. Godimento/rappresentazione Il godimento perduto è di natura diversa dalle rappresentazioni pulsionali rimosse: costituisce piuttosto un nucleo irrappresentabile a cui l’io si contrappone nelle sue esigenze di rappresentanza. L’Es, in questo senso, è l’hard core dell’io, il suo osceno nucleo intimo ed escluso dalla possibilità di rappresentazione. Quando Freud nota la necessità di riconoscere un altro tipo di conflitto nella vita psichica dobbiamo dunque prenderlo alla lettera: una cosa è la contrapposizione tra le rappresentazioni coscienti e quelle rimosse, un’altra il contrasto tra l’io e il suo nucleo irrapresentabile. L’affermazione che «abbiamo trovato nell’io stesso qualche cosa che pure è inconscio, che si comporta alla stessa maniera del rimosso» - sich gerade so benimmt wie Verdrängte 2 - va intesa in senso analogico: come il rimosso si oppone alla coscienza così l’Es si oppone all’io. Il fatto che anche l’Es sia inconsapevole, ovvero descrittivamente inconscio, non ci porta così a confonderlo con l’inconscio strutturale, cioè rimosso. Compatibile/incompatibile - congruente/incongruente Come possiamo definire il contrasto tra io ed Es in modo più preciso che non attraverso la semplice analogia con il rimosso? Freud distingue l’io, come istanza coerente, connessa, unita - zusammenhängend - dalla parte da esso respinta, l’Es, sede delle passioni - welches die Leidenschaften enthält 3.Trattandosi di passioni, possiamo propriamente dire che le rappresentazioni dell’io sono ordinate compatibilmente tra loro sulla base dell’esclusione interna del nucleo irrappresentabile che risulta incompatibile. Se la rimozione è determinata da una incongruenza logica tra le rappresentazioni, il rigetto dell’Es dipende invece da una incompatibilità, da un aspetto della vita psichica legato a sensazioni e sentimenti - Empfindungen und Gefühle. Si pone allora il problema di sapere come queste sensazioni - che sono un modo di sentirsi, e implicano una percezione inelaborata della propria esistenza, così diversa dalla percezione vera e propria che si rivolge alle cose - si trasmettono alla coscienza. Anche qui si impone un confronto con le istanze della prima topica, che Freud svolge richiamando i termini già proposti nella Metapsicologia. Sono i processi inconsci che si affacciano alla coscienza o è la coscienza che giunge fino a essi? Né l’uno né l’altro. Rappresentazioni di cosa e rappresentazioni di parola Il pensiero inconscio è costituito di Sachvorstellungen, rappresentazioni di cosa, mentre il pensiero preconscio è composto di Sachvorstellungen e di Wortvorstellungen, rappresentazioni di parola. Queste ultime sono l’elemento caratterizzante del preconscio. La rappresentazione inconscia diventa dunque cosciente tramite la connessione operata da elementi intermedi formati da rappresentazioni di parola e realizzata dal lavoro analitico. La soluzione del problema così è semplice: si tratta di aggiungere alla componente base del pensiero inconscio, la Sachvorstellung, il carattere particolare di quello preconscio, la Wortvorstellung. Non spostiamo l’inconscio verso la coscienza, né viceversa, ma semplicemente creiamo un collegamento. Le sensazioni tra godimento e angoscia Possiamo seguire un ragionamento analogo per quanto riguarda le sensazioni? Ci troviamo in questo caso a maneggiare un ossimoro stridente quanto quello incontrato poco sopra come io inconscio. La difficoltà maggiore si presenta ora nella nozione di sensazioni inconsce. Come possono esserci sensazioni, stimoli che ci avvertono di un nostro stato, ma di cui non sentiamo nulla? Cos’è una sensazione al di fuori del sentire? Freud naturalmente è consapevole della difficoltà, e sostiene che, in modo abbreviato e non del tutto corretto, parliamo