![]() DOVUNQUE ALTROVE I topoi freudiani e il problema del soggetto nel pensiero psicanalitico Amelia Barbui e Marco Focchi Capitolo decimo IL LINGUAGGIO COME CONDIZIONE DELLA CREAZIONE Il capitolo dell‘influenza che Darwin esercitò su Freud è naturalmente molto ampio. L‘evoluzionismo non era soltanto il clima di pensiero dell‘Ottocento e la cultura dominante del tempo. Alcuni suoi princìpi costituirono anche il punto d‘appoggio su cui Freud fece leva per risolvere quesiti peculiari alla teoria psicanalitica. Primo tra questi fu il problema dell‘etiologia delle nevrosi che, dopo l‘abbandono della teoria della seduzione, era sempre rimasta divisa tra fattore costituzionale ed esperienze individuali. All‘origine delle nevrosi c‘era, secondo Freud, una concorrenza di cause, che chiamava serie complementari, dove il fattore costituzionale restava il più oscuro e il meno esplorabile. Dopo aver a lungo discusso il problema della realtà della scena primaria nel caso dell‘uomo dei lupi, Freud giunse alla conclusione, resa esplicita nell‘Introduzione alla psicanalisi, che la realtà psichica ha una propria struttura, diversa dalla realtà materiale, e riconducibile alle fantasie. Attraverso la regressione libidica le fantasie assumono un valore etiologico specifico senza che debbano necessariamente corrispondere a eventi effettivamente verificatisi nella realtà materiale. Dal fattore costituzionale alla filogenesi
Dietro la regressione si dischiude però il problema della disposizione. La libido regredisce infatti fino a un punto di fissazione fantasmatico la cui preferenza può essere giustificata, secondo Freud, solo con il ricorso al fattore costituzionale della disposizione. Il punto di fissazione, a cui la libido perviene nel proprio movimento regressivo, risulta essere il fattore determinante nella scelta della nevrosi. La componente costituzionale è più chiaramente riconoscibile nella nevrosi ossessiva che nell‘isteria di conversione, la quale evidenzia invece l‘elemento accidentale legato all‘esperienza soggettiva. Il fatto di attribuire un ruolo alla componente costituzionale non permette tuttavia, secondo Freud, di accantonare l‘interrogativo sul modo in cui una determinata costituzione sia stata acquisita, e il pensiero evoluzionista gli offre una soluzione del problema facendo risalire l‘acquisizione, non giustificabile in base all‘esperienza soggettiva, fino alla preistoria umana. La costituzione non deriva dall‘esperienza dell‘individuo, ma da quella della specie, e le disposizioni ereditate risultano essere residui di precedenti acquisizioni. Freud sarà condotto da questo assunto, esplicito in più passi della sua opera, fino alla fantasia metabiologica sviluppata nel XII capitolo della metapsicologia fortuitamente ritrovato da Ilse Grübrich Simitis. L‘idea di una disposizione filogenetica su cui si innesta lo sviluppo ontogenetico, come è noto, non è freudiana, e fu proposta come legge biogenetica fondamentale da Ernst Haeckel, uno dei massimi divulgatori dell‘evoluzionismo in Germania nel secolo scorso. Secondo la legge di Haeckel lo sviluppo del feto fino all‘età adulta fornisce una ricapitolazione dell‘evoluzione della specie che fa capo all‘uomo. Adottando quest‘idea, Freud può sommare senza contraddizione, nella serie etiologica, le disposizioni ereditarie e le nuove disposizioni formatesi nell‘esperienza personale. Il pensiero evoluzionista contiene l‘idea, di origine lamarkiana, che i caratteri acquisiti siano ereditabili, ed è il presupposto indispensabile per la speculazione sulla preistoria con cui Freud doppia il mito di Totem e tabù. Lo spunto iniziale appartiene però a Ferenczi: egli attribuiva lo sviluppo della civiltà all‘influsso esercitato dai mutamenti delle ere geologiche sull‘uomo primitivo che, inducendo una situazione di bisogno, lo