Dominique Holvoet Domenica, ore 18, sulla pista dell'aeroporto di Sofia, dopo tre giorni di seminario con i nostri colleghi bulgari e numerose discussioni di casi. L'aereo si sta preparando per il decollo. Apro il mio tablet per scrivervi e studiare il mio caso. La domanda è: che uso fa dei suoi oggetti in questo passaggio dal privato al pubblico dopo la passe? Rispondo in volo. Sotto lo sguardo
L'oggetto concettualizzato da Lacan è in un rapporto di extimità con l'essere del soggetto. È ciò che vi è per lui di più intimo e allo stesso tempo ciò che vi è per lui più estraneo. Il suo oggetto è la parte perduta alla quale crede di volersi ricongiungere, mentre è lei che lo insegue e che, direi, lo gode. Questo fa sintomo, cioè singolarizza e disturba, rifiutando d’inscriversi nella norma. L’oggetto si fonde così con la ricerca perseguita dal soggetto, ma a sua insaputa, perché ciò che si cerca è diverso dalla scoperta che l'analisi porterà. Un'analisi ha di mira l’obiettivo di ricongiungere l'oggetto e la ricerca, per far emergere che la ricerca è l'oggetto stesso. Così quando, alla fine dell’analisi, oggetto e domanda si uniscono, è per dissiparsi immediatamente, per deconsistere, e liberare il soggetto dalla prigione del suo fantasma. Come il piccolo Hans, anch’io volevo diventare regista e persino coreografo. Scolpire il mio corpo e quello degli altri attraverso la danza è stata una soluzione sintomatica particolarmente sublimatoria. Non riuscendo ad ottenere legittimamente l'oggetto prezioso, il fallo, a modo mio lo sarei stato. Già da bambino, con il mio nome ambiguo e i miei capelli lunghi, potevo facilmente scivolare in un’androginia confusiva – ed è successo davvero che confondessi; il che mi ha divertito. Man mano che la pubertà avanzava, la commedia del fapipì fu chiamata ad altri usi nel grande smarrimento di una virilità perversamente attaccata al padre, e sempre squalificata nel discorso materno. La sublimazione attraverso la danza fu paradossalmente di grande aiuto per affermare una posizione maschile confortevole, di piccolo principe tra tante principesse, con il plauso di una madre che aveva occhi solo per il suo piccolo dio. Piccolo Hans, piccolo principe, piccolo dio: è stato con il sentimento di essere povero e insufficiente che sono entrato nel legame sessuale. Stando alla buona logica freudiana, ho giudicato il mio rapporto con il sapere in modo meschino. In ogni caso, nel momento del mio ingresso nell'età adulta la grande agitazione del corpo era temperata dalla danza. E una certa confusione intellettuale ha potuto essere compensata da un onorevole successo negli studi universitari, tanto più gradito perché inaspettato, alla facoltà di psicologia. La scelta della psicologia era già una scelta per la psicoanalisi. Volevo a tutti i costi sciogliere il nodo che stringeva il sintomo, un misto di inibizione intellettuale e di disagio del corpo sessuato. Esfiltrazione e strappo Non giriamoci intorno, l'oggetto prezioso, è noto, è il sesso maschile. Su di lui si posava lo sguardo materno durante la doccia, un'intrusione malsana che causava vergogna nel giovane adolescente. Mia madre, che certamente amavo troppo, al punto da pensare spesso, da bambino, alla sua scomparsa, era onnipresente. Doveva vedere tutto, sapere tutto, controllare tutto, manifestando la sua insoddisfazione, alla quale mio padre trovava molto difficile rispondere. L'appello al padre non fu vano, ma fu grazie alla mia partenza anticipata dalla famiglia, all'età di sedici anni, con il pretesto di proseguire gli studi di danza a Bruxelles, che fui esfiltrato. Mio padre non ha resistito, e ha seguito la stessa strada dopo che ciascuno dei suoi figli ha trovato un rifugio. Ma, con mia grande sorpresa, una separazione di altro tipo, in forma di estrazione dell'oggetto sguardo, si realizzò con l'ingresso in analisi. Sdraiato sul divano, mi vedo strappare gli occhi di mia madre. L’esercizio di esibizione rappresentato dalla danza seguirà allora il percorso logico della di una progressiva estinzione. Avevo due frecce al mio arco, la danza e la psicoanalisi: sono quindi sceso dal palco per approfondire i primi risultati analitici. Mio padre è morto prematuramente. Pensavo che il tumore che lo aveva ucciso così in fretta portasse il segno dell’impotenza nel rispondere all'insoddisfazione di una donna. In altre parole, la fine della sua storia d'amore con mia madre lo aveva esaurito. Ho poi fatto un sogno in cui lui mi parlava davanti alla chiesa parrocchiale della mia infanzia. Il soggetto del significante in questo sogno non sa di essere morto. Mi ha detto questa frase enigmatica: “Un giorno, figlio mio, ti perdonerò.” La colpa fantasmatizzata Contrariamente all'enigmatico rimprovero che mio padre mi rivolge, tutta la mia analisi si è tuttavia incentrata su una sua colpa, non una colpa che avrebbe commesso con certezza, non una colpa che lo avrebbe condannato definitivamente ai miei occhi, ma una colpa messa in scena in un ricordo vago, non del tutto collocabile nel tempo, e di cui posso solo dire che la scena è evocata in una confidenza fatta a mia sorella nel periodo immediatamente successivo