di sensazioni inconsce per mantenere una analogia con le rappresentazioni inconsce. L’analogia non è però completa in quanto le rappresentazioni inconsce necessitano di elementi intermedi di collegamento per giungere alla coscienza, mentre le sensazioni vi giungono direttamente. A maggior ragione quindi dobbiamo domandarci cosa implichi la definizione di sensazioni inconsce, constatando, anche in questo caso, una dissimmetria rispetto alla prima topica, indice di un nuovo problema. Abbiamo sottolineato come ciò che è rigettato dall’io connesso sia una parte incompatibile che risveglia sensazioni discordanti. L’arco delle sensazioni è definito da Freud in base al modello costituito dalla serie piacere-dispiacere. Il piacere ha in sé un carattere tendenzialmente inerziale, mentre il dispiacere possiede un elemento propulsivo che cresce fino al limite segnato dal dolore. Il dolore non è solo un problema della fisiologia, esso è la soglia in cui si fissa il contrasto che ha la punta massima nell’angoscia, è il limite che esclude l’angoscia. Anche al polo opposto, verso cui si dirige la tendenza inerziale del piacere, troviamo una barriera: il desiderio che esclude la fissità del godimento. L’arco delle sensazioni ha dunque due estremi dai cui limiti sono esclusi il godimento, da una parte, l’angoscia, dall’altra. L’esperienza clinica mostra inoltre fenomeni in cui gli opposti termini esclusi coincidono, per esempio nell’orgasmo in stato d’angoscia. Con la sua contropartita d’angoscia, il godimento è dunque - fuori dai limiti dell’arco piacere-dispiacere - quanto vi è di incompatibile nella gamma delle sensazioni. Esso si manifesta nella nevrosi come sofferenza o come tornaconto secondario del sintomo. L’alterità irrappresentabile Freud chiama ein quantitativ-qualitativ Anderes 4 ciò che diviene percepibile nella vita psichica come piacere o dispiacere. L’edizione Boringhieri traduce: «un quid quantitativo qualitativo». Il quid nella filosofia scolastica era però esattamente il contrario di quel che significa Anderes, l’alterità. Il quid è ciò che è in sé, l’essenza, l’insieme delle proprietà essenziali dell’oggetto, ciò che si può dire dell’oggetto, e che sappiamo su di esso. Ma delle sensazioni inconsce che possiamo dire? Qual è la loro essenza salvo essere l’alterità inessenziale, un semplice «c’è». Dell’alterità radicale del godimento rispetto alle sensazioni possiamo dire che c’è senza poter dire cos’è. Il godimento non è l’in sé dell’essenza, ma il fuori di sé di cui il sapere non può dare le coordinate. Nello stesso modo, la sua manifestazione fenomenica nella sofferenza nevrotica si presenta come un punto opaco, un plesso enigmatico che c’è senza ragione. Che questa radice inesprimibile della sensazione, come sostiene Freud, si manifesti alla consapevolezza in modo diretto, e non abbia bisogno degli intermediari necessari per le rappresentazioni inconsce, significa esattamente che, come nucleo irrappresentabile dell’io, fa sentire la propria incompatibilità senza rappresentarla. Può, in seconda battuta, collegarsi per falso nesso a delle rappresentazioni dando luogo alle spiegazioni devianti con cui il nevrotico cerca di darsi ragione del proprio stato. Il suo nucleo, la sua alterità, resta tuttavia irriducibile alla rappresentazione. Per quanto il rimosso possa confluire con l’Es resta comunque tra essi una distinzione strutturale che può essere articolata solo nel transfert. Il falso nesso, d’altra parte, è in Freud uno dei primi nomi del transfert, e la chiave di volta del lavoro analitico consiste nel giungere alla verità per una via che inizialmente è solo finzione o errore. Il transfert, in parole essenziali, è: una cosa per un’altra - molto simile in questo a una svista, ma una svista