costrinsero al salto fuori dallo stato naturale. Si tratta evidentemente di una nuova versione del mito del padre castratore: nell‘era glaciale tutto ciò che era piacevole e appagante divenne minaccioso e pericoloso; l‘uomo primitivo, l‘animale umano, conduceva una vita in cui tutti i bisogni erano naturalmente soddisfatti prima che un mutamento catastrofico lo precipitasse nella lotta per l‘esistenza. Questo periodo edenico della vita preistorica configura chiaramente la fase mitica in cui il bambino può godere indisturbato della madre prima dell‘intervento paterno. Prima dell‘era glaciale, analogamente, l‘uomo viveva in una sorta di paradiso terrestre dove madre natura stessa provvedeva a tutto quel che gli occorreva. Nella speculazione freudiana il mutamento dell‘era glaciale forma la base reale dell‘angoscia come nuova esperienza. Minacciati nella loro esistenza, gli uomini hanno desistito dall‘investimento oggettuale e la libido, conservata nell‘io, si è tramutata in angoscia. Il momento critico dell‘infanzia presenta una situazione simile: venendo meno il soddisfacimento, la libido oggettuale si trasforma in angoscia. Questo passaggio, secondo Freud, non aveva spiegazione e doveva essere attribuito a una inclinazione generale nei bambini, prima che la riflessione filogenetica desse un punto d‘appoggio e una giustificazione per un fatto altrimenti riscontrabile solo sul piano clinico. Nella prospettiva del parallelismo tra ontogenesi e filogenesi tutto l‘arco di manifestazioni della nevrosi e della psicosi trova corrispondenza nelle svolte cruciali delle vicende mitiche dell‘umanità seguite alla catastrofe della glaciazione. Forse perché respinta dall‘autore stesso, la teoria sviluppata nel XII capitolo della metapsicologia, mette a nudo le estreme conseguenze dell‘adozione della legge haeckeliana. Non basta però rifiutare la speculazione di Freud nello stesso modo in cui lo fece lui. Dobbiamo riconoscerne il valore di mito fondatore, come per Totem e tabù, al di là del terreno improbabile e ipotetico su cui si muove. Qual è in effetti la funzione del parallelismo haeckeliano nell‘economia del pensiero di Freud? Esso risponde al problema di individuare una ragione d‘esperienza all‘acquisizione della disposizione. La prima soluzione alla questione dell‘etiologia dell‘isteria, dopo l‘abbandono della teoria della seduzione, fu di attribuirne la causa al trauma inscrivendolo nell‘ambito delle esperienze soggettive, determinate dalla realtà materiale, che però si rivelarono insufficienti in quanto non bastavano a giustificare il perché certe esperienze risultano patogene in alcuni casi e non in altri. Il passo successivo fu di porre l‘equivalenza tra fantasma e realtà psichica, per cui non occorrevano più eventi esterni legati alle reali circostanze storiche della vita del soggetto per produrre il trauma: il fantasma della scena di seduzione nell‘isteria, se libidicamente investito, è patogeno quanto potrebbe esserlo la seduzione reale. Il problema tuttavia non è risolto. Come può infatti, alla luce della concezione positivistica di cui Freud è partecipe, un fantasma avere lo stesso valore etiologico della realtà? L‘esperienza clinica impone tale assunto, ma come giustificarlo? Cade qui ad hoc la legge haeckeliana. Le Urphantasien, sostiene Freud, ci trasmettono un patrimonio filogenetico dove l‘individuo, scavalcando la propria esperienza, attinge all‘esperienza della preistoria, in modo che tutto quanto viene raccontato come fantasia, seduzione, osservazione del coito dei genitori, castrazione, è stato realtà ai primordi della famiglia umana. Il bambino, tramite il fantasma, colma la lacuna della verità individuale attingendo a quella preistorica. Soluzione empirica dell‘etiologia delle nevrosi Senza ricorrere alla disposizione del soggetto Freud non è in