alla separazione dai nostri cari genitori. Questo ricordo è così confuso che forse ho sognato di averlo confidato a mia sorella. Le coordinate del ricordo risulteranno obbedire a una logica precisa molto più che a qualsiasi cronologia: la logica del fantasma. Il ricordo, tra virgolette, raffigura me e mio padre. In questa scena lui si rende colpevole di un gesto furtivo, ma inopportuno nei miei confronti. Questo ricordo è una capocchia di spillo, quasi niente, niente del tutto o appena... Eppure, la potenza reale della scena manterrà la sua forza fino alla fine dell'analisi. Solo après coup mi apparirà con certezza la formazione di un fantasma. Un'analisi vi porta così a incontri con l'oggetto indicibile che sono assolutamente sorprendenti per chi è disposto ad avvicinarvisi. Questi pochi istanti della mia esistenza li ho ripetuti più volte nella mia analisi, e costituiscono tuttavia il punto di convergenza di tutto il percorso. Ci vorrà tempo perché l'analisi produca questo frutto e lo riduca a un nocciolo. Ci sono voluti tutti i giri attraverso l’Edipo e i meandri del senso perché a un certo punto, dell'archeologia della mia ricerca analitica, restasse solo questo frutto proibito che, finalmente maturo, avrebbe potuto cadere dall'albero. La caduta è avvenuta dopo una lunga traversata nel deserto, durante la quale mi sono trovato a momenti alterni depresso e abbattuto, poi sveglio e combattivo. Non rimaneva quasi nulla tranne questo frutto maturo incollocabile, corpo estraneo inoculato durante la mia formazione soggettiva, che mi apparteneva, che conteneva tutti i significanti della mia storia familiare, che non mi imbarazzava più, ma di cui non mi ero del tutto liberato. L’evento felice tardava ad arrivare! Fu grazie a un sogno ripetuto per una settimana che avvenne l'estrazione finale: mi strappo un dente, fino a formulare all'interno del sogno stesso che alla fine della settimana sarei rimasto senza denti. Tutto questo deve finire, ma è estate e il dentista è in vacanza! Dopo le vacanze mi tuffo sul divano per raccontare le mie sedute notturne di cure odontoiatriche... all’analista. So che a questo punto l'analisi è terminata. L’analista puntualizza allegramente: “Ecco, è strappato!” Il destino del desiderio Come vivere la pulsione dopo l'analisi?, si chiede Lacan alla fine del Seminario XI. Il fantasma disattivato lascia forse il soggetto in panne sul suo desiderio? Certamente no, la fine dell’analisi è un risveglio e un sollievo. È una vittoria sul fantasma e, attraverso questo, sgombra il campo. Questa è l’espressione che mi viene in mente per designare la disattivazione del fantasma e l’alleggerimento dalle complicazioni del sesso. Resta la questione del destino del desiderio. Il fantasma nasce da una fissazione precoce su un modo di godimento che presto si rende indipendente dal resto della pulsione. Nel mio caso l'oggetto sguardo spingeva, attraverso la danza, a un'esibizione sublimatoria. La scena del ricordo che, al termine dell'analisi, sarà dedotta come fantasma, tratta il punto da cui sono guardato dall'Altro per farne uno scenario di godimento dove il bambino è sotto la sferza dell'Altro. Sferza che è il segno paradossale dell’amore dell’Altro – come sottolinea Freud in Un bambino viene picchiato. Si può sostenere che, dopo l’analisi, il desiderio viene sciolto dal fantasma. Così il soggetto nel suo rapporto con l'altro e con l'Altro sesso non si racconta più delle storie. Il peccato era proprio questo: credere in questa storia del padre. Il soggetto non si racconta più storie, va, senza spavalderia, di fronte all'impossibile, ma disabbonato dalle finzioni del rapporto sessuale. Sosterrò che il trattamento dell'oggetto dopo l'analisi resta da mettere alla prova. Nelle mie prime testimonianze, a Rio e a Parigi, mi sono concentrato sul fantasma, ma ora l’avvento potrebbe essere messo sul sintomo. La pulsione infatti, dopo l’analisi, viene vissuta dal sintomo ridotto a sintoma. Il mio nome sintomatico sta senza dubbio in questa formula paterna: “Dominique è: prima agisco, poi penso.” È vero che non mi piace anteporre la ragione alla passione, e devo ammettere che mi sono sempre fidato della mia buona stella. Non mi sono forse offerto, nella formula del fantasma, all'Altro senza ragione? Non sono forse sotto l’influenza della stessa convinzione dell'Uomo dei Lupi che, nato con la camicia, pensava di essere privilegiato e protetto dall'Altro? L'ho formulato così all'inizio dell'analisi: “Vengo a trovarla non perché non sia stato amato, ma perché sono stato troppo amato dalla madre di cui sono il primo figlio.” Il punto toccato dalla conclusione dell’analisi è poi: non c'è Altro se non quello fatto esistere dal fantasma ormai disattivato. L'Altro protettivo di cui sono l'oggetto privilegiato non esiste. Questo cambia profondamente il rapporto con una donna. Si tratta di continuare a farsi zimbello di quest’Altra per renderla Altra a sé. Non esiste l'Altro dell'Altro, ma sull'aereo c'era sicuramente un pilota. Siamo appena atterrati a Bruxelles...
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Agosto 2024
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