per la quale non c’è rettifica possibile e che anzi è la sola via di accesso alla verità della struttura. L’Es non parla, gode L’Es, un «c’è» silenzioso di cui nulla si può dire salvo il fatto che c’è, è un punto di arresto del discorso, un intralcio alla possibilità di ridurre tutto a parole. La funzione dell’analista nel transfert è anche di incarnare questa presenza silenziosa, vero e proprio ostacolo alla circolazione di un discorso che gira sempre su se stesso. Se è impossibile l’autoanalisi in fondo è proprio perché in essa manca questo punto d’inciampo. L’analista naturalmente deve far parlare, perché l’articolazione linguistica dell’inconscio (quella che Freud chiama rappresentazioni inconsce) possa emergere. Occorre però sappia anche zittire al tempo giusto perché sia possibile incontrare ciò che silenziosamente gode 5. Ça parle, una delle formule lacaniane più celebri, va trasformata, da questo punto di vista, in ça jouit. Che ça jouit, la chiusura autoerotica del godimento, trovi un’apertura in ça parle, è una sorta di evento eccezionale, analogo alla «alterazione delle condizioni normali, di origine divina» di cui parla Platone nel Fedro. Dei quattro tipi di divino furore (mania) descritti da Platone, ci interessa l’ultimo: quello amoroso ... o transfert. Ça parle infatti, questa congiunzione di elementi eterogenei, è un cortocircuito e un errore, come Lacan afferma in una fase avanzata del suo insegnamento 6, nello stesso senso in cui lo è il falso nesso, un errore fecondo di verità. Uno dei passi più significativi in cui ricorre il ça parle si trova ne La psicanalisi e il suo insegnamento, del 1957. «Nell’inconscio, che è meno profondo che inaccessibile all’approfondimento cosciente, ça parle: un soggetto nel soggetto, trascendente rispetto al soggetto, dall’Interpretazione dei sogni in poi pone al filosofo la propria questione» 7. Breve glossa dello schema L (vedi schema in fondo al testo) Tale affermazione va visualizzata sullo schema L, attraverso cui Lacan esemplifica la relazione del soggetto con l’Altro. Sulla diagonale altro-io è definita la relazione immaginaria del soggetto con il simile, riconducibile all’Urbild speculare. Dietro ciascuno dei due termini immaginari se ne profila un altro simbolico che lo trascende e raddoppia: nell’altro immaginario è implicato, anche se non evidente, un Altro simbolico che funge da matrice in ogni relazione con il simile. Dietro l’io, la rappresentazione di cui ci si veste sulla scena del mondo, vi è il soggetto del desiderio, sconosciuto all’io, che si manifesta a sua insaputa. I diversi soggetti a cui si riferisce Lacan vanno definiti in base alla loro eterogeneità: uno è l’io nella sua superficiale evidenza, l’altro è il suo al di là, che trascende i limiti della coscienza: l’Es. Giocando sull’omofonia tra il pronome tedesco e la lettera S in francese, iniziale di «soggetto», Lacan fa coincidere i due termini nella posizione in alto a sinistra dello schema in cui la lettera S indica la casella vuota del soggetto, designata precedentemente con S. Solo nella misura in cui l’Es è posto sull’asse simbolico A ––> S, in opposizione a quello immaginario a––> a’, è possibile scrivere ça parle, in una fase della riflessione di Lacan in cui l’inconscio come reale non è ancora tematizzato se non attraverso l’accenno alla sua inaccessibilità (meno profondo che inaccessibile). Molto diversa è la formulazione che Lacan propone in una nota del 1966 allo scritto sulla Lettera rubata 8, dove l’S (Es) dello schema L simbolizza il soggetto supposto completato dall’Es freudiano, quale è per esempio il soggetto della seduta psicanalitica. L’Es appare così «nella forma che gli dà Freud, in quanto lo distingue dall’inconscio, vale a dire: logisticamente disgiunto