![]() Nel corso introduttivo della Sezione Clinica di Bruxelles, Gil Caroz ha affrontato le questioni dell’atto. La prima riguarda la concezione generale, dell'atto in psicoanalisi. La seconda concerne ciò che Lacan dice dell'atto psicoanalitico relativamente alla fine di una cura. Di seguito presentiamo alcuni estratti scelti da Sophie Boucquey, partecipante alla Sezione Clinica di Bruxelles. Gli Caroz L’atto è innanzitutto un superamento, o una trasgressione. È anche un modo di cominciare, un nuovo inizio, è creatore. Ogni atto è in qualche modo un atto di nascita, o un colpo di stato. Quel che viene dopo non è più come quel che c’era prima. L’atto, infine, viene giudicato dalle sue conseguenze e non dalle sue intenzioni. Come analisti, diffidiamo delle intenzioni e maggior ragione quando sono buone. Lo psicoanalista non crede davvero alle buone intenzioni; ciò che conta è comunque il risultato dell'atto. L’atto in psicoanalisi è del significante, non perché rappresenta il soggetto, ma perché lo istituisce. Lacan lo formula così: l'atto è significativo, vale a dire che senza il significante, il movimento o l'azione non assumono il valore di atto, e c'è una struttura logica che trasforma in un atto ciò che, in prima battuta, non sarebbe altro che pura e semplice passione, dove passione è da intendere qui nel senso di movimento. Ciò che inizialmente è un semplice movimento, è trasformato in un atto dal significante.
Nella cura c'è una ripartizione tra analizzante e analista. L'analizzante è dal lato del fare, mentre l'analista è da quello dell’atto Impegnarsi in un trattamento psicoanalitico implica, da parte di chi la intraprende, abdicare all'atto. Prendere un appuntamento è l'ultimo atto che si compie fino alla fine dell'analisi. A partire da lì l'analizzante inizia il lavoro di associazione libera. L'analista può garantire l'atto di iniziare delle analisi proprio perché ha compiuto l'atto di portare a termine la sua analisi. Che l'analista sia dalla parte dell'atto non significa che si agiti. Non può far altro che sostenere e autorizzare una parola che si faccia atto, che abbia delle conseguenze, vale a dire che quel che viene dopo non sia più come prima, e che l'essere del soggetto non sia più lo stesso. In alcuni casi è tuttavia importante badare a che il dopo rimanga esattamente come prima. Non si tratta sempre di portare il soggetto a qualcosa di nuovo. Non mettiamo in gioco l'atto psicoanalitico in modo sconsiderato. Nella psicoanalisi in senso classico si va tuttavia verso il reale, e lo psicoanalista non si occupa di coprire il reale. L’analista non si fa carico della verità. Se lo fa, attira su di sé la derisione. Non porta la verità ma permette all'analizzante di accedere alla verità, e risulta come scarto di questa operazione. L'analista acconsente a incarnare lo scarto dall'operazione analitica, sa fin dall'inizio che questo è il suo destino. Porre l’inconscio è considerato come un atto di Freud. Il mondo dopo Freud infatti non è più quello di prima. Per Lacan il fatto di porre l’inconscio ha l’effetto di rompere con il cogito cartesiano. Potremmo dire che l'operazione di Freud è stata quella di sovvertire il cogito cartesiano. L'inizio di un'analisi implica un’operazione con un soggetto particolare. L'inconscio deve essere prodotto e non esiste fino a che la persona non è in analisi. L'analista deve esserci per produrlo: è un atto analitico. Al di fuori del trattamento psicoanalitico, il lapsus verbale rientra semplicemente tra gli errori che non possono essere attribuiti a nessun soggetto e che quindi non possono essere interpretati. J. Lacan, L’acte psychanalytique. Livre XV. Ed.du Seuil et Le Champ freudien Editeur, février 2024. P.91 J. Lacan, La logica del fantasma. Libro XIV. Einaudi, Torino 2024
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