grado di rispondere esaurientemente al problema dell‘etiologia della nevrosi. Ma proprio perché la disposizione o la costituzione risultano a Freud, che malvolentieri accoglie dati non riconducibili all‘esperienza, insoddisfacenti e opache, l‘appello alla filogenesi gli consente di ricondurre a eventi traumatici realmente accaduti una etiologia altrimenti dipendente in modo determinante dal fantasma. E‘ difficile, nel contesto positivistico in cui si muove la riflessione freudiana, formatasi tra l‘altro sulla lettura e traduzione giovanili di J. S. Mill, attribuire un valore causale a fattori che non abbiano una solida base empirica. Freud non può accontentarsi della nozione di disposizione dipendente dalla struttura fantasmatica, e sente la necessità di un rimando alla realtà materiale. Qual è, in ultima istanza, la funzione del ricorso alla filogenesi? Si tratta di spiegare ciò di cui nella clinica non si può rendere conto attraverso le esperienze dirette del soggetto. La filogenesi consente di evitare l‘introduzione di un a priori quale il fattore costituzionale, inconciliabile con il positivismo di stampo milliano che guida la riflessione di Freud. Occorre inoltre tener conto dello sfondo filosofico dell‘evoluzionismo di cui è permeato il pensiero freudiano. La valutazione dell‘a priori è collegata all‘atteggiamento assunto da Darwin nei confronti dell‘immutabilità della specie. Le forme a priori sono inconciliabili con la nozione di evoluzionismo e devono essere le forme della conoscenza a presentarsi come risultato dell‘adattamento dell‘individuo alle sollecitazioni dell‘ambiente. Nello stesso modo delle forme biologiche anche quelle della conoscenza, ovvero a priori, sono prodotte dall‘adattamento alle trasformazioni ambientali e sono quindi risultato dell‘evoluzione. Dati i tempi lunghissimi richiesti per l‘adattamento, i principi logici ed etici e le intuizioni spaziali e temporali appaiono come a priori in quanto l‘individuo ne è fornito dall‘inizio della propria esistenza - e in questo senso sono a priori rispetto all‘esperienza - ma sono tuttavia riconducibili all‘esperienza poiché sono acquisiti dalla specie umana nella lotta per l‘esistenza. D‘altra parte, la famosa legge haeckeliana non è forse già presente, in altra forma, nell‘idea di Comte secondo cui lo stadio teologico, metafisico e positivo dell‘umanità sono riscontrabili da ciascuno in relazione a se stesso, in quanto l‘uomo è teologo nell‘infanzia, metafisico nella giovinezza e fisico nella maturità? Per giustificare la razionalità della psicanalisi Freud non aveva altro mezzo che riferirsi al positivismo e all‘evoluzionismo a lui contemporanei, e in queste tendenze filosofiche non è concepibile una forma di a priori né è pensabile una nozione d‘inizio assoluto. Ciò indica che non dobbiamo, in fondo, sopravvalutare, come fanno alcuni critici americani, il ruolo della legge biogenetica haeckeliana nel sistema freudiano: essa sta al posto di un a priori che Freud non avrebbe potuto collocare nella propria concettualità senza venir meno ai criteri di un determinato ideale di razionalità scientifica. Al di là di uno sfondo epistemologico in cui Freud è figlio del proprio tempo, il mancato riconoscimento da parte sua della funzione di un a priori, di un sapere in forma pura, matematica, ha un‘altra ragione. Nella pratica psicanalitica è presupposto infatti qualcosa che sta in luogo di tale a priori: è la memoria. L‘a priori Non svilupperemo questo problema che richiede una trattazione a sé. Il pensiero psicanalitico ha in seguito fatto ampiamente posto, con Lacan, Bion, Hermann, alle strutture matematiche che ne definiscono il formalismo. L‘esempio più importante è l‘assioma generatore dell‘insegnamento di Lacan: l‘inconscio è strutturato come un linguaggio. Il solo a priori è il linguaggio, che