e soggettivamente silenzioso (silenzio delle pulsioni)». Lungi dal parlare l’Es è silenzioso, e il ça parle non costituisce più un modello dell’inconscio in quanto l’Es ne è logisticamente disgiunto. La logistica, a cui si riferisce Lacan, non è altro che la logica matematica. Il termine di logistico è stato introdotto nel vocabolario filosofico moderno all’inizio del secolo (da Itelson al congresso di Ginevra nel 1904) ma già nel Medioevo indicava il calcolo pratico in opposizione all’aritmetica teorica. Es/metalinguaggio Cosa significa allora che l’Es è logisticamente disgiunto dall’inconscio? Lo si può chiarire riferendosi alle delucidazioni che Lacan dà nel seminario sulla Logica del fantasma, contemporaneo alla definizione sopra riportata. L’Es è formulato come costitutivo della struttura: è tutto ciò che nel discorso è non-io, dove l’io è inteso come l’opacità della struttura, ciò che ne nasconde la verità. Nessun commento e nessun metalinguaggio possono rendere conto della struttura. Nulla potrebbe raddoppiarla o spiegarla in quanto essa è ciò che si mostra, e l’inconscio, in quanto strutturato, ne è il complemento. E’ importante notare come Lacan attribuisca qui all’Es una posizione antitetica rispetto al metalinguaggio. Se ci riportiamo infatti alla classificazione di Jakobson vediamo che in opposizione diametrale al metalinguaggio - spiegato come una forma di accavallamento dove il messaggio rinvia al codice - si trova il deittico o shifter - definito come un accavallamento che dal codice rimanda al messaggio. La determinazione logistica del rapporto tra inconscio ed Es ha dunque come conseguenza il fatto che, se consideriamo l’inconscio nella sua dimensione di linguaggio, l’Es è ciò che lo rende accessibile in quanto, come deittico, rimandando dalla lingua all’aver luogo della parola, rimanda al silenzioso aver luogo del linguaggio. Il riferimento al luogo è essenziale, e trova riscontro in un altro passo dove Lacan commenta il freudiano Wo Es war soll Ich werden. L’impertinenza del ça Criticando la pertinenza della traduzione di Es con ça, Lacan è spinto a forgiare un nuovo verbo che rivaluta, almeno in parte, il termine antagonista durante gli accesi dibattiti della commissione preposta alla traduzione della terminologia freudiana e creata dalla prima cerchia di psicanalisti francesi. Ça si era imposto scalzando soi, particella per la quale - detto per inciso - Freud aveva espresso la propria preferenza. Il suo parere era stato però sentito come una indebita ingerenza dai pionieri dell’inconscient à la française, e Marie Bonaparte, portavoce ufficale di Freud, meno sensibile (forse perché donna?) all’orgoglio nazionale in cui si sentivano colpiti i suoi compatrioti e colleghi, non potè farne prevalere l’opinione. «Essersi - s’être - dove si esprimerebbe il modo della soggettività assoluta» 9. S’être, è una forzatura del francese attraverso cui Lacan tenta di esprimere l’equivalente mancante del tedesco Es. Ma non è solo un problema di filologia. «Là où c’était, si può dire, là où s’était, vorremmo far capire, è mio dovere que je vienne à être»10. «Essersi», questo modo di esprimere la soggettività assoluta, la chiusura del soggetto in sé, va inteso nel senso in cui in altri passi Lacan parla, per esempio, del soggetto nel sogno dicendo che è presso di sé, chez soi. S’être è come être chez soi, il soggetto chiuso in sé, che non si manifesta, irrappresentabile. Ma proprio questo soggetto celato apre la via all’Unverborgenheit, l’illatenza. Così almeno intende Lacan il problema in questo passo carico di risonanze heideggeriane. Wo Es war, dove c’era, dove il soggetto si trovava nella propria chiusura, soll Ich werden, io devo «devenir, vale a dire non survenir, né advenir, ma venire