Buongiorno Dott. Focchi,
da anni mi blocco ogni volta che devo parlare in pubblico o espormi davanti a un gruppo di persone, sia sul lavoro che in situazioni sociali. La sola idea di essere al centro dell’attenzione mi provoca ansia e a volte rinuncio a opportunità importanti per paura di sbagliare. Vorrei capire da dove nasce questa paura e come posso affrontarla per superare questo limite che mi sta condizionando molto. La ringrazio per il suo aiuto, M.T. >Gentile M.T. La paura di esporsi pubblicamente può dipendere da molte ragioni diverse, la prima delle quali è l’insicurezza sulle proprie capacità, sulla propria preparazione, con conseguente timore del giudizio degli altri. Queste però sono solo ragioni superficiali, e in genere si tratta di un fenomeno che ha radici più profonde. Esporsi in pubblico significa salire su una scena teatrale, anche se non si è attori, e recitare un ruolo. Chi sa entrare nel ruolo, chi sa staccarsi dalla propria immediatezza per indossare una maschera pubblica, in genere non ha difficoltà. Se però una persona, e può essere il suo caso, si sente vista nell'anima ai raggi x, si sente penetrata nell’intimo più intimo, allora ha tutte le ragioni per sentirsi in difficoltà. Ci sono lati di noi stessi che non esporremmo neanche a noi stessi, se così vogliamo dire. E non perché siano in qualche modo biasimevoli per qualsivoglia ragione, ma perché l’intimo più intimo è irrappresentabile, e l’impressione di mostrarlo può mettere solo in imbarazzo. È l’analogo spirituale del pudore fisico: normalmente non ci si mostra nudi in pubblico. E così, se una persona non ha gli schermi necessari per mostrarsi pubblicamente vestito di un ruolo, di una maschera sociale, per sentire la propria intimità protetta, allora può intervenire la difficoltà che lei dichiara. Per affrontare il problema si possono prendere molte via: dalla più superficiale, come fare un corso di teatro, alla più profonda, come fare un’esperienza psicoanalitica. Un cordiale saluto. Marco Focchi
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Buongiorno Dott. Focchi,
le scrivo perché sono profondamente turbato da un forte senso di colpa dopo una decisione importante che ho preso di recente. Ho scelto di trasferirmi per seguire una nuova opportunità lavorativa in un’altra città, pur sapendo che ciò avrebbe implicato lasciare i miei genitori anziani senza il mio supporto quotidiano. Mio fratello ora si occupa di loro da solo e, nonostante la mia decisione sembrasse giusta per il mio percorso personale, non riesco a liberarmi dal rimorso di aver abbandonato la famiglia. Vorrei capire come gestire questo senso di colpa e se esistono modi per trovare equilibrio tra le mie esigenze e quelle degli altri. La ringrazio per il suo tempo e la sua attenzione, F.M. >Gentile F.M. La situazione che mi descrive non sembra implichi particolari conseguenze pratiche. I suoi genitori sono anziani, ma autosufficienti. Naturalmente richiedono probabilmente un minimo di assistenza, ma sono attenzioni che, mi dice, suo fratello può dedicare loro. Si tratta dunque del suo senso di colpa, che sorge in modo indipendente da una situazione reale che ne sia la vera causa. Bisognerebbe dunque considerare le ragioni di quel senso di colpa atavico che fa da lente d’ingrandimento per la situazione attuale. Può tentare lei stesso di ripercorrere la sua storia e la sua vita per capire cosa in lei amplifica in tal modo la percezione della colpa. Certo, non è facile vedere se stessi come fosse dall’esterno. È il motivo per cui, se le sembra di non riuscire a venirne a capo, il suggerimento può essere quello di ricorrere all’aiuto di uno specialista che, offrendole l’appoggio di un punto di vista esterno, la metta in grado di vedere dove lei stesso, con il suo sguardo naturale, non riesce a penetrare. Un cordiale saluto Marco Focchi |
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Gennaio 2025
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