non s‘impara, ma semplicemente si riceve. Non occorre definirlo innato: resta impensabile la disposizione o il varco (il cui nome freudiano è castrazione) attraverso cui l‘infans entra nella lingua. Il semplice fatto che il linguaggio ci sia, abbia luogo come saga (la Sage heideggeriana) come dimensione mitopoietica, si traduce nella nozione freudiana di Phantasie. La fantasia ha una parte determinante nel funzionamento della memoria. Non deve stupire allora se Freud, nell‘impossibilità di considerare la fantasia, la dimensione mitopoietica del linguaggio, come a priori, attribuisce alle Urphantasien la funzione di trasmettere un patrimonio filogenetico che travalica l‘esperienza individuale. Non possiamo però restare nel cerchio della terminologia biologica in cui il pensiero di Freud trova una via d‘espressione. La trasmissione non concerne semplicemente un problema genetico ma linguistico. La nozione freudiana di fantasia, in effetti, significa la dimensione linguistica in cui il soggetto è preso prima di poterla pensare e attraverso cui passano i desideri, i progetti, le inclinazioni dei genitori. Questa matrice segna il destino del soggetto a cui egli vorrà accordarsi od opporsi. Perché la fantasia abbia valore patogeno, dal punto di vista etiologico non occorrerà più supporre che essa sia tramite di eventi realmente accaduti nella preistoria della specie, ma basterà vedere come attraverso le sue strutture prendono senso gli eventi altrimenti insignificanti dello sviluppo individuale. L‘accesso al linguaggio è di per sé traumatico, in quanto implica una perdita di godimento, una caduta dallo stato edenico infantile. Gli eventi apparentemente indifferenti che, nei momenti critici, intersecano la vita del fanciullo, vengono captati nelle strutture linguistiche determinanti della saga familiare. Questi, anzi, si aprono al senso proprio attraverso fatti accidentali, di nessuna importanza, che vengono però innalzati a simbolo concreto di un momento indimenticabile. Può essere la linea impalpabile al confine tra la collina e il cielo, che incanta Pavese, o la puntiforme immensità degli astri che faceva sprofondare Leopardi nella sensazione sconvolgente dell‘infinita vanità del tutto. Si tratta comunque della lacerazione di continuità del tessuto linguistico, dove si rivela al soggetto la vacuità del proprio posto nel mondo, suturata da tratti dai quali nasceranno gli ideali a cui il soggetto cercherà di ribellarsi o di adeguarsi, che potrà ammirare o deridere. Nella contingenza dell‘incontro tra le strutture linguistiche della saga e il reale non simbolizzabile del sesso si individua il varco dell‘ex nihilo che Lacan, sulla traccia di Koyré, considera come condizione dello sviluppo della scienza moderna accampando al tempo stesso l‘esigenza di un riferimento creazionista per il pensiero psicanalitico. Il creazionismo nella psicanalisi Con l‘abituale gusto per il paradosso, perorando il creazionismo, Lacan presenta il modello evoluzionista, più familiare agli psicanalisti, come un tentativo di abbarbicarsi a ideali religiosi che velano la realtà dei fatti. Al di là della contrepeterie concettuale abbiamo visto come nell‘opera di Freud la soluzione evoluzionista risponda a una difficoltà propria del suo pensiero. Presa alla lettera essa ridurrebbe effettivamente la psicanalisi alla criptobiologia che vi vede Sulloway. Il problema per il pensiero psicanalitico non è infatti di risalire, attraverso una ricerca storiografica, alle fonti concettuali da cui Freud ha attinto, ma di vedere a quali interrogativi irrisolti questi prestiti concettuali forniscano una risposta. Possiamo dire lo stesso per il creazionismo di Lacan: non otteniamo molto ripercorrendo la tradizione teologica in cui si è elaborata la nozione di creazione se non risvegliamo il problema a