Jacques-Alain Miller Sono lieto di accogliere a vostro nome i nuovi analisti de l’École (AE). Ci riporteranno, come consuetudine, la loro testimonianza. Come già detto da Clotilde Leguil, le testimonianze degli AE «rispondono in modo sovversivo in epoca di valutazione, dando parola agli analizzanti, fino ad ora senza voce nella comunità analitica, per raccontarci cos’è un’esperienza analitica da cui il soggetto che l’ha vissuta non si è ancora staccato. Quindi, seduta breve, punteggiatura, interpretazione, equivoco, disturbo della difesa, formano analisti capaci di dirci qualcosa in prima persona. Il valore etico dei racconti di passe risiede negli effetti d'orientamento che producono sulle analisi in corso». Clotilde Leguil (1) si riferiva essenzialmente alle 38esime Giornate dell’ECF, dove sono intervenuti molti colleghi ancora in analisi, ma questa osservazione sul valore etico delle testimonianze si addice anche a quelle degli AE. Queste testimonianze non vanno prese come modelli – sono completamente diverse le une dalle altre. Evidenziare la loro unicità non può tuttavia non avere un impatto sulle analisi in corso. Dobbiamo quindi misurare la nostra responsabilità. Contingenza e prospettiva del sintoma Il modo in cui sono messe in sequenza deriva da una pura contingenza. Tuttavia, producono necessariamente senso. Per un sociologo, queste testimonianze potrebbero un giorno essere utilizzate per indicare che cosa sia oggi un'analisi. Non è il nostro punto di vista. Ogni testimonianza porta con sé qualcosa di singolare e, in tal senso, tocca qui che c’è di più singolare ciascuno di noi. Non le possiamo leggere o ascoltare in un'assemblea come la nostra senza porci la domanda: «Cosa dice questo di me? » Si tratta di lunghe analisi, di passe dell’epoca del sintoma, nel senso in cui Lacan usa questa parola nel suo ultimo insegnamento. Non si tratta di guarigione, ma neanche solo di mettere in luce la decifrazione dei sintomi per aprire a quello che un tempo chiamavamo l’attraversamento della fantasma. Le ho lette ponendomi questa domanda: «Cos'è esattamente la prospettiva del sintoma?». È una prospettiva che svela che ciò che abbiamo chiamato attraversamento della fantasma è sempre stato un attraversamento in modo immaginario. Con la parola attraversamento intendevamo dire che c'è stata una riduzione dell'immaginario e che, al posto dei personaggi incarnati della vita del soggetto, emergevano funzioni che si potrebbero credere astratte – ma che vediamo fino a che punto scoprirle nelle analisi sia concreto – e in modo che se ne delinea il modo di godere, che è un modo costante. Abbiamo così scoperto, decifrando Lacan, che l'attraversamento del fantasma era una formalizzazione del modo di godere. Dal punto di vista del sintoma abbiamo, da un lato, il concetto di un modo di godere invariante, e tuttavia c’è qualcosa di meglio. Voi, gli AE, siete qui per dirci cosa c'è di meglio, ovvero il sollievo, la novità e, cosa che Lacan dice molto semplicemente, la soddisfazione. L'accesso a una certa soddisfazione vi ha permesso di concludere che potreste fare a meno di un analista. Non dell'analisi – si suppone si resti analizzanti, come attestate venendo qui – ma di un analista. La questione allora è come il meglio s’inscrive nell’invariante. Vi ho letto ponendomi questa domanda. Quali sono le ipotesi? Si tratta di un cambio di regime, di cambiamenti di intensità difficili da esprimere, o di spostamenti che generano disgiunzioni e congiunzioni inedite? Forse si tratta di qualcos’altro ancora, che ho capito meglio leggendo questi testi. Come vedrete, si tratta di testi di una certa lunghezza, pensati per essere studiati e ripresi. *Lacan usa due grafie per sintomo, quella corrente del francese attuale symptôme e una antica, ripresa da Rabelais, sinthome, che Miller riprende in questo testo. Si tratta semplicemente con sinthome di differenziare il valore che il sintomo prende nell’esperienza psicoanalitica. In italiano c’è l’uso, che si trova per esempio in testi medici ottocenteschi, del termine sintoma. Lo adottiamo qui, differenziandolo da sintomo, per indicare con analoga variazione grafica il senso che sinthome assume nell’ultimo insegnamento di Lacan. 