alla luce di questo luogo stesso in quanto è luogo d’essere»11. Devenir non può essere reso in italiano corrivamente (come nella traduzione Einaudi) con divenire. Molte espressioni possono esemplificare il diverso impiego del termine francese. Qu’allons nous devenir? non significa certo «cosa diventeremo?», ma «che sarà di noi?». J’ignore tout ce que ceci deviendra, è semplicemente: «Non so che accadrà». Que sont devenues vos belles resolutions? «Che ne è stato dei suoi begli intenti?» Que deviens-tu? «Cosa fai di bello? Come va?». Devenir, nell’uso comune, non ha affatto la risonanza eraclitea del nostro «divenire», ma significa semplicemente: accadere, succedere, incorrere, capitare. «Devo capitare dove c’era» è forse il modo più efficace di esprimere in italiano la congiunzione di necessità e d’alea implicita nella scelta forzata. Solo capitando lì, come per caso, ma obbedendo a un imperativo, quel che c’era può essere colto per un istante nel suo esserci, Dasein, prima che, subitaneo, si ritragga nella propria chiusura. Che la psicanalisi abbia lo scopo di cogliere ciò che per sua natura si nasconde, dice a sufficienza come il suo accesso all’illatenza - nome moderno della verità - possa avvenire solo di sortita. Il pensiero inconscio sopporta la contraddizione perché è escluso dall’ordine logico della coscienza, e l’Es, incompatibile con l’io, è la dimensione di pathos per eccellenza. In altri termini: l’inconscio è il linguaggio riportato al proprio essere ineffabile (alla propria istanza, al proprio aver luogo) dove l’essere (impensabile), nell’angoscia, si rivela insopportabile. La resistenza è interpretabile? «Capitare dove c’era» significa anche «cogliere sul fatto», ma nell’istante in cui il colpevole si sta ormai dileguando. Resistenza può così essere il nome della difficoltà a mettere le mani concretamente su ciò che riteniamo responsabile di tutti i dissesti della nevrosi, come manifestazione di una inerzia senza nome. Ma proprio per questa ragione ci rendiamo conto che le disquisizioni intorno al posto da attribuire alla seconda topica nella dottrina psicanalitica non sono pure astrazioni formali o mere polemiche tra scuole. C’è sullo sfondo una questione tecnica e di conduzione della cura, perché secondo la risposta che diamo al problema della resistenza cambia l’impostazione complessiva della cura psicanalitica. Non sono mancate svariate risposte: dalla tecnica attiva, all’analisi del carattere, dall’analisi delle resistenze all’empatia kohutiana; il problema è sempre come smuovere il rallentamento inerziale che si manifesta nel corso del trattamento 12. Ma c’è una decisione preliminare da prendere: occorre stabilire se la resistenza è interpretabile oppure no, se è riconducibile al senso o se concerne il reale dell’esperienza, e qui troviamo uno spartiacque che divide la psicologia dell’io nella sua forma classica che sceglie la prima ipotesi, dall’orientamento lacaniano incentrato sulla seconda, con la teorizzazione dell’atto psicanalitico che ne consegue. 1 S. Freud, Al di là del principio di piacere, in Opere, vol. IV, Boringhieri, Torino 1977. 2 S. Freud, L’io e l’Es, in Opere, vol. IX, cit. p. 480 (G. W. p. 244). 3 Ibid., p. 487-88 (G. W. p. 252-253). 4 Ibid., p. 485 (G. W. p. 249). 5 J.-A. Miller, Du symptome au fantasme et retour, cit. 6 J. Lacan, La logique du fantasme, Seminario del 1966-’67 (inedito). 7 J. Lacan, La psychanalyse et son einsegnement, in Ecrits, cit. , p. 437. 8 J. Lacan, Le seminaire sur «La lettre volée», in Ecrits, cit., p. 55. 9 J. Lacan, La chose freudienne, in Ecrits, cit., p. 417. 10 Ibid., p. 417-418. 11 Ibid., p. 417. 12 Cfr. La conduzione della cura psicanalitica, Franco Angeli, Milano 1989.
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