cui essa risponde nell‘indagine psicanalitica. Per entrare nell‘argomento dobbiamo dire che il tema creazionista si impone a Lacan nel corso della discussione sulla sublimazione svolta nel seminario sull‘Etica della psicanalisi. La sublimazione, lungi dall‘offrire un soddisfacimento di carattere illusorio, realizza un appagamento reale anche se di natura diversa dalla meta sessuale che forma l‘obiettivo diretto della pulsione. A differenza del sintomo, che intrattiene un godimento attraverso la forma sostitutiva di compromesso dovuta alla necessità di mantenere la rimozione, la sublimazione evita la rimozione. Lacan vede un‘affinità tra il desiderio perverso e quello sublimato. Entrambi trasgrediscono i limiti abitualmente posti dal principio di piacere a favore di un oggetto investito dalla sopravvalutazione. L‘etica della psicanalisi si impernia su una simile forma di desiderio che, al di là del piacere, si misura con un vacuum, un vuoto al cuore del reale, per raccordarsi con l‘oggetto. Questo vuoto può essere introdotto nel reale soltanto attraverso il significante, esso è il nihil, sola condizione necessaria per la creazione ex nihilo. L‘unico presupposto all‘idea di creazione, il solo a priori, è il nihil che c‘è se c‘è il significante. La creazione è un modo non di reperire, ma di organizzare questo vuoto. Il creazionismo di Lacan si distingue da quello della tradizione teologica, di Sant‘Anselmo e di San Tommaso, dove creazione ex nihilo significa che la materia viene dal nulla. Esso non è neppure riconducibile al creazionismo greco dove la materia è eterna e sono le forme a entrare nell‘esistenza. Una concezione di questo tipo era accettabile anche per un evoluzionista come Haeckel, che aveva notato come per creazione si possa intendere sia la produzione della materia sia quella della forma, per cui la produzione di forme verrebbe meglio designata dal termine più preciso di evoluzione. Il creazionismo greco, se questo termine ha senso, non contrasta minimamente con l‘evoluzionismo contemporaneo. Il problema di Lacan non è dunque né da dove viene la materia (tradizione cristiana) né da dove viene l‘ordine del mondo (tradizione greca) ma: cosa deriva dal fatto che c‘è il significante, ovvero la designazione di un vuoto nel reale? Le possibilità produttive della sublimazione e la creazione stessa conseguono dal fatto che il significante c‘è. Questa proposizione non può essere intesa semplicemente sul piano ontico, e sul piano ontologico presenta una serie di difficoltà sulle quali si è esercitata la filosofia contemporanea. Dove la parola è atto D‘altra parte la domanda stessa «che cos‘è il significante?» è insidiosa: per definire cos‘è il significante dobbiamo presupporre il significante da definire. Anche in una prospettiva metalinguistica un resto insignificabile, pur riguardando sempre il significante, rimane escluso dalla definizione. Possiamo dire semplicemente che il fatto che c‘è significante corrisponde all‘aver luogo del linguaggio, dove il significante è preso al di fuori della propria possibilità rappresentativa, dove non c‘è qualcosa che sta al posto di qualcos‘altro a cui rimandare, ma dove semplicemente è e non significa niente, nihil, pura presenza del vacuum da cui procede l‘idea creazionista. Se basiamo l‘idea della creazione sulla formula giovannea «in principio era il verbo» dobbiamo considerare che sin dall‘inizio tale formula implica la propria traduzione goethiana: im Anfang war die Tat, in principio era l‘atto, in cui il significante è, è atto. Che l‘inconscio, come sostiene Lacan, abbia uno statuto etico e non ontologico non significa altro che questo. L‘inconscio è che il significante, al di fuori di ogni funzione rappresentativa, è. Dove il significante è, non significa. In questa prospettiva occorre reinquadrare «l‘inconscio