Tre domande a Jacques-Alain Miller Nel 1946, nel suo Discorso sulla causalità psichica, Lacan, percependo già il rischio che la psichiatria correva di ricercare la causa della follia nella neurologia, dà un resoconto del declino della clinica psichiatrica. L’equazione sarebbe quindi: tutti sono pazzi + causa neurologica = depatologizzazione? La depatologizzazione contemporanea non è soltanto la conseguenza della dissoluzione della clinica dovuta al DSM e della promozione del farmaco come chiave universale per disturbo mentale. Nasce dal mutamento epocale della civiltà occidentale, trasformata da cima a fondo dal regime dell’individualismo radicale. Un volta si distinguevano il normale e il patologico. Ora, decostruita la normalità come norme-male, come norma maschile, il patologico perde consistenza.
Le patologie di un tempo sono destinate a diventare stili di vita. L’odierna depatologizzazione è erede di ciò che già vediamo all’opera nel Discorso sulla causalità psichica del 1946, che è una depatologizzazione esistenzialista. Vi si dice infatti che la follia – Lacan non dice “psicosi”– è relativa alla libertà del soggetto, all’insondabile decisione dell’essere. Come non riconoscervi un’eco della ”scelta originaria” su cui si fonda il Baudelaire di Sartre, la cui pubblicazione su Les temps modernes precede di pochi mesi quella del Discorso… Se Lacan prende le distanze dalla causalità metafisica, attribuibile al filosofo, vi si ispira tuttavia per dissolvere la cosiddetta causalità organica della follia, e per sostituirle le funzioni della libertà, “la sua infima affilatezza” e il suo “inafferrabile consenso". Lacan non nasconde il suo debito verso la scuola esistenzialista, poiché riconosce di seguire il metodo fenomenologico di Merleau-Ponty, in quanto questo considera l’esperienza vissuta prima di ogni oggettivazione. Da qui procede una prima distinzione tra il soggetto e l’io: quest'ultimo è solo un'oggettivazione del primo. Si può dimostrare che l'affiorare dell'istanza lacaniana del soggetto è correlativa a una depatologizzazione radicale dell’evento psichico. Nel Seminario IV, a pagina 127, Lacan dice del folle: “Il mondo istituito delle Isole Britanniche dà a tutti il diritto di essere folli, a condizione di restare folli per conto proprio [perché] la follia comincerebbe, quando si vuole imporre agli altri la propria follia privata. Che rapporto ha questa definizione con il tema del Congresso (1)? Questa è una tesi sull'Inghilterra e sui fondamenti della tolleranza di cui ha dato al mondo la teoria e l’esempio. Vedi la Lettera sulla tolleranza di Locke, e l’influenza che ha avuto su Voltaire. Spinoza lo ha preceduto con il Trattato teologico-politico. L'idea è che accettiamo di sostenere le credenze dell'altro a condizione che questi non ci tenga la punto di impormele, o di cercare di farmi rinunciare alle mie. La tolleranza presuppone che nessuno pretenda di comunicare con un Assoluto, e di amarlo alla follia. Va bene dunque credere, sì, ma con moderazione, non in modo totale. Credere è quindi ambiguo, perché non credere è un momento del credere. Ne consegue che per ciascuno la credenza è sempre particolare. Non potrebbe passare al regime del “per ogni x”, cioè dell’universale. È tuttavia in questa soluzione di continuità, cioè nell'impotenza del particolare di unirsi all’universale, che Lacan, con Hegel, vede la formula generale della follia (cfr. Discorso…). Questa contraddizione si spiega se alla credenza né carne e né pesce contrassegnata dall’immaginario, sostituiamo, la credenza delirante che ha a che fare con un reale. Qui s’inscrive la formula: “Tutti sono folli”. La follia in questione è quella di ciascuno, uno per uno. Riguarda il fantasma in quanto questo determina in ciascuno la sua concezione del mondo, diversa da quella di chiunque altro, e il suo singolare sentimento della vita. In questo si tratta di una follia privata. Collettivizzarla significa passare dal fantasma al fanatismo. Lacan era sorpreso che il suo Seminario riunisse così tanti ascoltatori. Caposcuola, proscriveva ogni vita di gruppo nella sua Scuola, lasciandone disordinata la gestione. Questo tema ha una risonanza di straordinaria attualità. Qual è la fonte del carattere visionario che attribuiamo a Lacan per certi suoi discorsi? Non ha forse radici nella sottigliezza con cui sapeva individuare i punti di repere logici delle tribolazioni del parlessere? Lacan ha cominciato formalizzando l'Edipo come metafora paterna, e stabilendo il Nome-del-Padre come significante padrone indispensabile per umanizzare e normalizzare il desiderio. Successivamente, ha potuto osservare nella sua pratica lo sgretolarsi del patriarcato e la promozione dell’oggetto (a) dove c’era S1. Ne ha estrapolato una nuova clinica, e ben presto ha annunciato il rovesciamento del vecchio ordine di cose nella civiltà occidentale. Questa prospettiva non lo entusiasmava. Il titolo del suo Seminario XIX lo indica con discrezione: tre puntini di sospensione seguiti da “o peggio ". È il Padre che veniva così eluso. "Padre o peggio”. È il punto in cui siamo ora. (1) Congresso AMP con il titolo: Tout le monde est fou, tenutosi a Parigi dal 22 al 25 febbraio 2024 Intervista di Corinne Rezki
1 Commento
Ermanno
5/10/2024 08:15:19 am
Grazie
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