1. Clotilde Leguil, « Précarité de la fin d’analyse au XXIe siècle », congresso dell’AMP, Semblants et sinthome, Parigi, 26 aprile 2010. Traduzione ddi Micol Martinez Fonte: La Cause freudienne n° 75
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Stéphanie Lavigne La psicoanalisi è nata dalla scienza, ne è una conseguenza. Se Sigmund Freud auspicava che "fosse inclusa tra le scienze" [1], era perché aveva plasmato e illuminato l’inconscio a partire da una sovversione del discorso neurologico. È stato necessario per lui capire ciò che è precluso nella scienza, ovvero una "verità supposta agire": la "verità come causa" [2], così chiamata da Lacan nel 1965. In che modo sono annodate scienza e psicoanalisi? Questa domanda attraversa tutto l'insegnamento di Lacan, ma coglierò questo nodo a partire dalla trasmissione della psicoanalisi. Lacan rispondeva forse a questa domanda quando, nel 1971, all'ospedale Saint-Anne, si chiedeva quale posto debba avere lo psicoanalista: «La questione è di sapere cosa la scienza – che la psicoanalisi, ora come al tempo di Freud, può solo accompagnare – può raggiungere di quel che rientra nel termine del reale» [3]. Per lui si tratta allora di indicare il sapere dell'impotenza di fronte al reale che lo psicoanalista può trasmettere. Lacan descrive la psicoanalisi dapprima come rifiuto della scienza, poi come rifiuto dell'umanità: “il sapere scientifico ha trasmesso un desiderio inaudito ai rifiuti della dotta ignoranza" [4] - questo desiderio è quello dello psicoanalista. Voleva “che un approccio di tipo scientifico fosse efficace in psicoanalisi" [5]. Con Jacques-Alain Miller, comprendiamo che se "Lacan ha potuto dire che [la] passe [è] un fallimento" lo è di fronte alle esigenze scientifiche, e più precisamente rispetto alla trasmissione dei suoi risultati [6]. Come si possono trasmettere risultati che non siano relativi a dei numeri, ma a una logica lacaniana? Dal lato della scienza, «c'è del sapere nel reale», è la scienza di Galileo dove l'essere stesso è matematico [7] e dal lato della psicoanalisi, non c'è rapporto sessuale. Nella "Nota italiana", Lacan oppone l'assioma della scienza a quello della psicoanalisi: «L'inconscio, anche se lo qualifichiamo come sapere, non è sapere nel reale» [8], precisando che la psicoanalisi «ospita un altro sapere, in un altro luogo» [9]. Tuttavia, il «c'è» e il «non c'è» si rispondono. Nel 1973, Lacan rimane fermo nella sua ambizione, proponendo che la psicoanalisi si porrebbe sullo stesso piano della scienza dimostrando che è impossibile scrivere la relazione tra i sessi [10]. Non può più essere letta; o si scrive o non si scrive. Per raggiungere questo obiettivo, è passato da un “lasciare parlare la verità” formula che si opponeva alla scienza, all’inconscio sapere , attraverso lo scritto: “non c’è rapporto sessuale” che non cessa di non scriversi. È un punto d’appoggio nella forma logica del sapere scientifico. Inoltre, seguendo J.-A. Miller, la dimostrazione di una fine d'analisi potrebbe essere "un delirio cantoriano [...] capace di raggiungere un sapere che sembra in attesa nel reale" [12]. Tra annodare e snodare, il discorso analitico continua oggi a rispondere e a interpretare il discorso della scienza. Traduzione di Micol Martinez Fonte: Hebdo Blog, 3 dicembre 2023 |
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