strutturato come un linguaggio». La definizione lacaniana di significante ha un carattere circolare. Se diciamo infatti che il significante è ciò che rappresenta un soggetto per un altro significante includiamo nella definizione il termine stesso da definire. Il significante assume così la funzione di rappresentare, che non vuol dire necessariamente rimandare a un referente, indicando il suo carattere di sostituto: esso sta al posto di qualcos‘altro ed è essenzialmente sostituibile. Ma se il significante rappresenta, nella misura stessa in cui rappresenta non è. Ma allora cos‘è quando è? E quando è? Agostino si domanda che parola sia mai quella presupposta alla creazione che ha dato origine a tutte le cose. Non poteva essere una parola articolata in una sequenza temporale come le parole in cui si pronunciano abitualmente i discorsi, perché avrebbe dovuto esservi un corpo per pronunciarle e avrebbe dovuto esserci il tempo prima che il tempo fosse creato. Quale parola dovette essere pronunciata allora per dare l‘esistenza al corpo da cui sarebbero uscite le parole terrene che conosciamo? Questa parola non può essere altro che il Verbo, dio presso dio, pronunciato dall‘eternità e nel quale tutto è pronunciato dall‘eternità. Questo essere fuori dal tempo della parola divina evoca troppo da vicino l‘atemporalità dei processi inconsci perché possa sfuggirne il mordente. L‘essere fuori dal tempo dei processi inconsci significa però che essi sono essenzialmente il tempo cui il soggetto è sospeso, sono la sospensione temporale della sua esistenza. Vale a dire che se l‘inconscio è estraneo alla successione temporale della cronologia, è perché è il tempo in cui la morte è sospesa. A differenza dall‘infinità di tempo sostanziata nell‘eternità del verbo divino, la struttura significante dell‘inconscio è costituita da una temporalità finita che non è né durata né istante, ma sospensione. Che l‘inconscio non contenga una rappresentazione della morte, come sostiene Freud, significa che nel tempo del proprio annullamento il soggetto non può più pensarsi. La morte propria è al di fuori delle possibilità della rappresentazione perché è la certezza la cui condizione consente al soggetto l‘accesso alla rappresentazione, al significare. L‘a priori del linguaggio non è perciò da intendere nel senso in cui il significante significa, bensì nel senso in cui è, ed è la presenza di un vuoto, un buco nella rappresentazione. La bellezza è l‘ultima soglia prima dell‘orrore, nel senso in cui tutta l‘attività umana, la produzione, il fare e l‘atto creativo che la sostiene, procede dall‘annullamento soggettivo, dal buco nel reale, da una lacerazione nella trama dell‘esistenza attraverso cui l‘esistenza stessa diventa pensabile. Solo dall‘anticipazione dell‘annullamento nasce la possibilità della creazione e questa anticipazione è segnata nella presenza del significante, dal fatto che il significante c‘è. Domandarsi cos‘è il significante porta di fronte alla sua divisione tra la funzione rappresentativa, dove significa, e ciò che è, dove è atto. La traduzione goethiana non forza affatto l‘originale in quanto semplicemente puntualizza il significante nella misura in cui è. Solo nella misura in cui l‘essere del significante è mancanza, è vuoto, è anche atto e possibilità di creare. Sul piano della rappresentazione esso è sostituto di qualcosa e solo così significa. Sull‘altro piano, dove è, è fuori dalla logica degli scambi, è un vuoto insostituibile, nello stesso senso in cui si dice che la morte è una possibilità assolutamente propria. Ma è anche segno di un godimento unico (come non si può morire al posto di un altro, non si può godere al posto di un altro) di cui consente di riconoscere la perdita e a partire da cui è possibile agire.
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